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Modi, il populista bollywoodiano

Se il populismo negli ultimi anni è stato, ed è, una frenesia aggregante capace di mettere radici in differenti sistemi della geopolitica mondiale, è anche vero che il peso specifico che caratterizza alcuni degli interpreti più in voga si relaziona a diverse variabili. 

Insomma il carisma, presunto o recitato, non basta. Donald Trump ha accoppiato spunti eversivi e la potenza dell’impero americano, il suo giro di giostra durato un quadriennio è parso lunghissimo e forse non avrà altre chance. Una meteora? Lui probabilmente sì, non il modello in sé. Altrove dei pesi massimi, laici o parareligiosi, che paiono immarcescibili, Putin ed Erdoğan, da un ventennio orientano a piacimento il rispettivo panorama politico interno. Ci riescono grazie all’indubbia capacità di gestirlo e farlo condizionare da scelte internazionali, anche quelle particolarmente rischiose segnate, accanto agli affari, da intrecci, intrighi, conflitti diretti e per procura. Populisti di cabotaggio inferiore, limitati nell’influenza internazionale come il brasiliano Bolsonaro, e i soggetti piccoli-piccoli alla Viktor Orbán, chiuso sulla sua popolazione, oppure che vivono quel ruolo nella presunzione di poter agguantare incarichi nazionali di primo piano (Salvini e Meloni), fanno parlare di sé solo nei prosceni interni. Ma il populista pop per eccellenza, Narendra Modi, non viene valutato in tutta la sua deflagrante pericolosità. Eppure la ricaduta delle sue azioni sul Paese prossimo a toccare il top demografico mondiale, pur di fronte alla disperante situazione di morte per la pandemia del Covid, risulta inquietante. Dalla sfera legislativa (le norme sull’apartheid verso gli immigrati islamici in Kashmir e le recenti decisioni scagliate contro gli agricoltori) con conseguenti ricadute securitarie e sociali, i tagli ai già scarsissimi fondi per sanità e istruzione, l’uso fondamentalista della religione hindu che va a braccetto col razzismo nazionalista delle formazioni dell’hindutva che fanno dell’esclusivismo e dell’intolleranza il proprio credo e la propria esistenza. La corrispondenza fra il partito di maggioranza e i picchiatori del Rashtriya Swayamsevak Sangh ha trovato nel populista Modi un facilitatore sin dall’epoca in cui l’uomo guidava lo Stato del Gujrat.

Sebbene la violenza sembra lontana mille miglia dall’immagine rassicurante, quasi ieratica, che le sue pose da guru con tanto di filosofica barba propongono e diffondono. La macchina di propaganda di cui gode poggia sui maggiori media nazionali, che ovviamente anche chi l’ha preceduto ha utilizzato a proprio vantaggio come il contestato clan Ghandi. Però gli attuali comunicatori d’apparato non contengono un servilismo che sfiora una ridicola illogicità e trattano gli ascoltatori da infantili creduloni cui si può dire di tutto. Gli ultimi due mesi - quelli delle migliaia di vittime quotidiane di Sars CoV2, delle pire spontanee che cercavano di impedire ulteriori malattie con la putrefazione dei cadaveri, della carenza cronica di posti letto, bombole d’ossigeno, vaccini - vengono tamponati da slogan: “il premier non è apparso perché troppo impegnato”, “non ha parlato perché lavorava, lavorava e lavorava”. A confronto il tanto ridicolizzato regime di Kim appare un sistema aperto al confronto. Comunque ultimamente Modi ha riparlato e ha promesso di far vaccinare 900 milioni di adulti indiani, nonostante tutto ciò che s’era saputo della crisi del Serum Institute di Pune, i contratti stipulati per forniture estere, la fuga del suo manager (cfr. https://enricocampofreda.blogspot.c...). Nell’India odierna basta credere: a Brahma, Shiva, Baba Ramdev e naturalmente a Modi. E soprattutto non essere informati non tanto sulla quantità dei contagi, totalmente fuori controllo nelle forme iniziali e nelle varianti che si producono, compreso il terribile “fungo nero” che gli scienziati non sanno ancora se correlato alla pandemia, ma anche sul numero delle vittime, assolutamente sottostimato, su dove e come vaccinarsi. Non c’è bisogno di chiosare, perché questo accade anche altrove, che l’appartenenza a ceti benestanti è una discreta garanzia di tutela anche sanitaria, ma proprio gli strati diseredati che credono e votano il premier-guru non focalizzano i modi e la sostanza del raggiro. Seguono fedelmente un capo che ama le adunate oceaniche meticolosamente coreografate con danze e musiche che paiono uscire dagli Sudios di Bollywood, che seleziona le interviste, evita i contraddittori con avversari politici e giornalisti incalzanti. Finora gli è andata bene, il popolo continua a guardarlo con occhi incantati, chi gli si oppone conosce la galera, certe regioni vivono da mesi in stato d’assedio. E’ un film destinato a durare?

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