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Mubarak: si ferma il cuore del raìs senza cuore

Dicono sia morto ma tenuto in vita dalle macchine che compiono ciò che neppure il defibrillatore è riuscito a fare: ridare vita al suo cuore. Un amico egiziano chiosa “Il cuore di Mubarak non batteva da troppo tempo, lui non viveva per il popolo ma per il potere e la vanagloria”. Non si riferisce a quel che è accaduto dal 25 gennaio 2011, l’amico Tariq parla di molto tempo prima, nonostante proprio la rivolta simbolo abbia iniziato a cantarne il “de profundis”. Ora se la vecchia Atropo ha reciso il filo ma i medici per ordini governativi tengono aperti quelli del respiratore artificiale il trapasso verrà spostato solo di ore, facendolo magari coincidere con l’ufficializzazione del nuovo Presidente eletto.

Ascoltare il nome dell’islamista Mursi con un Mubarak non ancora nella tomba potrebbe servire di conforto ai mubarakiani di Shafiq. Oppure no. Comunque lo psicodramma del potere egiziano che fu segna le ultime battute. La già precaria salute dell’ex Capo di Stato si era aggravata proprio in occasione del pronunciamento della recente sentenza del 2 giugno che lo graziava dell’onta della condanna per impiccagione. E soprattutto graziava i due figli che vedevano prescritta l’accusa per arricchimento illecito e operazioni truffaldine coi denari dello Stato. Doveva essere una festa eppure non è servito. L’elevata tensione e l’altissimo rischio di una sentenza estrema devono avere stressato l’apparato circolatorio dell’ottantaquatrenne già malato.

La tivù di Stato per decisione del Consiglio Supremo delle Forze Armate parla di “condizioni critiche successive a un infarto”, ma notizie raccolte dall’agenzia Mena presso i sanitari dell’ospedale cairota dove è stato trasportato dopo l’insulto cardiaco accertano una “morte clinica”. Il giallo è in corso però non durerà a lungo, se la morte c’è il faraone Hosni non verrà imbalsamato. Almeno fisicamente. Potrebbe invece partire la prosopopea del ricordo che gioverebbe comunque ai continuatori della sua opera di laicismo panamericano e conservatore. Del resto tutto questo era in corso anche con l’ultimo atto, presente Shafiq suo ultimo premier, quando il Mubarak senza cuore ordinava di sparare ad alzo zero e polizia, esercito, mercenari tingevano di sangue popolare le strade del Cairo e di altre città. E’ lì che il figlio di buona famiglia avviato a una carriera che porta in alto, non solo nei cieli dell’aeronautica ma nelle file politiche con cui si collocava all’ombra di Sadat, ha perso la faccia del pilota-patriota che s’era guadagnato con la guerra del Kippur. Quelle medaglie erano in verità già oscurate dalla strana sopravvivenza all’attentato fondamentalista che nel 1981 eliminò il Presidente in carica e risparmiò lui che gli era accanto e si riparava durante la deflagrazione. Mubarak subentrò a Sadat e tenne strette le leve del potere per trent’anni.

Strette in ogni modo, con giri di valzer e servilismi come quello verso Stati Uniti e Israele, torture, persecuzioni e condanne a morte degli oppositori. In queste ore il contrappasso sta mettendo sul suo scranno un rappresentante dell’odiata Fratellanza, sebbene dai cieli di Allah il raìs potrebbe osservare un futuro Egitto non diverso dal sistema che anche il proprio regno ha contribuito a costruire.

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