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Ebrei ortodossi pagano lavoratori messicani per manifestare contro i matrimoni gay. E’ la globalizzazione baby

La notizia è già storia: lo scorso 26 giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dato il via libera ai matrimoni Gay in tutto il paese. L’hastag @LoveWins ha invaso i social network, il presidente Obama ha espresso la sua personale soddisfazione su Twitter e le foto profilo dei nostri amici su Facebook si sono improvvisamente tinte dei colori dell’arcobaleno (con effetti estetici alquanto discutibili).

I membri della comunità LGBT hanno ovviamente festeggiato, negli USA e in molti altri paesi del globo, quella che considerano una svolta epocale sulla strada del riconoscimento di una reale uguaglianza sul piano dei diritti civili. A Milano, il corteo del Gay Pride ha raccolto 100 mila persone, per chiedere il riconoscimento, anche in Italia, di pari diritti per gli omosessuali. Manifestazioni simili, fortemente partecipate, si sono svolte anche a Belino, Dublino, Instambul (dove ci sono stati duri scontri con la polizia) e in molte altre città sulle due sponde dell’Atlantico.

Come era prevedibile, non sono mancate le contro-manifestazioni, organizzate da gruppi laici e religiosi di ogni ordine e grado, uniti dal comune timore che il matrimonio gay sia il primo passo verso il disfacimento delle società occidentali e, perché no, il segno tangibile di un prossimo Armageddon.

Quando però reazione, paura, conservatorismo e sessofobia superano una certa soglia, le conseguenze possono diventare grottesche.

Lo scorso 28 giugno, a New York, i cronisti inviati a coprire la contro-manifestazione organizzata dal Comitato Ebraico di Azione hanno fatto una strana scoperta. Dietro i cartelli e i manifesti preparati dal gruppo ortodosso, nei quali si affermava la supposta contrarietà della religione ebraica al matrimonio gay, si celavano in molti casi lavoratori messicani pagati a cottimo. In pratica, per rinforzare le fila dello sparuto corteo, i rappresentanti del Comitato hanno preferito ingaggiare dei figuranti (presumibilmente cristiani) piuttosto che esporre i giovani studenti della Sinagoga alle immagini “shoccanti” della manifestazione LGBT che sfilava in concomitanza. I yechivah boys (I giovani che studiano la Torah, il Talmud e il giudaismo) sono dunque rimasti a casa, chini sui libri, mentre una pletora di Sanchez e Fernandez è scesa in piazza innalzando cartelli e scandendo slogan ostili all’indirizzo del Pride.

La messinscena non ha comunque contribuito a rilassare gli animi e quando i due gruppi si sono sfiorati la polizia non è riuscita ad evitare che si arrivasse a uno scontro, benché di lieve entità.

Come rivela Vice, quella che potrebbe sembrare un'iniziativa isolata di un gruppo troppo piccolo per farsi notare, fa invece ormai parte di una sorta di prassi. Esistono infatti società di servizi specializzate nel creare folle a richiesta per ogni tipo di necessità. Una delle più importanti è nata a Los Angeles due anni fa e si chiama, appunto, Crowds on Demand.

 

Foto: Wikipedia Commons.

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