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Mio nonno Fernandel: Intervista a Vincent, nipote del grande attore francese

Chi non conosce l’immenso Fernandel, grande amico dell’Italia, interprete di “Don Camillo” nei cinque film, ispirati ai romanzi di successo di Giovanni Guareschi? In tutti noi, questo personaggio custodisce dei bellissimi e piacevoli ricordi. Per quale motivo, ho voluto fare questa introduzione?

In occasione dei cinquant’anni dalla scomparsa dello storico attore francese, ho avuto l’onore e il piacere di poter realizzare un’intervista esclusiva ed unica al nipote Vincent Fernandel, una persona di un garbo, di una gentilezza e di un’educazione senza eguali e non potrebbe essere altrimenti vista la famiglia artistica in cui appartiene, a partire dal nonno e da suo padre Franck Fernandel.

Una confidenza molto speciale che vale la pena di leggere, perché è come se le sue parole avessero la capacità di offrirti una visione più nitida della vita. Vincent è un grande artista. Vanta una carriera di tutto rispetto: giornalista, scrittore, fotografo, documentarista. Un percorso fatto di passione che, come lui stesso ha rivelato in questa intervista, lo aiuta a realizzare i suoi progetti. Grande attenzione sul rispetto e sull’educazione che bisogna avere con le persone che hai di fronte. Un bel ritratto di un giovane artista, molto maturo e preparato.

Non si può aggiungere nulla di più, perché il fatto che abbia ereditato questo cognome la dice lunga sulla professionalità che ha per avere il successo che sta ottenendo: tanti progetti, l’insegnamento nella sua scuola di teatro dove forma giovani attori promettenti, la rappresentazione teatrale in cui sarà protagonista, i documentari, le foto e l’uscita di un libro di fiabe per bambini.

Un curriculum che merita di essere apprezzato per quello che sta facendo con un’idea ben precisa: lavorare con rispetto, senza essere invidiosi e gelosi, verso chi fa il tuo stesso mestiere. Svegliarsi felici con la passione verso quello che si ha senza pretendere nulla in cambio e noi glielo auguriamo con tutto il cuore e l’affetto possibile, proprio come suo nonno ha trasmesso all’Italia.

 

La tua è una famiglia di artisti che ha nobilitato l'arte, rendendola unica. Il cinema, il teatro e la musica sono stati i pilastri della carriera di successo di tuo nonno e di tuo padre. Come ti ci senti a far parte di una famiglia artistica?

“Ho fatto anch’io lo stesso mestiere, ma non perché in famiglia ci fossero già un Fernandel e un Franck Fernandel. Non era un obbligo fare questo mestiere. Io l’ho fatto per passione. Mio padre era molto popolare in Francia, perché aveva fatto un brano musicale che si chiamava “L’amour interdit”, “L’amore vietato”. Andava in televisione, in radio e faceva concerti. Mio padre, quando ritornava a casa, era soddisfatto e contento di quello che faceva. Mi sono chiesto, quando ero bambino, che era un bel mestiere e che anch’io l’avrei voluto fare. È stato così semplice”.

 

Non hai avuto modo di conoscere tuo nonno, Fernandel, grande amico dell'Italia e indiscusso artista dalle qualità superlative grazie alle sue interpretazioni in Don Camillo e in altri film. Ha lasciato bei ricordi nel cuore di tutti gli italiani. Come hai conosciuto l'arte di tuo nonno, anche se è morto prima che tu nascessi?

“Avevo tre o quattro anni. C’era un suo film in televisione, quando mio padre mi disse: “ecco, quello è tuo nonno”. Allora, ho pensato che il suo mestiere era quello di fare l’artista. La mia famiglia era semplicissima. Mio padre e mia madre mi hanno dato un’educazione con equilibrio. Mio nonno era un grande attore di cinema, un artista molto famoso. Era una specie di normalità. Forse, se mio padre e mia madre non mi avessero detto che era un grande e facevamo parte del mondo dell’arte, oggi, sarei diventato una persona diversa. Sono stato educato così per la vita. È importante avere un’educazione con equilibrio. Ancora oggi, non riesco a spiegare come mio nonno sia tanto famoso in Francia, in Italia, all’estero. Erano altri tempi. Una volta, c’era qualcosa di forte, molto artisticamente diverso, vedi i film di mio nonno, di Gassmann e Sordi. C’era un’altra sceneggiatura, grandi registi, grande collaborazione per il prodotto finale. Non c’era solo la grande vedetta, famosa nel cinema, ma tutta la tecnica necessaria per lavorare in maniera collaborativa. Mio nonno faceva parte di tutta questa grande qualità. Oggi, c’è ancora qualità. Il cinema in Francia e in Italia non è molto creativo, c’è molta censura. Sono cambiate molte cose, come il cinema e la televisione”.

