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Omaggio alle donne arabe e alla loro cura del corpo fra materia e spiritualità

Se cominciassimo a vivere in un altro modo per uscire dal dramma collettivo, dal dolore cosmico e dall'autodistruzione?

di Lella De Marco

 

Ho netta percezione di quanto ci circonda; vedo in giro corpi eloquenti tatuati all’inverosimile, corpi esibiti in televisione come unica forma di potere su se stessi: unico linguaggio per comunicare… muto.

Allora il mio pensiero va alle donne arabe musulmane che conosco, al rapporto di ascolto, sorellanza reale che ci unisce da anni al loro volere assolutamente “farmi bella” truccandomi gli occhi con una particolare pozione ottenuta dalla macerazione del nocciolo del dattero sotto la sabbia calda del deserto mescolata poi alla polvere di antimonio; oppure tingermi i capelli e decorarmi le mani con l’henna (l’erba sacra amata dal profeta) non come tecnica di seduzione ma come cura del proprio corpo per salvaguardarlo, proteggerlo e per sentirsi belle. Per apprezzarsi, volersi bene ed essere autentiche nell’autostima.

Con il tempo ho capito che non è soltanto il comportamento delle mie amiche arabe musulmane – così materico e spirituale al tempo stesso – ma una pratica di vita di tutte queste donne: usata, in certe situazioni estreme, anche come forma di lotta tacita e resistente contro tutti i fondamentalismi che le vorrebbero annientare.

Nessuna di noi che ha fatto lavoro politico con le donne arabe musulmane mi pare abbia colto tale particolarità come un elemento sovversivo che, messo in pratica, avrebbe arricchito le vite di tutte noi. Del resto bisognerebbe fare anche l’autocritica su come l’Occidente si è rapportato nell’accoglienza dei/delle migranti fra folclore e assistenzialismo, per non parlare del razzismo e dell’ atteggiamento neocolonialista che, a mio avviso, continua anche in chi mostrava le migliori intenzioni magari sostenendo il “devono diventare come noi se vogliono rimanere in Italia”.

Rispetto a qualche decennio fa oggi abbiamo più elementi di conoscenza e le stesse donne arabe musulmane hanno prodotto livelli di elaborazione e di produzione di pensiero notevoli, non soltanto per quelle intellettuali borghesi di alta estrazione sociale ma una pratica trasversale, diffusa nei vari livelli di estrazione sociale e di istruzione. Nelle culture islamiche il rapporto con il corpo è di segno divino: le mie amiche continuano a ricordarmi che il corpo ci è stato donato come contenitore di vita e quindi da custodire, praticando tutti gli insegnamenti della tradizione, mettendo in gioco la cultura e la rete di relazioni del gruppo sociale. Nella pratica della “bellezza” del corpo c’è incontro fra il singolare e il collettivo, l’individuale e il sociale. Tutte le fasi di passaggio fondamentali nelle vite personali e sociali sono sempre segnate dalla cura del corpo, dall’attenzione alla bellezza e alla gradevolezza del mostrarsi del corpo stesso. I rituali antichi ma sempre attuali appartengono alle donne: sono conoscenze e pratiche apprese e trasmesse fra loro. Sentono di potere proteggere la perennità di un momento, un sapere scritto nella memoria e così, facendo riferimento al mondo vegetale, si inondano di profumi che purificano ed elevano.

Anche nel luogo della migrazione in cui si trovano continuano a usare i prodotti della loro tradizione di cui si riforniscono tutte le volte che tornano al loro Paese. Sono mezzi indispensabili per comunicare ed esprimere il senso della vita come bellezza, declinato ogni giorno… che si vivano eventi sereni o meno felici. Anche il massaggiare ( تدليك che in arabo significa toccare in modo delicato) ha una funzione importante. Toccare un corpo ha a che vedere con la relazione. Con la pelle si percepisce l’altro, il mondo, entrando nello spazio più intimo e profondo. Stesso trattamento è riservato al corpo del bambino fin dalla nascita con massaggi adeguati e impacchi di erbe. C’è poi una pratica particolare per il corpo dei defunti affidato a donne e uomini specializzati e accreditati nelle moschee. Tutto ovviamente in chiave volontaristica.

