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Per sempre

 Matrimoni e convivenze

Leggo su Repubblica che presto, in Italia, le convivenze supereranno i matrimoni: “Non è soltanto un fatto di costume: gli esperti spiegano che si tratta di una “strategia adattativa” in un mondo che non ama più i legami “eterni” - che richiedono lacrime e denaro per essere cancellati - e convive con precarietà, mobilità, incertezza sempre crescenti“.

La notizia non mi sorprende, per le ragioni indicate dal giornale. Da tempo penso che l’espressione per sempre sia diventata imbarazzante, antiquata. I rapporti si consumano rapidamente, nascono e muoiono come graziose farfalle o delicatissime rose, che, a detta di De Andrè, vivono solo un giorno. Mi vengono in mente storie che ho visto bruciarsi per un’incomprensione, un’incomunicabilità, un tradimento. Uomini e donne che hanno investito in sentimenti, progetti, e li hanno visti crollare sotto i colpi di una fuga o di un rifiuto. Depressioni e rivolte, rancori e vendette. Poi, sullo sfondo, prendono corpo le lotte sostenute per capirsi, ricostruire, perdonarsi.



Ho davanti agli occhi i sorrisi ritrovati, quell’aria che sembra dire: incredibile, don, ce l’abbiamo fatta. Mi chiedo cosa ci separi, quali conti in sospeso aleggino sull’espressione passata di moda: per sempre. Affiora un’immagine: il Santo dei Santi del tempio d’Israele, impronunciabile, inaccessibile - se non al sommo sacerdote una volta l’anno -, accuratamente nascosto da un velo. Si dice che alla morte di Gesù quel velo si squarciasse, l’intoccabile e l’invisibile si potessero vedere, toccare. Che la paura fosse vinta, il vuoto colmato.

Ripenso alle due parole bandite, e mi sembrano anch’esse, per un attimo, meno impronunciabili, meno sorpassate.

Commenti all'articolo

  • Di andrea boschi (---.---.---.247) 2 marzo 2009 11:37

    Caro Donfa,
    debbo dire che almeno nel mio caso (e penso e spero anche in quello di mia moglie Lucia smiley) una breve convivenza di un anno sia stata propedeutica ad una decisione che voleva essere PER SEMPRE.
    Pur se ancora non accettata dalla Chiesa, ritengo che la convivenza, finalizzata al matrimonio, sia o possa essere un buon aiuto per meglio conoscere la persona che ami e con la quale dovrai convivere, da sposato, per sempre.
    Parlando del PER SEMPRE, che oggi spaventa un po’ tutti, ritengo questo sia dovuto ad un egoismo diffuso che, sfortunatamente, non tende ad arretrare, anzi, con tutti i messaggi DEVIANTI che arrivano dai mass-media, il trend in tal senso è crescente.
    Parlando con colleghi ed amici, mi accorgo sempre più spesso che si argomenta di cose futili, dell’effimero ... una sorta di diffuso edonismo sembra pervada la gente che da esso viene avviluppata.
    Oggi i grandi messaggi preferiscono recepirli da Maria De Filippi piuttosto che da MARIA, la madre di Gesù.
    Programmi come il grande fratello, l’isola dei famosi, uomini e donne e tanti altri programmi simili, che personalmente mi sono sempre rifiutato di seguire per la loro demenzialità, sono oggi quelli che danno gli input sul come si vive.
    Programmi dove si litiga, si compete per ogni cosa, si deve primeggiare a discapito degli altri ...
    Tutti messaggi molto forti che sfortunatamente affascinano e permeano molta gente.
    La nostra soglia di tolleranza si è assottigliata sensibilmente perchè non sappiamo amare l’altra metà in modo gratuito, come si fa invece con i figli.
    Speriamo che loro siano in grado di superare questo triste empasse.

    Buona giornata.
     Andrea


    • Di fabrizio centofanti (---.---.---.141) 3 marzo 2009 00:18

      grazie, Andrea.
      hai individuato alcune motivazioni indiscutibili di una certa situazione.
      speriamo che l’effimero venga presto a noia, e che si scelga la profondità, senza la quale la vita perde la sua dignità.
      un abbraccio 
      fabrizio

  • Di giorgio (---.---.---.193) 4 marzo 2009 17:11

    La tua è una provocazione costante, eppure va dritta al cuore.

    Sono sinceramente in difficoltà nel raffrontarmi con la cultura di oggi e molto onestamente devo dire che non trovo una risposta adeguata.

    E’ luogo comune parlare di mancanza di valori ed è comunque difficile scendere nello specifico.

     La banalità come valore certamente no, ma, oggi, sicuramente una dimensione di rifugio, meno impegnativa di una riflessione più coinvolgente, più profonda e interiorizzante.

    Manca spesso il discernimento

    Sicuramente molto nasce dalla difficoltà e precarietà del lavoro che finisce per togliere dignità all’uomo. La competizione, per chi un lavoro ce l’ha, è spesso disumanizzante. la difficoltà nel traffico ,particolarmente delle grandi città e l’inquinamento, degradano la qualità della vita.

