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Per un Ringraziamento italiano

Ho capito cosa volesse dire il Ringraziamento solo parlando con qualcuno che negli Stati Uniti c’era arrivato, tra mille difficoltà, dall’Ungheria del 1956. Mi è accaduto, però, poco tempo fa. Fino ad allora, vittima dei miei preconcetti e risentimenti, pensavo che gli americani ringraziassero il padreterno per essere tali; solo oggi so che i migliori tra loro celebrano quella festa per rendere grazie di esserlo diventati. Non è, quindi, un esaltazione di sé stessi, ma un vero ringraziamento al paese che gli ha offerto diritti e libertà che altrove non avevano. 

E noi italiani, quando ringraziamo? Mai.

E ci mancherebbe, sono sicuro che avranno detto molti, sotto l’effetto delle delusioni di questi anni. Hanno torto, come lo abbiamo tutti noi che diamo per scontati quei nostri diritti che arriviamo a sminuire, magari, senza neppure avuto il coraggio di esercitare. Siamo cittadini di uno stato giovane, che è ovvio abbia avuto e abbia grossi problemi, eppure abbiamo molto per cui ringraziare. Bisogna sempre pensare, per valutare il cammino percorso, sia nel campo dei diritti che in quello materiale, a quanto era arretrato il nostro punto di partenza.

Nella campagna veneta, nel Nord-Est che è tutt’altro che povero anche se non è più ricco, si moriva di pellagra meno di un secolo fa; le condizioni di vita di ampie zone del mezzogiorno erano terribili ancora nel secondo dopoguerra. Non solo, stiamo meglio di allora, ma siamo arrivati a darci un costituzione, certo perfettibile, degna del grande paese che vorremmo essere. Di un paese tanto maturato da aspirare ad essere grande “dentro”; prima di tutto, proprio nei confronti dei suoi cittadini.

Direte che festeggiamo già il 25 aprile e il 2 giugno. Gli americani, se è per quello, hanno il 4 luglio e il Memorial Day, l’ultimo lunedì di maggio, ma a noi manca una festa come la loro in cui ringraziamo semplicemente di essere diventati italiani; di essere diventati (certo, per la più parte nascendovi) cittadini di questa Italia. Mi rendo conto di quanto sia utopistico sperare che sia introdotta nel nostro calendario una nuova festività, e infatti non prendo neppure in considerazione questa eventualità. Voglio però essere ancora più utopista e sperare che in ogni famiglia, una volta l’anno, magari davanti ad una cena un po’ speciale, si abbia la voglia di dire grazie a chi ci ha fatto attraversare l’oceano della storia per portarci fin qui. Un grazie per le opportunità che comunque abbiamo (pensate a quelle che poteva avere vostro bisnonno e, salvo rare eccezioni, capirete che intendo) e per quei diritti che abbiamo ricevuto senza dover fare proprio nulla per meritarceli; neppure ringraziare. Diritti che sono nostri, da custodire ed esercitare, ma non di nostra esclusiva proprietà; che dobbiamo trasmettere alle generazioni future ed estendere a chi, per diventare italiano, ha scelto di lasciare il proprio paese. È pensando a loro, a quelli che cittadini italiani con pieni diritti stanno diventando, che non mi dispiacerebbe che quella cena la facessimo tutti lo stesso giorno, magari la sera di un sabato.

Non è fatto di celebrazioni, un retaggio? Certo che no, ma senza momenti del genere il rischio di perderlo è altissimo.

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