Oggi la strage del Vajont compie sessant’anni
Oggi la strage del Vajont compie sessant’anni. Furono 1.910 allora le vittime nella valle veneta, tra Pordenone e Belluno.
La storia del Vajont sembra non aver insegnato nulla, se ancora oggi si parla di “grandi opere”, quali il TAV e il ponte sullo stretto di Messina.
Ecco perché è ancora importare ricordarla.
« Non si trattò di un cedimento strutturale della diga, come avvenuto tragicamente quattro anni prima a Malpasset-Fréjus, bensì di una frana della montagna nell’invaso alle 22.39 del 9 ottobre 1963, che proiettò nello stretto vallone 25 milioni di m3 di acqua e detriti a velocità e potenza spaventose, pari a due bombe atomiche, che spazzarono via Longarone e diverse frazioni della valle del Piave. A differenza di quanto si tentò di far credere, fu tutt’altro che una sciagura naturale inevitabile », ricorda il sito comunista rivoluzionario Combat-Coc [1].
Il problema tecnico era evidente e noto agli studi geologici: « la costruzione di uno sbarramento artificiale in un vallone alto e stretto su rocce compatte non poté che favorire la penetrazione dell’acqua nelle rocce laterali, meno solide, minando la stabilità della montagna sul lato sinistro orografico [il monte Toc, NdR] », spiegano.
« Era il caso, dunque, di accantonare il progetto, perché un disastro, in un simile contesto, era quantomeno prevedibile – afferma l’organizzazione comunista -; ma, con tanti dubbi e pochi scrupoli, prevalsero gli interessi economici. La SADE [società adriatica di elettricità, NdR] completò la terza prova di invaso, nonostante le chiare avvisaglie provenienti dalla montagna ».
Vajont, Elder Rambaldi (PCL) denunciò la complicità tra impresa costruttrice e stato
Dopo la strage, « la stampa borghese minimizzò parlando di fatalità ed evento naturale, arrivando a lanciare (Montanelli) accuse di sciacallaggio » contro chi denunciava « il disumano sistema del capitale » e chiedeva inchieste serie sulle responsabilità imprenditoriali e politiche.
Le responsabilità invece erano chiare: « Come ha scritto, pubblicandolo in rete dieci anni fa, il compagno Elder Rambaldi [nella foto], occorre aprire gli occhi “a partire dalle modalità losche della concessione dei lavori; all’esproprio delle terre dei contadini; alla violenza sugli oppositori; alla complicità tra impresa costruttrice e stato; alla prostituzione di settori accademici; alla noncuranza della storia della valle; agli avvertimenti contemporanei alla costruzione della diga, come frane e crolli nei paesi circostanti e come la prima frana del Vajont nel 1960; all’imboscamento di studi scientifici che segnalavano elevati pericoli; al depistaggio riguardo segnali di scosse di terremoto e slittamenti della montagna … ».
Tina Merlin: il Vajont un monumento a vergogna perenne della scienza e della politica
Così si conclude l’articolo sul sito comunista: « Nel suo libro, “Sulla pelle viva“, … Tina Merlin [nella foto] scrisse: “Resterà un monumento a vergogna perenne della scienza e della politica. Un connubio che legava strettissimamente, vent’anni fa, quasi tutti gli accademici illustri al potere economico, in questo caso al monopolio elettrico SADE. Che a sua volta si serviva del potere politico, in questo caso tutto democristiano, per realizzare grandi imprese a scopo di pubblica utilità – si fa per dire – dalle quali ricavava o avrebbe ricavato enormi profitti. In compenso il potere politico era al sicuro sostenuto e foraggiato da coloro ai quali si prostituiva. La regola era – ed è ancora – come in tutti gli affari vantaggiosi, quella dello scambio ».
Ma lo stato, come è noto, e come ci ricordano delle persecuzioni giudiziarie a Messina o in Toscana è forte coi deboli e colluso coi forti.
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Fonti e Note:
Credits: foto di VENETO1 su Wikipedia
[1] Combat-Coc.org, 7 ottobre 2023, “9 ottobre 1963 – 9 ottobre 2023. Vajont – Una frana che non s’è mai fermata”.
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