Riflettere e scrivere su ciò (in questo momento difficile politicamente) mi costa molto in termini emotivi, anche se spero possa essere una lettura utile. Penso a come continua il colonialismo nei confronti dei popoli arabi, a come viene nutrito l’immaginario collettivo con miti, false notizie, informazioni ad effetto tanto da creare odio, rifiuto islamofobia viscerale. Oggettivamente pericolosi per tutti. Si continua a pensare a barbari mentre si è pronti a “liberare” le donne arabe dal potere dei loro uomini. Liberatore sarebbe l’Occidente per il quale la donna araba ha ancora un ruolo d’onore nell’immaginario maschile, creato durante il colonialismo più feroce con quel misto di curiosità da scoprire sessualmente e come simbolo di lussuria e seduzione al tempo stesso .

Ovviamente il mio pensiero si allunga sulla retorica e le ipocrisie che abbiamo sentite in questo periodo sulla disponibilità alla liberazione delle afgane che tra l’altro già in passato hanno dato prova di grande forza di ribellione e auto-organizzazione. Rifletto con rabbia sull’estrema disponibilità ad accogliere l’immagine della donna oppressa mentre si rifiutano le donne islamiche che sono attive socialmente professionalmente e politicamente: portatrici di una visione del mondo oltre la soggettività magari rivendicando le loro azioni come lotte culturali e politiche per essere quello che vogliono loro stesse e non ciò che vorrebbeeo i loro capi o gli intellettuali occidentali. Essere come hanno scelto di essere.

Mi piace concludere con un ricordo dell’infanzia molto positivo, anche perché va oltre la soggettività. Io sono nata e cresciuta a Trapani, luogo interetnico, segnato oltre che dalla presenza greca anche dalla dominazione araba. Mia madre la notte andava a letto con i bigodini per alzarsi con i capelli in ordine, appena sveglia cominciava a pensare alla cura del suo corpo: massaggi con creme idratanti cipria rossetto ombretto e profumi d’epoca tipo asso di cuori o sono come tu mi vuoi. Dopo indossava un bel vestito e così, in ordine , cominciava la sua giornata di casalinga sostenendo che bisogna essere belle per noi stesse. Lei era bella ma si sentiva anche bella. Si percepiva come tale e ciò l’accompagnava anche nelle relazioni all’esterno della famiglia Non era araba né musulmana ma si guardava spesso allo specchio per capire se emanava luce, sostenendo che “senza trucco si sentiva nuda”.

Nessuna di noi adesso ha molo tempo per sé: molte stressate preferiscono ricorrere a psicofarmaci o ai consigli del terapeuta comportamentista – illustre professionista a pagamento che consiglia di mettersi nude davanti lo specchio, toccare ogni parte del proprio corpo. nominarlo e declamare a voce alta ho begli occhi un bel naso una bella bocca un bel seno… e continuare così la terapia fino alla guarigione.

Allora? finchè ci rimane il corpo che determina anche il nostro pensiero, proviamo a vivere in un altro modo per uscire da nevrosi, depressione, solitudine mancanza di abbracci di baci e di corpi che si toccano.

 

ALCUNI RIFERIMENTI

Ivana Trevisani «IL VELO E LO SPECCHIO» Baldini Castoldi 2006

Anna Vanzan «LE DONNE DI ALLAH» Mondadori 2010

Associazione ANNASSIM «I saperi delle donne: patrimonio culturale delle donne migranti nella cura della persona e la gestione del quotidiano» edizioned Martina Bologna 2008

RINGRAZIO

 HEND provenienza Egitto

 Songul Iraq

Zora Tunisia

Fatiha Marocco

L’IMMAGINE E’ STATA SCELTA DALLA “BOTTEGA”

Foto di Betti Cohen-Kowalski da Pixabay 

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