    La scuola è spesso carente, ed è prevalente un tipo di cultura televisiva che privilegia “l’audience” ai contenuti, dove il parametro di raffronto è il successo. E’ importante apparire, essere protagonisti anche emulando il peggio.

    E’ certamente di vuoto che parliamo. E’ importante porsi degli obiettivi e non rinunciare ma coltivare la speranza per un rinnovamento della propria esistenza e della vita in quanto tale.

    Mi aggancio alla tua conclusione; mi è molto cara l’immagine della Tenda del Convegno con l’Arca dell’Alleanza da cui deriverà il Tempio di Gerusalemme e la Sinagoga. La Basilica cristiana ci ripropone gli stessi spazi: il “Debir” ( Cielo dei cieli) diventerà il Presbiterio/Santuario e l’ “Ekal” (mondo visibile), la Navata.

    Non c’è più separazione tra i due spazi, tra navata e presbiterio. Il velo è squarciato e:”…con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna” (Eb. 9,12”).

    Mi rimane l’Arca dell’Alleanza come simbolo, cuore pulsante del popolo di Israele

    C’è bisogno di una “Presenza”, ieri come oggi, che sia guida, speranza e centro di riferimento.

    “Per sempre”.

     

     

  • Di (---.---.---.92) 7 marzo 2009 09:32

    Scriveva così, pochi anni prima della morte, il grande psicologo svizzero Carl Gustav Jung:
    " Che cosa siamo noi per la nostra visione interiore, e che cosa sembra essere l’uomo sub specie aeternitatis, può essere espresso solo con un mito. Il mito è più individuale, rappresenta la vita con più precisione della scienza. La scienza si serve di concetti troppo generali per poter soddisfare alla ricchezza soggettiva della vita singola. Ecco perchè all’età di 83 anni mi sono accinto a narrare il mio mito personale. Posso solo raccontare delle storie, e il problema non è stabilire se esse siano vere o no, perchè l’unica domanda da porre è se ciò che racconto è la mia favola, la mia verità".

    Queste parole mi hanno da sempre toccato il cuore in profondità, nascondono un tesoro prezionso, e senza particolari legami, nè una comune base concettuale, mi riportano al bellissimo libro di Milan Kundera, "L’insostenibile leggerezza dell’essere". Scritto negli anni 80, il libro, permeato di un nichilismo alla Nietzsche, si concentra sulla narrazione della vita di quattro personaggi: Tomàs, Tereza, Franz e Sabine,
    i cui ritratti, profilati con tocchi di sapiente psicologismo, assumono subito per il lettore una concretezza e una consisitenza quasi dolorose, e le cui vicende d’amore s’intrecciano sullo sfondo di una complessa
    trama storica che ne coinvolge i destini: l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia.

    Mi piace qui ricordare la storia d’amore di Franz e Sabine, quindi proverò a rievocare i passi più significativi della loro vita, per comprendere l’evoluzione del loro rapporto.

    Franz è un professore universitario che vive a Ginevra, ed è lì che incontra Sabine, una pittrice ceca affascinante e originale, sfuggita all’occupazione del regime sovietico.

    Franz è sposato con Marie Claude, esponente dell’alta borghesia svizzera, emblema di una costante ricerca di affermazione nella società e nei circoli di potere, vittima di vuoti clichès e di reiterate convenzioni che la piegano alla sterile logica dell’apparire. Franz aveva sposato Marie Claude perchè questa, alcuni anni prima, aveva minacciato di suicidarsi se lui non lo avesse fatto. Un atto così estremo aveva colpito Franz, Marie Claude non gli piaceva tanto, ma il suo amore gli pareva meraviglioso, al punto da reputare che esso meritasse eterna abnegazione, anche quando, a distanza di anni, in Marie Claude non era rimasto più nulla
    di quel primitivo slancio passionale.

    E’ del tutto naturale quindi che Franz sia attratto dalla personalità irresistibilmente autentica di Sabine.
    Ma ecco, qui inizia il dilemma della loro relazione, i due sono destinati a non capirsi.

    Franz ama in Sabine l’immagine platonica della donna, nella quale rivede la madre. La madre era stata
    abbandonata dal padre quando Franz aveva solo 12 anni, ma non aveva detto niente al figlio, per non turbarlo, anzi, lo stesso giorno, lo aveva portato fuori a fare una passeggiata, e Franz aveva notato che la madre aveva indossato scarpe diverse. Non le aveva detto niente, per non ferirla, ma guardando quel paio
    di scarpe dal colore contrastante, Franz quel giorno, aveva capito cosa fosse la sofferenza. Il ricordo tenero della madre lo aveva portato a rispettare la donna, ad esserle fedele nell’amore.

    Parla spesso a Sabine della madre, perchè pensa che, mostrando il suo desiderio di fedeltà, Sabine gli sarà grata, e lo amerà definitivamente.

