• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Tempo Libero > Cinema > Paradise, di Andrey Konchalovskiy

Paradise, di Andrey Konchalovskiy

Non è frequentissimo che film o libri sul “concentrazionismo”, sui lager insomma o sulla Vernichtung della seconda guerra, si soffermino sui sentimenti e la coscienza dei soldati eletti ad attuare l'eliminazione. Andrej Konchalowskij lo ha fatto con questo film, un b/n serissimo e toccante, annichilente e tenero al tempo stesso, Paradise: uno dei tre protagonisti, Helmut (Christian Clauss), mandato personalmente da Himmler, su ordine di Hitler che conosceva la sua aristocratica famiglia, in un lager a debellare la corruzione e i furti dei militari tedeschi. Lui che dapprima non s'interessava a Hitler ed amava la letteratura russa, a cui nascere tedesco o russo non avrebbe fatto differenza, finalmente scopre che le parole (del Führer) toccavano l'anima, si sente tra gli eletti o Übermenschen (superuomini), il meglio della nazione. Capisce di che alto valore possa essere il poter morire per la Patria, e che un buon soldato non ha dubbi e non teme la morte. Ma si rende conto, con le sorti della guerra che volgono al peggio per la Germania, che il Paese affonda in una melma rivoltante, con qualche buon responsabile tedesco che già fugge in Sudamerica, i ratti se ne vanno. Eppure un deutsches Paradies, un mondo senza corruzione,doveva diventare il pianeta a detta di Helmut. Il regista ha umanizzato questo soldato, lo ha sorpreso a farsi domande, vuole far fuggire dal lager la sua “serva”, la principessa russa Olga ritrovata prigioniera nel lager, che anni prima conobbe nella splendida Toscana e di cui si innamorò.



L'ambientazione comincia nella Francia occupata e finisce nel lager. I protagonisti sono defunti che si raccontano nelle rispettive lingue (sottotitolate), ci dicono delle loro vite di prima della guerra, in famiglia e con amici: Olga, il gendarme francese Jules a cui viene denunciata per aver dato nascondiglio a due bambini ebrei e Helmut, l'”eletto”. Questi ricorda di avere avuto pena della terra che si muoveva, pulsante, per i corpi ancora vivi seppelliti nelle fosse con i morti, eppure è lo stesso che ci racconta di quando si sentì prescelto: mi detesto quando ho paura, è un istinto basso, animale. C'è spazio pure perché il regista citi la “banalità del male”: il capo corrotto del lager dove Helmut è mandato, parla di sé e degli altri soldati del nazismo come onesti padri di famiglia, pur autori di piccoli commerci (rivendevano alimenti e oggetti all'esterno del lager) hanno fatto bene alla causa.


Olga è senz'altro il personaggio più affascinante (l'attrice Yuliya Vysotskaya), sia da ricca turista in Toscana che da segregata nel lager, la sua immagine emana charme, eleganza, forza, fermezza, è il protagonista meno corrotto dalla vita, che pure cerca di restare un essere umano in un luogo che di umano non ha nulla. Lavora nelle baracche tra coloro che ammassano gli oggetti sequestrati ai nuovi arrivati, prima erano persone poi sono solo i loro oggetti. I tre se ne andranno in maniera onorevole, ma è Olga a superare tutti, salva quei due bambini ebrei che ha ritrovato nello stesso lager e ci dice una frase che fa riflettere: il male è facile a farsi, è il bene che ha bisogno di sforzi.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità