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Pensavo fosse Singapore, era una lavanderia

I britannici scoprono le truffe sui sussidi pubblici; presto anche di essere terminale di fondi esteri "grigi", russi e non solo?

 

Il Regno Unito è percorso in questi giorni da più correnti di indignazione, genuine o pelose che siano. Una è quella relativa al cosiddetto Partygate, cioè le feste tenute a Downing Street durante i momenti più bui del lockdown, che stanno mettendo a rischio il futuro politico di Boris Johnson. L’altra si riferisce alla inopinata scoperta del volume di truffe legate ai sussidi pandemici. È un po’ una perdita dell’innocenza, per i britannici; che tuttavia non è certo quanto fossero innocenti, almeno a livello di classe politica.

Il fenomeno delle truffe sui sussidi, pandemici e non, è noto a noi italiani, che a certe cose siamo abituati; soprattutto alla loro teatrale rappresentazione pubblica. Spesso la dinamica è caratteristica: un partito o gruppi di partiti di maggioranza pro tempore lanciano la misura per ritagliarsi porzioni di elettorato. L’opposizione pro tempore strepita e attiva la “vigile e indipendente” stampa che tutto indaga e altrettanto denuncia. Dopo di che, la norma passa con voragini nei sistemi di controllo, per intercettare quanti più elettori possibili.

Lo schema italiano

Emergono le truffe, sdegno nazional-popolare, le norme vengono strette ma non troppo, le misure perdono anche l’eventuale limitata efficacia che avevano, e si torna al via. L’opposizione diventa maggioranza e mette in campo nuove misure per l’elettorato, suscitando sdegno dall’opposizione e dai watchdog, eccetera eccetera.

Di solito, da noi diciamo che “mancano controlli preventivi“. Mancano anche in assenza di pandemie, peraltro: vedi reddito di cittadinanza. Durante un’emergenza sanitaria di quelle che vengono una volta ogni secolo, era fatale che ovunque si procedesse “a pie’ di lista” coi sussidi, con controlli preventivi di fatto assenti. E, come dice l’antico detto, l’occasione fa l’uomo ladro.

Non parliamo dei quasi 9 miliardi di sterline di costi “extra” per acquisizione di dispositivi di protezione individuale: quei momenti erano drammatici, e a dirla tutta non si sono ravvisate prove di truffe conclamate. Parliamo invece di altro, e di più eclatante.

In Regno Unito la misura più assaltata è stata quella dei prestiti pandemici con garanzia pubblica, detti Bounceback Loan Scheme (BBLS). Lanciati a maggio 2020, massimo 50 mila sterline, pressoché tutto autocertificato e zero controlli di credito, visto che ad essere in gioco non era il denaro delle banche e data l’importanza capitale della velocità di esecuzione. “Basta burocrazia, c’è una pandemia”, è stato il motto un po’ ovunque nel mondo.

Un quarto di tutte le aziende britanniche hanno richiesto il BBLS, per un totale di 47 miliardi di sterline. Oggi, le stime del watchdog della spesa pubblica britannica (National Audit Officequantificano le frodi in 5 miliardi di sterline. Oltre a giudicare del tutto inadeguate le misure di prevenzione delle truffe.

Prestiti pandemici a garanzia pubblica

Il motivo di tale inadeguatezza è la limitatezza delle risorse destinate alle agenzie di repressione delle frodi e dei crimini finanziari. Al punto che, dovendo scegliere dove agire, si decise di concentrare le verifiche in aree di sussidi eccedenti le 100 mila sterline, quindi escludendo lo schema del BBLS.

Il risultato era sin troppo prevedibile ma alcuni casi eclatanti, che potremmo definire “italiani” per la loro assurdità, sembrano aver scosso l’opinione pubblica britannica. Ad esempio, quello del capo di una organizzazione criminale specializzata nel furto di auto di grossa cilindrata per commerciarne i pezzi o esportarle verso il Medio Oriente, che è riuscito a ottenere 50 mila sterline di prestito Covid con garanzia pubblica pur avendo 48 condanne sulle spalle. Vi ricorda nulla?

