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Moda democratica? Un ossimoro dannoso!

La ricerca disperata di fatturato spinge gli imprenditori fashion a riversare sul mercato prodotti anche di scarsa qualità e di basso valore aggiunto che saranno un boomerang nel prossimo futuro

Ogni giorno migliaia di aziende tessili, che lavorano per il mondo della moda chiudono, principalmente a causa dello spostamento dei clienti committenti su altri siti dal minore costo del lavoro. Sebbene questa sia una visione sommaria di un fenomeno più vasto, la realtà non si discosta tanto da questa visione “semplificata”. I clienti dei piccoli produttori italiani stanno lentamente migrando verso altri paesi meno costosi, anche a costo di rinunciare al made in Italy e le aziende restano senza ordini, o si accontentano di ordini sempre più miseri, a volte da clienti sempre meno sicuri.

Per fortuna c’è il made in Italy, il lusso, l’esclusività delle nostre lavorazioni e dei nostri materiali che ci salva o, al limite, può salvare qualcosa. Le piccole produzioni di nicchia vanno alla grande all’estero e hanno buone possibilità di riuscita e si continua a parlare di artigianalità di esclusività per rilanciare il nostro paese. Prodotti e produzioni dal notevole mark up, che non si preoccupano dei quantitativi perché garantiscono un’ottima redditività.

Non è così.

Ancora una volta ci si accorge che le scelte strategiche e commerciali di molte imprese tendono ad inseguire risultati effimeri ed immediati con operazioni autolesionistiche e di segno opposto a quello che il semplice buon senso suggerirebbe. Una di queste iniziative è quella delle linee di moda “democratiche”.

Già il termine “democratico” riferito ad una linea di moda è sbagliato: non c’è nulla di democratico in una linea creata da una persona, non c’è nessuna collaborazione né suffragio… una linea di moda è sempre “dittatoriale” in sé. Una persona crea e decide: i clienti comprano. Il termine democratico, in realtà è usato impropriamente per mascherare una cosa diversa. Una cosa che nel mondo della moda è considerata negativa, democratico sta per dozzinale, economico, comune… la moda democratica, in questo senso è quanto di meno democratico esista, di fatto è vestire un prodotto scadente, di poco conto in modo falsamente modaiolo per farlo acquistare da chi, normalmente, non avrebbe speso per quel prodotto.

Da tempo si trovano, all’interno di ambienti legati alla grande distribuzione, corner di prodotti, che vengono raccontati come disegnati da grandi marchi della moda e che dovrebbero rappresentare un’alternativa popolare e di grande diffusione della creatività di quei marchi. La clientela non avrà acquistato nulla di riconducibile al marchio “civetta” e la maglietta, o il capo acquistato non sarà fonte di piacere, di distinzione o di buon investimento.

Per il settore (ammesso che la moda sia un “settore”) e per gli imprenditori queste operazioni sono sempre e comunque armi a doppio taglio, palliativi che, a fronte di un’esiguo risultato immediato, comunicano alla clientela che la moda non è un aspetto importante della cultura ed educa il compratore ad un prodotto dalla qualità sempre più scadente e dal prezzo limitato, regalando, ancora una volta, ai competitors esteri una buona occasione per soffiarci un primato che ci rende riconoscibili nel mondo.

Continuare sulla strada dell’abbassamento qualitativo e creativo per salvaguardare fatturati sempre più risicati è un atteggiamento stolto e limitato tipico di chi non dimostra capacità sufficienti e sufficientemente innovative per impegnarsi sul terreno della riconversione e della sfida. Vendere spazzatura alla clientela raccontando che è fine invenzione non è democratico: è truffaldino.

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