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Pensioni integrative | Demolire il secondo pilastro previdenziale con lo Schema Mucchetti

L’anno è appena iniziato ma il vibrante think tank dei nostri esperti da quotidiano macina nuove meravigliose idee per fondere proiettili d’argento e paletti di frassino e riportare il nostro paese agli antichi splendori.

 E così, dopo il concorso a premi di Marco Fortis sulla raccolta di avanzi primari, oggi tocca analizzare una proposta non meno suggestiva elaborata, sempre sulle colonne del Foglio, da Massimo Mucchetti

Questa è la premessa:

Dopo l’approvazione della legge di Bilancio, segnata dalle polemiche sulle microtasse, potrebbe essere utile immaginare soluzioni per irrobustire le entrate dello stato su scala ben maggiore senza imporre nulla ai contribuenti. Anzi, offrendo loro una preziosa opportunità.

So che molti tra voi, leggendo questo incipit, sono già corsi a mettere al sicuro il portafoglio. L’Italia è e resta un enorme Campo dei Miracoli, dove il “costo zero” ed i pasti gratis assediano i suoi felici abitanti. In attesa di bicarbonato e citrosodina per digerire questa ennesima portata gratuita al desco degli italiani, ecco un ulteriore dettaglio:

L’idea è quella di offrire ai lavoratori dipendenti e autonomi la facoltà di integrare la propria posizione contributiva pubblica con versamenti aggiuntivi. La facoltà, ripeto, non l’obbligo. La finanza pubblica ne avrebbe un beneficio di svariati miliardi che verrebbe dopo il beneficio diretto per i lavoratori.

La facoltà, ripeto, non l’obbligo. Lo capite? Avete il libero arbitrio. Volete voi cogliere questi succulenti frutti gratuiti, a portata del vostro braccio? Perché, vedete,

I fondi pensione, infatti, non hanno dato fin qui prestazioni entusiasmanti. E domani, al tempo dei tassi zero se non addirittura negativi, non potranno risalire la china se non prendendo sempre più rischi alla ricerca di rendimenti accettabili.

Di fondi pensione, e di linee di investimento, ce ne sono moltissimi, ognuno col proprio profilo di rischio e rendimento, verificabile rispetto al rispettivo benchmark. Pare ci sia uno studio accademico che certifica che dal 1998 ai nostri giorni la rivalutazione media del Tfr, che è pari a 1,5% più il 75% dell’inflazione, abbia battuto i rendimenti dei fondi pensione. Può essere, anche se non userei mischioni di questo genere. [Edit: lo studio è questo, a pagina 48 dice l’opposto di quanto sostenuto da Mucchetti, amen]

Il punto è che

[…] oggi il risparmio previdenziale va all’Inps in parte preponderante e in via obbligatoria per finanziare le pensioni pubbliche, mentre ai fondi ne va una parte minore e in modalità volontaria per avere una pensione integrativa; bene, se il fine accettato da tutti è quello di disporre di qualche soldo in più nella terza età, perché negare la facoltà di arrotondare la pensione pubblica integrando la contribuzione obbligatoria con versamenti volontari, in regime fiscale uguale a quello dei fondi pensione? Perché limitarsi a un’opzione unica invece di averne due? 

Già, perché negarlo? Anche perché

Il patrimonio dei fondi pensione è investito in misura del tutto trascurabile in azioni italiane: l’1,1 per cento nei fondi negoziali, il 3,3 per cento nei fondi aperti. Ma anche se ci fosse una maggiore propensione verso il rischio azionario dell’Italia, la sostanza cambierebbe poco. Perché i mercati finanziari, diversamente da quanto credono i più, non servono a ricapitalizzare le imprese per sostenerne lo sviluppo ma a negoziare in modo moderno i diritti di proprietà.

Punto delicato. Poiché il numero di azioni “ritirate” a mezzo di riacquisto (buyback) ed OPA eccede quello delle azioni emesse tramite IPO ed aumenti di capitale, dobbiamo giungere come fa Mucchetti alla conclusione che i mercati finanziari non servono? Io non sarei così tranchant, soprattutto in un paese che è e resta profondamente bancocentrico ed in cui il legislatore ad intervalli regolari si mette in testa che risparmiatori che non distinguono un Btp da un estintore devono diventare dei venture capitalist, a colpi di Pir ed amenità simili.

Ma Mucchetti è avverso all’attuale secondo pilastro anche per un altro motivo: al momento del pensionamento, la maggioranza ritira il capitale anziché incassare la rendita integrativa. Un vero scandalo, signora mia:

Al termine del periodo di contribuzione, la grandissima maggioranza delle persone sceglie il riscatto del capitale anziché la pensione di scorta. Nel 2018, avverte la Covip, Autorità di vigilanza sui fondi pensione, in 94 mila hanno optato per il riscatto e in 4 mila per la rendita integrativa.