Ora è in corso un esame collettivo di coscienza, stimolato dalle sdegnate dimissioni del sottosegretario (Minister) all’efficienza e anti-frode del governo Johnson, Lord Theodore Agnew. Che, nel discorso di polemico addio pronunciato alla Camera dei Lord, ha parlato con delizioso understatement britannico delle “lamentevoli” condizioni del contrasto alle frodi.

Gettando il biasimo sulla sordità degli interlocutori ministeriali, primo fra tutti il Department of Business, Energy and Industrial Strategy (che poi sarebbe il ministero dell’Industria o, come diremmo noi, dello sviluppo economico), Agnew ha denunciato la sostanziale assenza di risorse umane destinate all’antifrode, e l’assoluta inesperienza delle pochissime assegnate.

I soldi degli oligarchi su Londra

Assenza di preparazione, drastici tagli di spesa destinati alla prevenzione di frodi e crimini finanziari. Questo la pandemia ha portato alla luce, oltre a favorire le truffe dei “piccoli”. In realtà, il Regno Unito ha anche un problema ben maggiore di criminalità finanziaria: quella legata ad alcune tipologie di investimenti esteri nel paese.

Il tema si è posto, quando si dice il caso, dopo che il governo britannico ha deciso di fare la faccia feroce contro la Russia, in relazione alle minacce contro l’Ucraina. La responsabile del Foreign Office, Liz Truss, che pare studi da premier, ha proclamato che la settimana prossima verrà presentata la nuova legislazione che potrà colpire in modo più ampio aziende e persone fisiche di rilevanza strategica per il Cremlino.

Meglio tardi che mai, ha osservato il presidente (Tory) del Foreign Affairs Select Committee: se vogliamo proteggere l’Ucraina ma anche noi stessi, dobbiamo prevenire infiltrazioni di denaro di dubbia provenienza e il suo enorme potenziale corruttivo. Eppure la stessa Truss proclama orgogliosa che il Regno Unito dispone di una delle più severe legislazioni anti-corruzione al mondo.

Come spesso accade, nello spazio e nel tempo, la severità della forma lascia il campo a prassi molto più rilassate. Ad esempio, malgrado sia stato annunciato nel lontano 2016, il Regno Unito non dispone ancora di un registro dei titolari effettivi di entità estere. Se è per quello, persino al registro pubblico delle imprese britanniche è possibile ottenere l’anonimato per gentile concessione governativa, schermando il titolare effettivo.

Lavanderia sul Tamigi

Mentre gli oligarchi russi e altri ricchi personaggi internazionali si comprano i visti d’oro senza troppe domande e il mercato immobiliare londinese prospera, cresce l’inquietudine per infiltrazioni del capitale “grigio” globale a tutti i livelli, incluso quello legislativo. Al punto che nei prossimi mesi verrà avviata un’indagine parlamentare sui progetti che rischiano di accrescere la dipendenza energetica del paese, spesso finanziati da aziende controllate da cittadini britannici per naturalizzazione.

Questo è il Regno Unito, e non da oggi. Un paese che vive delle sue rimembranze imperiali, che ha un seggio al Consiglio di sicurezza Onu e armi atomiche, che è uscito dalla Ue ritenendo che il proprio dinamismo fosse in essa severamente limitato, che si vanta della propria regolazione light touch e della capacità di attrarre the best and the brightest in giro per il mondo. L’immagine della Singapore sul Tamigi, in pratica.

Il rischio è quello di scoprire, o fingere di scoprire, che la regolazione light touch ha sin qui coinciso con la sostanziale inesistenza di controlli anti corruzione e anti-riciclaggio, su vari ordini di grandezza: dagli oligarchi russi alle organizzazioni internazionali di ladri d’auto e giù per li rami. Alcuni tollerati da tempo immemore, altri emersi in circostanze particolari. Forse c’è un elefante nella stanza e una lavanderia sul Tamigi.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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