 

Nel 2003, hai fatto un vero atto d'amore verso suo nonno, pubblicando il libro "Fernandel, mon grand-père", dove rivela sfaccettature inedite di questo grande personaggio. Come è nata l'idea di pubblicare questo libro e come hai ottenuto le informazioni necessarie per scriverlo? C'è un ricordo particolare di tuo nonno raccontato da tuo padre che ti ha colpita?

“L’ho pubblicato, perché un editore, un giorno, mi ha chiamato e mi ha detto che, per il centenario della nascita di mio nonno, avrei dovuto scrivere un libro. Avevo diciannove anni e gli risposi che ero molto impegnato a studiare e non avevo molto tempo di scriverlo. Alla gente non poteva interessare che io scrivessi un libro su Fernandel. Questo editore ha insistito molto e, alla fine, mi sono chiesto: “Vincent, prova a scrivere venti o trenta pagine da consegnare all’editore”. A lui poteva andare bene quel poco che avevo scritto. Poi, ne è venuto fuori un libro completo. L’idea non era mia, ma dell’editore. Sono delle memorie contenute nel libro. Sono storie che mi ha raccontato mio padre da piccolo, la mia fonte di informazione sensibile con uno sguardo preciso sulle cose. Il libro ha avuto molto successo e sono felice e sorpreso di tutto questo”.

 

Nella tua carriera, hai un curriculum impressionante: giornalista, presentatore, fotografo, scrittore e insegnante di teatro. Come sono maturate queste passioni nel corso degli anni?

“Non riesco a fare una cosa unica, perché mi annoio facilmente. Ne devo fare tante. Mi piace molto lavorare, perché ho la grande fortuna di fare della passione un mestiere. Quando mi sveglio la mattina, sono fortunato a fare un mestiere che mi piace, con tante difficoltà, così come con tutti i mestieri di questo mondo. Ho fatto molte cose, perché è molto bello avere a che fare con persone molto professionali, sensibili e con grande cuore. Mi piace lavorare con persone che diventano amici e con cui ti trovi bene. Se non fai questo mestiere con passione, il successo non può arrivare. Se voglio, posso fare molti soldi con il nome di mio nonno e di mio padre, ma non fa parte della mia mentalità. Se guadagno è perché lo faccio con il lavoro che mi piace. Mi sveglio con la passione di fare le prove a teatro e di fare quello che mi piace. Io, quando guardo alla mia carriera, mi dico: “Vincent, fai le cose con persone di qualità che ti sappiano apprezzare”. Io, fra due anni, compio quarant’anni e, dopo alcuni anni, vorrei essere soddisfatto di quello che ho fatto non solo con i successi, ma anche con i fallimenti, perché la cosa più fondamentale, secondo me, è di prendere esempio da fallimenti. Quello che, ancora oggi, non riesco a comprendere, per una ragione ben precisa, è che alcuni artisti si vergognino dei fallimenti. I fallimenti esistono e menomale che esistono, perché senza i fallimenti non esisterebbe un successo”.

 

Attualmente, sei un insegnante di teatro. Questa passione è stata messa in pratica con Les Ateliers Vincent Fernandel, un laboratorio dedicato alla formazione di giovani talenti e apprendisti nell'arte del cinema, del teatro e della televisione. Come è nata l'idea di questo progetto?

“Questo mestiere lo faccio da circa sei anni. È nato per caso. Ero disoccupato e un direttore di una scuola di teatro mi disse che avrebbe avuto bisogno di qualcuno per lavorare con i suoi attori. Agli inizi, non ero molto convinto. Avevo bisogno di guadagnare qualcosa e mi sono deciso di fare il professore di teatro. Per fortuna, l’ho fatto. Mi sono innamorato della formazione in maniera enorme. Ho fatto il professore di arte drammatica per sette anni in diverse scuole a Parigi, ma, poi, ho pensato che mi sarebbe piaciuto avere una scuola tutta per me, piccola, con pochi alunni e di avere il tempo di far lavorare tutti con grande merito. In Francia, non so se anche in Italia, ma le scuole di teatro sono delle fabbriche: sessanta alunni per un corso di tre ore. Non è bello che questi alunni, appassionati, paghino molti soldi per andare in scena tre o quattro volte al mese. Io, secondo le mie idee, ho pensato che sarebbe stato meglio organizzare una cosa con poche persone, ma di qualità, con il tempo di farlo al meglio. La mia scuola è microeconomica, dove ci sono pochi alunni, ma c’è il tempo di lavorare bene e, soprattutto, mi prendo il tempo di conoscere ogni personalità, ogni maniera tipica di lavoro di ogni singolo alunno, perché sono tutti diversi. Una persona non può comprendere una cosa come la può comprendere un’altra. Per questo, è importante mescolare l’educazione della persona e l’arte che hanno dentro. Sviluppare il lato artistico, oltre che umano. Questo non mi potrei permetterlo di farlo con trenta o quaranta alunni in un corso di tre ore”.

 

Qual è la lezione che tuo padre ti ha lasciato da tuo nonno e che potrebbe essere da stimolo per quello che fai ogni giorno?

