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Palestina, sciopero della fame nelle carceri | Diritti umani di serie B

Più di 1500 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane hanno iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato. Scopo di questa clamorosa forma di protesta nonviolenta, quello di richiedere delle condizioni carcerarie migliori e di porre fine alla detenzione preventiva amministrativa, una procedura che consente ai militari israeliani di imprigionare cittadini palestinesi basandosi su prove segrete, senza incriminarli, né processarli, tenendoli detenuti senza un termine prestabilito, in attesa di un processo che potrebbe non arrivare mai.

di Luca Cellini

Sebbene tale procedura venga usata quasi esclusivamente per i palestinesi dei Territori Occupati, comprendenti Gerusalemme Est, la West Bank e la Striscia di Gaza, talvolta anche cittadini israeliani o stranieri sono stati detenuti in via amministrativa da Israele, quasi sempre in seguito alle proteste solidali a favore della causa palestinese.

E’ sorprendente apprendere che Israele è l’unico Stato al mondo che ha ben tre differenti leggi per poter incarcerare a tempo indefinito e senza un regolare processo.

I palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa, così come molti altri prigionieri palestinesi, subiscono maltrattamenti e torture nel corso degli interrogatori e trattamenti crudeli e degradanti durante il periodo di carcere, talvolta come forma di punizione proprio per aver intrapreso scioperi della fame o altre forme di protesta.

Inoltre, sia i palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa che le loro famiglie sono costretti a vivere nell’incertezza: non sanno per quanto tempo resteranno privi della libertà e nemmeno perché sono detenuti. Come altri prigionieri palestinesi, vanno incontro a divieti di visite familiari, trasferimenti forzati, espulsioni e periodi d’isolamento.

Queste pratiche non solo rappresentano una palese violazione dei diritti umani fondamentali e dei principi del diritto internazionale da parte del governo d’Israele, ma violano anche ogni principio di rispetto della dignità umana.

In occasione della ricorrenza della “Giornata dei prigionieri palestinesi”, i prigionieri hanno iniziato lo sciopero della fame sotto il motto “Libertà e Dignità” rasandosi la testa come segno distintivo.

Lunedì scorso, poco prima dell’inizio di questa clamorosa protesta, l’ufficio del Presidente palestinese Mahmoud Abbas aveva rilasciato una dichiarazione contenente l’elenco delle richieste degli scioperanti della fame.

I prigionieri palestinesi, secondo il testo, chiedono attenzione ai loro “bisogni fondamentali, ai loro diritti come prigionieri, chiedono di porre fine alla pratica (israeliana) della detenzione amministrativa, alle torture, ai maltrattamenti, alla privazione di ogni forma di dignità”. La nota specifica inoltre che la detenzione amministrativa ormai viene applicata da tempo persino a bambini palestinesi al di sotto dei 12 anni di età. Si arriva a negare loro il diritto alla sanità e all’istruzione, si impone l’isolamento come trattamento degradante e si impediscono persino le visite dei familiari.

In quasi 50 anni di occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza sono stati arrestati e detenuti più di 800.000 palestinesi, proprio tramite la pratica della detenzione amministrativa. Attualmente nelle carceri israeliane sono detenuti 6.500 prigionieri politici palestinesi, tra cui 57 donne, 300 bambini, 13 membri istituzionali, 18 giornalisti e oltre 800 prigionieri che hanno bisogno urgente di cure mediche.

Vista la sua ampiezza, questa protesta nonviolenta per il rispetto dei diritti e della dignità umana quanto meno dovrebbe trovare largo spazio nei media; purtroppo invece ne danno nota solo fugacemente e marginalmente, come se i diritti umani del popolo palestinese fossero da considerare di serie B.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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