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 Home page > Attualità > Società > Non ci sono bombardamenti buoni

Non ci sono bombardamenti buoni

di Olivier Turquet

Il terrorismo ha sicuramente raggiunto un obiettivo: quello di terrorizzare un buon numero di persone. Non ci stupisce, dato che l’obiettivo ovvio e unico del terrorismo è quello di seminare terrore. Questo, per inciso, lo differenzia dalla guerriglia, nelle sue varie forme. La guerriglia pretende di essere una forza i liberazione che ritiene opportuno usare mezzi violenti per risolvere situazioni di oppressione e di ingiustizia. Non siamo d’accordo sui mezzi ma sì sui fini.

Col terrorismo non siamo d’accordo su nulla. E siamo d’accordo con Chomsky quando dice che il modo migliore di combattere il terrorismo è smettere di praticarlo.

Perché nelle forme di terrorismo dovremo inserire tutte le pratiche di violenza che i vari popoli hanno subito da una serie di istituzioni e governi che con qualche giustificazione ideologica (la civiltà, la guerra umanitria, la superiorità della razza…) hanno: torturato, assassinato, fatto colpi di stato, armato terroristi, invaso paesi, rifilato embarghi, fatto bombardamenti ecc.

I bombardamenti, in particolare nelle guerre attuali, sono atti terroristici. Non esistono bombardamenti intelligenti, né bombe intelligenti, ma soprattutto non esiste l’invenzione del bombardamento chirurgico, di quello mirato sugli obiettivi militari. Sarebbe sufficiente anche solo ascoltare qualunque racconto dei bombardamenti in Italia dell’ultima guerra mondiale per capire, al di là dei devastanti effetti immediati, quali sono gli ugualmente devastanti effetti sulla mente delle persone che li subiscono. Gli unici scopi dei bombardamenti sono terrorizzare le popolazioni e guadagnare soldi (le bombe vanno ricomprate). Credo che se si potesse mettere su un tavolo un grafico di comparazione tra il numero di guerre in corso e l’andamento del mercato delle armi si potrebbero notare coincidenze interessanti.

In secondo luogo (casomai non bastasse il primo argomento), trattandosi di terroristi sparpagliati sul territorio, non esiste nulla di più inadeguato dei bombardamenti per combatterli dato che è difficile sapere dove si trovino e dove siano le loro basi. Pragmaticamente potremmo bombardare le installazioni di petrolio che controllano ma, curiosamente, quello non è mai un obiettivo dato che ci sono altri interessi che si preoccupano che certe fonti di guadagno non vengano danneggiate.

Se qualcuno volesse combattere seriamente l’ISIS comincerebbe semplicemente per non comprargli più il petrolio (merce che necessita di abbastanza infrastruttura per essere venuta e trasportata all’acquirente); potrebbe poi continuare bloccando le carovane di rifornimenti che tutti i giorni approvvigionano lo “Stato Islamico” e le cui foto si possono reperire con una banale ricerca su Google (battere “rifornimenti all’ISIS”). Non sarebbe male nemmeno, come proposto da arie parti, smettere di intrattenere relazioni con coloro che continuano a rifornire i terroristi.

Una campagna mondiale di boicottaggio di chiunque sia anche vagamente connivente col terrorismo metterebbe alla luce molte zone d’ombra nell’apparente unanimismo anti-ISIS.

E se qualcuno anche solo si azzarda a sventolare la bandiera della “risposta necessaria” diremo con ancora più forza che la violenza non è mai necessaria; che, al contrario, la violenza genera solo altra violenza e che c’è un solo modo di spezzare la catena: il vuoto, la non-collaborazione della nonviolenza, della retta parola, dell’agire in coerenza ai propri sentimenti e alle proprie idee, del trattare gli altri come si vuol essere trattati.

Sono impressionati le testimonianze di questi giorni verso questo nuovo desiderio di fratellanza, di aiuto, di comprensione, di reciprocità, di semplice abbraccio di chi è diverso da me ma uguale nella luce delle candele, nella comunanza della morte, nella essenza umana. Queste testimonianze chiamano quella Nazione Umana Universale che dal futuro ci aspetta: un mondo che, tra le tante cose, dice “mai più guerra, mai più violenza!”. Twitta e tagga in tuoi post con #stopviolence #stopviolenza.

(Foto di http://arabpress.eu)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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