Perché questo? Perché, secondo Mucchetti,

[…] le pensioni integrative sono così basse che troppo spesso ci vuole un tempo superiore alle aspettative di vita per recuperare il capitale versato e investito.

E poi c’è l’intollerabile, sempre per Mucchetti, beneficio fiscale:

Insomma, all’atto pratico il cosiddetto secondo pilastro previdenziale dà luogo per lo più a una forma di risparmio fiscalmente agevolata.

Una vergogna, diciamolo! Per farvela breve, la proposta Mucchetti è quindi questa:

[…] una contribuzione aggiuntiva e volontaria all’Inps, con gli stessi benefici fiscali concessi ai fondi, così da arrotondare la pensione obbligatoria con un assegno erogato a ripartizione e calcolato con il metodo contributivo, come la pensione ordinaria del resto.

Questa contribuzione potrebbe fruttare all’Inps, secondo i calcoli di Mucchetti, 5-6 miliardi annui ed anche oltre, con un po’ di “marketing analogo a quello delle assicurazioni”.

Quindi, iniziamo a focalizzare: i mercati dei capitali non servono, secondo Mucchetti, perché le azioni emesse sono inferiori a quelle ritirate. E questa conclusione è dirompente e fumante, amici e nemici lettori. Soprattutto, abbiamo scoperto che i mercati finanziari sono ad alto rischio e proni alle distorsioni, come quella indotta dai tassi negativi, che spinge ad aumentare la rischiosità del portafoglio. Meglio, molto meglio avrebbe fatto il Tfr, che ha un rendimento certo e nessuna volatilità. Non fa una grinza. Qui direi che ci avviciniamo al moto perpetuo.

Ma l’operazione IntegraInps, come viene definita, si è sin qui scontrata non solo con la grande finanza delle assicurazioni, sui fondi aperti, ma anche con i veti dei sindacati, che come noto presidiano i consigli di amministrazione dei fondi pensionistici di settore.

Ecco quindi la captatio benevolentiae al leader sindacale illuminato:

Ma in una democrazia liberale, i sindacati dovrebbero fare anche un passo in avanti e restituire al lavoratore, che prima di tutto è un cittadino adulto, la libertà di scegliere se affidare l’integrazione della propria pensione ai fondi, che scommettono sulla finanza globale, o all’Inps che si basa sull’economia complessiva del paese. Entrambe le soluzioni presentano rischi e opportunità. Non ci sono vangeli. Da leader della Fiom, Maurizio Landini lo capì subito. I suoi colleghi no. Ora Landini guida la Cgil. Arriverà la svolta?

Qui si scommette sulla finanza globale, come vi permettete? Pensate: ci sono ben 170 miliardi di euro investiti nella previdenza integrativa. Un decimo del Pil italiano. Quante belle cose si potrebbero fare con quei soldi, invece che investirli sull’indice azionario americano, sui titoli di stato tedeschi o su materie prime estratte con violenza e sopraffazione dei popoli del mondo e producendo pure un mefitico inquinamento: non trovate?

In questo momento, per Mucchetti così come per altri avvertiti esponenti della nostra intellighenzia, il problema dei problemi è il disfattismo economico degli italiani, che da qualche anno hanno iniziato una antipatriottica diversificazione oltre confine. Là, dove sguazza la Grande Finanza Globale (GFG). Investire nei diversificati fondi pensione integrativi potrà mai beneficiare l’economia nazionale?

Un certo scetticismo è d’obbligo ove si considerino la modestia del quantum oggi destinato all’Italia e la sua ripartizione: il 28,9 per cento del patrimonio dei fondi aperti è investito in titoli del debito pubblico domestico; il 22,9 per cento nel caso dei fondi negoziali. La percentuale investita nell’azionario, e cioè nelle imprese, l’abbiamo già vista.

Ecco: “solo” il 28,9% ed il 22,9% investiti in titoli di stato italiani. Se pensate che in realtà è ancora una percentuale insopportabilmente elevata, per ottenere una decente diversificazione, vi aiuterò ad organizzare la vostra fuga quando verranno emessi mandati di cattura per il nuovo reato di disfattismo a mezzo di diversificazione di portafoglio.

E non dovete preoccuparvi di nulla, è tutto calcolato da Mucchetti:

L’obiezione secondo la quale in tal modo si genererebbe un debito in capo all’Inps non regge in quanto l’integrazione sarebbe comunque calcolata a ripartizione.

