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Operazione “Golem”: arrestati 13 fiancheggiatori di Messina Denaro

Sgominata una rete di fiancheggiatori del boss trapanese Matteo Messina Denaro, latitante da 16 anni. Favorivano il latitante ed altri esponenti della cosca palermitana fornendogli documenti falsi. Sono 13 gli ordini di custodia cautelare eseguiti questa mattina, tra cui un cugino di Messina Denaro. Le indagini sono curate da Teresa Principato e dai sostituti della Dda, Paolo Guido, Roberto Scarpinato e Sara Micucci, e sono stati eseguiti nelle province di Trapani, Palermo, Roma e Piacenza. Nell’operazione sono impegnati oltre 300 uomini della polizia di Stato.Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di stupefacenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Dall’inchiesta emerge inoltre la scoperta di un traffico di droga tra Roma e il territorio trapanese organizzato dalle famiglie mafiose, i cui componenti agivano in nome e per conto di Messina Denaro. Vengono colpiti i mandamenti mafiosi di Trapani e Castelvetrano, riconducibili a Matteo Messina Denaro.

I provvedimenti cautelari riguardano: Vito Angelo, di 45 anni, arrestato a Piacenza; Leonardo Bonafede, di 77 anni, di Campobello di Mazara; Giuseppe Bonetto, di 54, imprenditore di Castelvetrano; Lea Cataldo, di 46, di Campobello di Mazara; Salvatore Dell’Aquila, di 48; Leonardo Ferrante, 54 anni; Franco e Giuseppe Indelicato, di 40 e 36; Aldo e Francesco Luppino, di 62 e 53; Giovanni Salvatore Madonia, di 44; Mario Messina Denaro, di 57, imprenditore caseario, cugino del boss latitante Matteo, e Domenico Nardo, di 50, residente a Roma.
La Dda di Palermo ha emesso diciotto avvisi di garanzia nell’ambito dell’operazione di questa mattina. Tra gli indagati ci sono anche un funzionario regionale, Girolamo Coppola, che l’anno scorso organizzò il “Cous Cous Fest” di San Vito Lo Capo. Indagato anche AF, finanziere in pensione, che collabora nella segreteria politica di Carlo Vizzini, senatore del Pdl. F è accusato di favoreggiamento aggravato. Gli inquirenti, nel corso dell’indagine, hanno scoperto che F aveva “rapporti confidenziali con personaggi vicini a Cosa nostra”.

I VIAGGI DI MESSINA DENARO CON I DOCUMENTI FALSI

Le indagini della polizia di Stato finalizzate alla ricerca del boss Matteo Messina Denaro, latitante dal 2 giugno 1993, hanno evidenziato che il capomafia ha effettuato diversi viaggi all’estero, con falsi documenti. Gli investigatori hanno accertato che il boss si è recato in Austria, Svizzera, Grecia, Spagna e Tunisia. Cosa nostra trapanese avrebbe allargato i propri interessi anche in Venezuela, dove in passato sono stati arrestati due latitanti legati a Messina Denaro, si tratta di Vincenzo Spezia e Francesco Termine. E proprio in Venezuela gli investigatori fanno emergere che vi risiede un gruppo di trapanesi che hanno storici rapporti con il latitante. I documenti falsi al boss, secondo l’accusa, sarebbero stati forniti da un pregiudicato di Roma, Domenico Nardo, di 50 anni, titolare della “World Protection srl”, che si occupa di bodygard nel mondo dello spettacolo ed è anche l’ex genero di Andrea Roncato. L’uomo, per l’accusa, già in passato ha fornito documenti ad un sicario trapanese, Raffaele Urso. Inoltre, nel 2008 avrebbe preso parte ad un summit mafioso con il boss Leonardo Bonafede, anche lui arrestato oggi, nel corso del quale hanno parlato di alcuni favori da realizzare nell’interesse di Matteo Messina Denaro.

L’AMBASCIATORE DEL BOSS



Gli incontri palermitani di Messina Denaro non erano gestiti in prima persona. Ad occuparsene c’era Franco Luppino, il vero è proprio ambasciatore della situazione. Dall’inchiesta “Golem” emerge infatti che il boss Matteo Messina Denaro non ha mai incontrato personalmente i mafiosi palermitani Sandro e Salvatore Lo Piccolo, agli incontri con loro il capomafia trapanese inviava sempre il suo “ambasciatore”. Luppino, insieme a Leonardo Bonafede, anche quest’ultimo arrestato stamani, sono elementi di vertice della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e forse gli uomini di cui Matteo Messina Denaro si fidava maggiormente. Gli indagati, infatti, avrebbero gestito la latitanza del boss, controllando anche gli affari illeciti nel trapanese, mettendo le mani su varie attività economiche e su fondi regionali. In questi affari sarebbe stata coinvolta anche la moglie di Luppino, Lea Cataldo, arrestata.

I PIZZINI E GLI ORDINI DAL CARCERE

I boss trapanesi detenuti, molti dei quali sottoposti al carcere duro previsto dal 41 bis, riuscivano a far arrivare all’esterno del carcere messaggi che erano anche diretti al latitante Matteo Messina Denaro. Proprio per questo collegamento fra dentro e fuori il carcere, sono in atto perquisizioni in 15 istituti di pena, con la collaborazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nei confronti di 37 detenuti trapanesi, che risultano in contatto con gli indagati dell’inchiesta «Golem».

Le perquisizioni sono state disposte negli istituti di pena dell’Abruzzo, della Campania, della Calabria e della Sicilia. La polizia di Stato, in collaborazione con gli agenti della polizia penitenziaria, stanno controllando detenuti che sarebbero legati a Matteo Messina Denaro, con i quali si sarebbero scambiati messaggi durante la detenzione. Fra i boss ai quali viene effettuata la perquisizione in cella vi è Mariano Agate, 70 anni, capo del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, detenuto da 15 anni, condannato a diversi ergastoli; Filippo Guttadauro, 58 anni, cognato di Messina Denaro, arrestato nel luglio 2006, indicato nei “pizzinI” che si scambiavano Bernardo Provenzano e Messina Denaro, con il numero “121”. Gli investigatori, durante le prime perquisizioni hanno acquisito diversi elementi importanti, già al vaglio degli inquirenti, e per questo motivo stanno valutando la possibilità di chiedere al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria l’immediato trasferimento di alcuni detenuti in altri istituti di pena.

«… io non andrò mai via di mia volontà, ho un codice d’onore da rispettare. Lo devo a Papà e lo devo ai miei principi, lo devo a tanti amici che sono rinchiusu e che hanno ancora bisogno, lo devo a me stesso per tutto quello in cui ho creduto e per tutto quello che sono stato». A parlare è il boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro, che in un “pizzino”- ritrovato tempo fa - aveva rassicurato con queste frasi i suoi amici detenuti. Il pizzino è adesso tra gli atti dell’operazione antimafia “Golem”. “Ad onore del vero- scrive ancora Messina Denaro - se avessi voluto già me ne sarei andato da tempo, ne avevo la possibilità, solo che non ho mai tenuto in considerazione quest’ipotesi perchè non fa parte di me ciò; io starò nella mia terra fino a quando il destino lo vorrà e sarò sempre disponibile per i miei amici, è il mio modo tacito di dire a loro che non hanno sbagliato a credere in me. ..”.

 

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