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Perché bisogna uscire dal paradigma della scuola-azienda

Gli ultimi anni per la scuola sono stati difficili, non solo in Italia. Sono stati gli anni dell’aziendalizzazione della Scuola assunto a paradigma internazionale. Un fenomeno totalizzante a livello amministrativo, culturale e perfino linguistico.

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Sono stati gli anni di proclami mirabolanti e di riforme dell’Istruzione presentate a mo’ di pitch aziendali. Dati, statistiche, grafici, efficienza, “produttività”, razionalizzazione e nomi con un certo appeal: La “Buona Scuola” tanto per citarne una, ma anche “L’école de la confiance” -la scuola della fiducia- bandierina del Ministro francese Jean-Michel Blanquer. Modalità ineccepibili, secondo le regole del marketing. Se al posto di rivoluzioni strutturali dell’intero sistema scolastico, fossero stati presentati dei nuovi brevetti industriali, sarebbe stato un approccio inoppugnabile.

Purtroppo per gli “yuppies” dell’istruzione, la Scuola è qualcosa di ben più complesso e importante. Se volessimo, per vezzo, rimanere nel campo semantico dell’industria – che tanto fascino sembra esercitate sui riformatori della scuola- potremmo dire che le scuole sono il brevetto del futuro di un paese. Insomma non roba da poco. Ciclicamente una nazione gioca i suoi prossimi trent’anni sulla formazione e lo sviluppo delle nuove generazioni. Le scuole sono un asset strategico. Un’architrave della coesione sociale.

Le recenti tele-riforme, perchè come abbiamo visto differiscono davvero di poco, in forma e metodo, dalle televendite sensazionali, hanno marciato invece in direzione ostinatamente contraria all’idea della scuola come fulcro, come fondamenta della società. Al contrario, hanno cercato di eradicarla da quel ruolo di centralità, di fondamenta territoriale, per inserirla all’interno di sistemi altri, con cui poco da spartire. L’idea, tanto della riforma renziana, quanto della scuola della fiducia macroniana era infatti quella di inserire il momento educativo all’interno di una filiera economico-industriale. Adeguare l’Istruzione ad un mondo ad essa alieno e non necessariamente comunicante: la Scuola prescinde dall’Atto -dal fine- , dedicandosi invece alla Potenza dell’individuo.

Nonostante l’enorme somiglianza nei processi di verticalizzazione e aziendalizzazione del’Istruzione fra la Francia e l’Italia negli ultimi anni, l’educazione nell’ hexagone è senza dubbio ritenuta materia assai più importante ai fini della cosa pubblica che nel nostro Paese.

La Francia, sul piano geopolitico, vive sostanzialmente della sua velleità di potenza. Nel senso che più che esercitare un’influenza da great power – strada decisamente difficoltosa da percorrere, in quanto subordinata alla sfera d’influenza statunitense- racconta se stessa come tale, tanto al suo interno, quanto esternamente.

D’altronde dalle parti di Parigi, il Ministero dell’Istruzione è il Ministero dell’Educazione Nazionale e della Gioventù. Insomma, il dicastero della pedagogia nazionale.

Un’interpretazione importante, forse anche eccessivamente forte, ardita sicuramente per l’osservatore italiano, cui la dicitura di Educazione Nazionale è prettamente legata al ventennio fascista. Probabilmente i francesi possono permettersi un’interpretazione così spinta proprio perché non sono passati per il totalitarismo. Una cosa traspare però limpidamente. L’educazione in Francia è considerata asset nazionale.

Onde non divagare troppo si chiuda questa -necessaria- parentesi geopolitica, propedeutica però al concetto fondamentale: in Francia si sta risvegliando una discussione pubblica, forte, autorevole, strategica sulla Scuola e tesa a superare il blanquetisme, l’impostazione tecnocratica e competitiva calata dal Ministro francese.

Fra le voci più insigni troviamo Christian Laval e Francis Vergne, accademici di straordinaria caratura nel campo della sociologia e dell’analisi delle politiche neoliberiste.

Nel nuovo volume “Éducation Démocratique” -ancora orfano di traduzione italiana- traspare candidamente un concetto fondamentale: la Scuola è lo specchio della società, la struttura della prima determina la seconda.

Educare è un investimento sul futuro, il paradigma imposto oggi alle studentesse e agli studenti sarà il paradigma sociale del futuro. Per questo, alla luce delle criticità che, complice la pandemia, presenta l’attuale sistema è necessario re-inventare la scuola.

Laval e Vergne tracciano quindi la strada maestra degli obiettivi che il sistema dell’Istruzione deve prefiggersi: “Possiamo sintetizzare così il significato generale della trasformazione che auspichiamo: andare verso una società che abbia l’obbiettivo di ampliare le capacità politiche dei suoi membri, che assicuri la loro uguaglianza sociale e garantisca il rispetto dell’ambiente”.

Una scuola che sostanzialmente inverta completamente la rotta, abbandonando il binario neo-liberista su cui è stata instradata e diventi anzi proprio il fulcro di alternative.

Una scommessa che tutto sommato, aldilà di come la si pensi, non è così spericolata.

Il sistema socio-economico attuale ha dimostrato di imbarcare molta acqua, soprattutto nella gestione di emergenze globali come quella pandemica e quella climatica, puntare sull’educare le future generazioni nel solco di un sistema in crisi ormai da tempo non sembra proprio essere l’ipotesi più intelligente.

L'articolo Perché bisogna uscire dal paradigma della scuola-azienda proviene da Osservatorio Globalizzazione.

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