Capite? È tutto a ripartizione, quindi niente debito! Un vero peccato, però, che il “sistema Tfr”, esaltato da Mucchetti come prova provata che i fondi pensione “non funzionano”, riproduca uno schema a capitalizzazione, perché io otterrò sempre e comunque rivalutazioni annue pari a 1,5% più il 75% dell’indice dei prezzi al consumo. Quindi, caro Mucchetti, perché parte con le meraviglie della capitalizzazione figurata del Tfr e poi finisce con le ristrettezze delle correzioni attuariali della ripartizione? Non è carino e l’anello che ho al naso comincia a farmi male.

Tiriamo le fila, per punti:

  • I mercati finanziari non funzionano. Perché? Perché me lo ha detto mio cuggino i flussi di capitale raccolto sono inferiori a quelli distribuiti a mezzo di dividendi, buyback e OPA (questa è la pistola fumante secondo Mucchetti);
  • I mercati finanziari, quindi, falliscono (ça va sans dire!), e non riescono a far giungere all’economia italiana (ma solo a lei, eh!) le risorse di cui necessita;
  • La diversificazione poi ci arrubba li sordi, portandoli all’estero, amplificando il fallimento di mercato. Fermiamola!
  • Soluzione? Diamo modo ai cittadini adulti di uno stato liberale di investire in un fondo integrativo pubblico (IntegraInps);
  • Ma quanto renderebbe, questa meraviglia? Esattamente come i contributi obbligatori! Per Mucchetti il sistema resta contributivo a ripartizione, quindi il montante contributivo si rivaluta ogni anno della variazione media annua del Pil nominale nell’ultimo quinquennio. Per determinare l’assegno pensionistico, al montante così ottenuto si applicano coefficienti di trasformazione attuariali;
  • Attendendo che montante contributivo e Pil italiano lievitino, lo Stato disporrebbe di enormi risorse finanziarie.

E dove andrebbe tutto questo ben di Dio di risorse da far lievitare? Presto detto:

La risposta potrà forse essere ricercata non solo nella maggior potenza di fuoco del bilancio statale ma anche nel potenziamento delle emissioni di obbligazioni non garantite dallo stato e tuttavia lanciate da un soggetto too big to fail, e cioè dalla Cassa depositi e prestiti. Tali obbligazioni potrebbero essere destinate a finanziare opere pubbliche di particolare rilievo e magari anche servizi di welfare. Il loro rendimento, trovando una modalità accettabile dalla Commissione europea, potrebbe essere irrobustito da un certo favor fiscale ove il sottoscrittore sia un fondo pensione o una cassa previdenziale privata.

Eh, la “potenza di fuoco del bilancio statale”! Non vi sentite fremere di patriottico ardore? E poi lei, la Cassa Depositi e prestiti, che è pure too big to fail. Singolare questa descrizione, non trovate? Impiegata per finanziare opere pubbliche di particolare rilievo ma anche “servizi di welfare”. Il cui rendimento atteso non saprei quantificare ma di certo è mio limite. Con l’occasione, metterei nella lista della spesa le varie Alitalia, Ilva, Cigs per tutti sino al giorno del giudizio, asili nido, reddito di cittadinanza, Quota 100, caffè e ammazzacaffè.

Avevamo un fondo sovrano sotto le terga e non ce ne eravamo accorti, anche per l’azione di intossicazione propagandistica di Big Money. A questo punto, sono talmente eccitato dalla prospettiva che credo che la liberale proposta di Mucchetti non possa restare confinata a mera opzionalità per i lavoratori ma debba essere resa obbligatoria, per il bene del paese. Vietando i versamenti ai fondi pensione e facendo confluire a questo schema le somme in essi presenti, ovviamente.

Prosegue quindi la fervida immaginazione dei nostri editorialisti, più o meno esperti, finalizzata a rispondere alla domanda delle domande: come fare a sottrarre agli italiani i loro risparmi, “a costo zero” e con destrezza? Dalla risposta “operativa” a queste domande dipende il futuro, più o meno gramo, di questo paese.

E sì, questo resta uno schema Ponzi. Con l’occasione, in onore del suo ingegnoso creatore, lo chiameremo Schema Mucchetti. Il secondo pilastro previdenziale, che per Mucchetti è imparentato con quelli del ponte Morandi, verrebbe quindi nazionalizzato. Prendi e porta a casa, Tridico. E studia.

Foto di Frantisek Krejci da Pixabay 

P.S. C’è una cosa su cui concordo con Mucchetti, comunque: i fondi pensione sono mediamente costosi. Molto. Troppo. Soprattutto quelli aperti. Ma non è un buon motivo per creare il mostro socialista che egli propone.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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