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Pasquale De Feo, da 37 anni in carcere, senza mai uscire

Nelle nostre “Patrie Galere” c’è un uomo, si chiama Pasquale De Feo, nato in provincia di Salerno, il 27 gennaio 1961, recluso dal 20 agosto 1983, quando aveva appena 22 anni, che sta scontando la pena dell’ergastolo in un carcere della Sardegna, sepolto vivo fra sbarre e cemento. Ho deciso di dargli voce riportando alcuni brani del suo diario.

 
“Ricordo un discorso che fece Papa Francesco in visita in una nazione asiatica: “Non si può risolvere la povertà mettendola in prigione”. Fenomeni di illegalità sono i figli del disagio sociale. Se il 70-80% dei detenuti sono meridionali, significa che è lo Stato che non attua politiche sociali adeguate.”
 
“Ho lottato per non farmi fagocitare in questo vortice del nulla e con ferrea determinazione ho studiato per cercare di capire il mondo fuori dalle mura, per emanciparmi dall’ignoranza, dai pregiudizi e anche dal razzismo strisciante, ma principalmente ribellarmi al marchio a fuoco che mi ha classificato “non adatto alla comunità”. Ho lavorato su me stesso, ci ho messo molto tempo, perché ho dovuto ripulire i pensieri, correggere comportamenti radicati, cambiare linguaggio e vedere l’orizzonte con la corretta prospettiva. Dal sistema penitenziario non ho avuto nessun aiuto, anzi solo limitazioni e istigazioni ad essere peggiore.”
 
“Quando mi raccontavano che in tanti Stati Europei telefonavano tutti i giorni senza limiti, pensavo che era una cosa bella, ma non immaginavo che il contatto giornaliero ti predisponesse con un animo più sereno e armonioso verso il mondo che ti circonda e ti facesse sentire vivo, riassaporando l’affetto quotidiano che da 37 anni ho dovuto reprimere nel profondo dell’animo, non potendo viverlo. Mi auguro che dopo l’eliminazione del coronavirus non facciano l’errore di toglierci le videochiamate.”
 
“Non si mette in conto che alla fine si paga sempre tutto: sono le leggi della vita, principalmente per chi nasce senza mezzi. E lo Stato invece di aiutare, come stabilisce la Costituzione, criminalizza intere comunità con l’intervento di leggi, così tante persone diventano criminali in forza di una legge. Ero convinto di avere la forza di cambiare il mio mondo, alla fine il mondo ha cambiato tutta la mia esistenza, e l’inferno in cui sono costretto a vivere, fatto di dolore, sofferenze e privazioni, è una delusione che scava dentro, unica compagnia insieme ai rimpianti che non danno tregua alla tua anima.”
 
“Ho trascorso due terzi della mia vita tra quattro mura, colpevole senza attenuanti di averla buttata via. Ho trovato un giudice molto severo che mi ha condannato senza appello. Il carcere non si limita al contenimento fisico, ma annichilisce l’animo, stritola gli affetti e ti segna per sempre. Tenta di opprimerti la coscienza con l’iniezione del germe della sottomissione, ricordandoti che sei l’ultimo anello della catena della classe sociale: un galeotto, per di più ergastolano. Invece di insegnarti le regole per essere un buon cittadino vogliono farti diventare un buon detenuto. Cercano di inculcarti ad essere una buona pecora e che sono naturali certe limitazioni, obblighi, divieti.”
 
“Certe cose le capisci e le vedi meglio con il passare degli anni, quando superi il ghetto della tua ignoranza ed esci dal ristretto schema mentale in cui ti avevano confinato. Ho pagato duramente i miei errori, anche quelli non fatti, ma uno Stato che usa metodi crudeli peggiori di quelli che mi hanno portato in carcere, è più criminale di quello che sono stato io.”
 
“Le persone si comportano a seconda di come le tratti: saranno cavalieri o vandali dal modo con cui vengono relazionati, la sferza ha sempre risolto il problema momentaneo, ma mai ha sanato il tessuto sociale per il futuro. Uno Stato deve usare fermezza ma non essere dispotico, proporzionare la pena ma non essere disumano, usare clemenza come un buon padre e non essere aguzzino, investire nella fiducia e nella responsabilità per mitigare l’ambiente asociale del carcere dove è difficile educare alla società, essendo che solo nella società si può educare alla società.”
 
“Il prigioniero è ciò che gli viene permesso di essere. L’unica rieducazione che hanno senza interventi è quello di auto-rieducazione. Vedere che ti danno fiducia, che ti fanno sentire una persona e ti considerano ancora una parte della società, questo ti apre al mondo e alla parte buona di te. Sono convinto che la cultura, il lavoro e le relazioni sociali, portano buoni risultati nelle carceri, purtroppo la politica e un movimento settario giustizialista impediscono qualsiasi riforma in senso umano, garantista e di civiltà “scandinava”.
 
“Ho causato dolore e sofferenza a chi mi voleva bene, mortificandone e calpestandone i sentimenti, ritenermi responsabile di tutte le tribolazioni che la mia famiglia ha dovuto subire non attenua quel buco nero che ogni giorno me lo ricorda. Oggi guardo il mondo con occhi nuovi, l’ignoranza distorceva la mia visuale, le stesse cose di ieri hanno una valenza nuova che risalta la bellezza della vita, che come un cieco non vedevo. Sono fuggiti velocemente e in modo tragico i miei anni più belli, mi auguro che riesca a vivere l’età della saggezza da uomo libero.”
 
Carmelo Musumeci (Brani tratti dal diario di Pasquale De Feo, ergastolano ostativo)
 

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