    Non sa che Sabine è attratta dal tradimento, non dalla fedeltà. Tradire sembra essere un concetto esecrabile, ma infondo, che significa tradire? Significa uscire dai canoni.

    La parola fedeltà le ricorda il padre, " un puritano provinciale che la domenica dipingeva tramonti e vasi di rose. Grazie a lui aveva cominciato a dipingere fin da bambina, poi a 14 anni si era innammorata di un ragazzo della sua età. Il padre si era talmente spaventato, che per un anno le aveva proibito di uscire.

    Poi un giorno le aveva mostrato le riproduzioni di Picasso ridendone forte. Se lei non aveva il permesso di amare il compagno quattordicenne, almeno avrebbe amato il cubismo. Dopo la maturità era andata a Praga, con la sensazione finalmente di tradire la sua famiglia, ma anche lì non poteva dipingere come Picasso, perchè il regime imponeva che si praticasse il realismo socialista, e il suo desiderio di tradire il padre rimase inappagato, perchè il comunismo era un altro padre, severo e limitato.

    Sposò un modesto attore di Praga, perchè era una testa calda, ed era inaccettabile ad entrambe i padri.
    Poi la madre morì, e il padre per il dolore si tolse la vita.

    Allora Sabine cominciò a nutrire dei sensi di colpa: era così terribile che il padre dipingesse tramonti e vasi 
    di fiori? Era così assurdo pensare che fosse terorizzato dall’idea che la figlia quattordicenne tornasse a casa incinta? Era così ridicolo che non potesse continuare a vivere senza la moglie?

    Fu presa di nuovo dal desiderio di tradire, di tradire il proprio tradimento. Ma se si tradisce B per il quale
    abbiamo tradito A, non ne deriva necessariamente che ci riconcilieremo con A. La vita della pittrice divorziata,
    non somiglia a quella dei genitori traditi. Il primo tradimento porta una reazione a catena di nuovi tradimenti, che ci allontanano sempre di più dal tradimento originario". 

    Franz e Sabine si amano, ma non comunicano, perchè quando ci si incontra da adulti è difficile comprendersi, siamo come delle melodie già composte, i gesti e gli atteggiamenti di vita hanno un proprio
    valore semantico, e quando proviamo a orchestrare una comune sintonia, siamo come degli strumenti scordati.

    Senza scendere ancora nel dettaglio della vita dei personaggi, Sabine lascia Franz, proprio quando questi
    decide di abbandonare la moglie per lei. Sabine non può sopportare un amore sotto gli occhi di tutti, un amore palesato, perchè per lei l’amore può essere vissuto solo in una sorta d’ intimità lontana dai riflettori,
    dove non ci siano sguardi indiscreti, perchè "nell’istante in cui qualcuno assiste alle nostre azioni, volenti o nolenti ci adattiamo agli occhi che ci osservano, e nulla di quello che facciamo ha più verità" Franz invece
    è convinto che nella divisione della vita in sfera privata e in sfera pubblica, sia contenuta l’origine di ogni menzogna.

    Sabine emigrerà negli Stati Uniti, sempre più lontano dalla Boemia, dalla famiglia, dai ricordi, dall’amore,
    conducendo una vita di solitudine, l’America le piace, è una terra libera, anche se le piace superficialmente:
    non vorrebbe essere sepolta lì, dove non ci sono nè il nonno nè il padre, e a volte le è capitato di ripensare
    a Franz: chissà, forse è stata troppo impulsiva, forse, avrebbe potuto aspettare...ma ormai è troppo tardi!!!

    Se si taglia con le proprie radici, con il sentimento di appartenenza ad una identità nazionale, con i legami familiari, con il proprio passato, con il bisogno d’amore, si tagliano le zavorre che ci tengono legati alla terra,
    ma si resta vittime "dell’insostenibile leggerezza dell’essere", cioè la leggerezza, la mancanza di gravità,
    diventano così insopportabili, da schiacciarci sotto il peso di un enorme fardello, quello della mancanza di
    significato, quello del baratro di un vuoto che non ha argini. 

    Oggi sembra pesante farsi carico del destino di un altro, sembra impossibile unirsi per sempre in un progetto di vita comune, ma tutto questo sarebbe forse più semplice se, invece di cercare nell’altro un
    appagamento dei nostri vuoti esistenziali, delle nostre sofferenze pregresse, dei nostri sogni disattesi,
    riuscissimo proprio ad amare dell’altro la sua struttura psichica più profonda, il suo mito personale, la
    sua favola, la sua verità.

    Questo presuppone impegno e coraggio, dialogo e confronto, ma è infinitamente più attraente e stimolante di una semplice fuga, fuggire sembra semplice all’inizio, ma a furia di fuggire perdiamo di vista noi stessi,
    e i sogni si frantumano per approdare ad una terra che ci è estranea dalla quale poi è veramente difficile
    fare ritorno.





















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