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Parentopoli all’Università, una storia italiana

"Saresti disposta a diventare docente di un’ipotetica facoltà dedicata al pensiero dell‘economista analizzato nella tua tesi di laurea?".

Chissà quanti laureandi, alla fine della seduta di laurea, si sono sentiti fare una proposta simile a quella - allettante e gratificante - che il rettore dell’università San Raffaele di Milano don Verzè, amico del cuore di Berlusconi, ha fatto alla figlia del Cavaliere, Barbara, che all’età non verdissima di 26 anni ha conseguito la laurea breve il 21 luglio scorso con una tesi su Amartya Sen e votazione finale di 110 e lode. Ad occhio e croce, pochini.

Per la verità, l’accesso facile alla docenza di certi laureati col nome giusto è una costante soprattutto nelle università del Centro-Sud, come provano i tanti i casi raccolti da Nino Luca, di «Corriere.it», in un libro appena uscito da Marsilio: "Parentopoli. Quando l’università è affare di famiglia". Un reportage durissimo e spassoso su uno degli aspetti più controversi dell’università, quello dei concorsi sospetti. Che troppo spesso finiscono col consegnare la cattedra a mogli, figli, cognati, amici e amici degli amici.
 
Alle perplessità di chi non riesce a capacitarsi di come si possa essere circondati da tanti parenti, gli interessati (rettori e presidi) replicano con la stessa disinvoltura e assenza di scrupoli con cui pilotano i vari concorsi, arrivando in alcuni casi a spiegare il fenomeno con un "quid", una "forma mentis", quasi un fattore genetico che caratterizzerebbe i fortunati prescelti in virtù della comune appartenenza ad un medesimo ceppo familiare, o con cui regalano lauree ad honorem a destra e a manca, oltre che a sé stessi (pratica in cui s’è distinto particolarmente l’ex rettore di Bologna Fabio Roversi Monaco che ne ha distribuite ben 160 a gente varia, da Madre Teresa di Calcutta a Valentino Rossi, tenendone appena undici per sé).
Ogni tanto la magistratura butta un occhio in queste strane situazioni, indagando e talvolta condannando per abuso d’ufficio rettori e presidi impegnati in concorsi pilotati nei quali a volte sono persino esibiti falsi certificati per favorire il raccomandato di turno oppure fatti fuori con veri e propri salti mortali logici candidati dotati di tutti i requisiti necessari, in barba ad ogni criterio meritocratico ("Era il migliore, l’abbiamo fregato", gongola in un’intercettazione Paolo Rizzon, ordinario di cardiologia di Bari). L’esito finale di queste pratiche non può che essere lo sfascio dell’università italiana (non a caso per trovare la prima università nostrana nella lista delle migliori del mondo bisogna scendere in classifica fino al 192 esimo posto).
 
Si dirà: niente di nuovo sotto il sole del Belpaese, il cui motto-principe-degno di figurare sul Tricolore - è quello di sempre: "Tengo famiglia ". E forse non basteranno le indagini della magistratura per eliminare o anche solo arginare un fenomeno così diffuso, ennesima espressione del nostro "familismo amorale".

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