“Una domanda molto interessante. Non c’è una lezione, ma una mentalità e un’etica. Prima di tutto, avere la sua vita privata. Mio nonno e mio padre non hanno mai usato la moglie o la fidanzata per fare business. È una cosa orrenda. La vita privata non si può mischiare con lo show business. Non bisogna essere invidiosi, gelosi o cattivi, perché gli altri hanno molto più successo di te. Quello che conta è di avere una buona mentalità e rispettare il lavoro degli altri, perché senza il lavoro degli altri in questo mestiere non siamo nessuno. Se quando faccio i corsi, le foto per i documentari e le prove per la mia nuova opera teatrale, non c’è nessuno, io sono niente. Questa è la mentalità. Più che una lezione è un’etica, privata e professionale. Siamo meridionali e possiamo fare o dire delle cose più aggressive, perché, essendo marsigliesi, nel Sud della Francia, c’è questo tipo di atteggiamento. Ce lo abbiamo nel sangue, come penso ci sia anche in Italia, avendo anch’io sangue italiano da parte di mio padre e di mia madre. Peccato che io non sia italiano. Mi sarebbe piaciuto conoscere Sordi, Gassmann e altri attori che hanno fatto grande l’Italia e la ringrazio per l’amore immenso che ha avuto per il mio grande nonno”.

 

A proposito di tuo nonno, quando lo vedi in televisione, c’è qualcosa che ammiri in lui? Quali sono i suoi film preferiti? Se avessi avuto l’occasione, ti sarebbe piaciuto lavorare con lui?

“La cosa che ammiravo di più in mio nonno era la precisione dell’attore. È la stessa cosa che facevano i grandi attori dell’Italia che amo molto come Sordi, Gassmann, Manfredi, Stefania Sandrelli. Passare dalle risate al dramma profondo. È il principio della commedia all’italiana, nella quale ridiamo molto. Oltre a questo, c’è qualcosa di più profondo. Penso che mio nonno avesse questa potenza di passare dall’ironia al dramma. Il dramma è una cosa che mi piace molto. La gente ha la memoria di un Fernandel molto gioioso e con la risata facile, ma, per me, è prima di tutto un grande attore drammatico. Quando ha iniziato a lavorare nel cinema con Marcel Pagnol, negli anni trenta e quaranta, interpretava parti drammatiche. Poi, è divenuto un attore comico. Parliamo dei romanzi di “Don Camillo” di Guareschi che hanno ispirato i cinque film. Guareschi era un autore italiano e i film di “Don Camillo” avevano questo aspetto, drammatico e divertente. Penso che i film “Don Camillo” rappresentassero bene mio nonno, perché la sceneggiatura italiana aveva questa potenza, passava dal riso al dramma. I film che preferisco di mio nonno sono quelli più drammatici. Mio nonno ha lavorato molto con un famoso regista francese, Henri Verneuil, con cui ha fatto cinque film. Quello che preferisco è “Le fruit defendu”. È la storia di un medico di campagna che è innamorato di una giovane e causa, in lui, molti guai nella sua vita. Un ruolo e un film molto profondi. C’è un altro film che non è molto famoso, “Destinazione marciapiede”, in cui mio nonno interpreta un paesano. Scopre che la sua figlia è una prostituta e parte alla sua ricerca, per capire che cosa si nasconde dietro questa storia. È un film molto emozionante.

Più che lavorare con mio nonno, mi sarebbe piaciuto avere il tempo di parlare con lui. Non credo alla morte. Si, la morte esiste. Le persone non ci sono più sulla terra, ma, per me, c’è un’altra dimensione che non possiamo toccare e che non possiamo capire nel modo nel quale vivono. Quando ho bisogno, faccio qualche domanda a mio nonno e a mio padre. Se c’è una bella risposta, è contento. Se, invece, è al contrario, non lo è abbastanza. E come se mi dicesse: “eh, ma non è una bella domanda”. La morte non separa dalla vita. Secondo me, la vita continua in dimensioni diverse. Per questo, amo molto la letteratura e i film che parlano di questo argomento. Non è una cosa magica o esoterica. È molto normale. Le persone possono vivere in molti modi. Siamo esseri umani. La nostra comprensione è un po’ limitata della vita che conosciamo. Ho conosciuto molto bene mio padre. Abbiamo fatto molte cose insieme e mi ha insegnato molte cose sul mestiere e sulla vita. Con mio nonno, è la stessa cosa. Non l’ho conosciuto direttamente. Quando guardo in cielo, tra le nuvole, mi dice che gli esseri che se ne vanno sono qua. Non ho una spiegazione profonda. Due o tre anni fa, ho fatto un grande viaggio in Nuova Zelanda, con un giornalista per la pubblicazione di un libro che racconta la storia del popolo della Nuova Zelanda. Ho scoperto che qualcosa si è aperto in me, perché viaggiando in questo paese, molto lontano, non c’è molta differenza tra la vita e quella nello spirito. Ho fatto questo viaggio in un momento molto importante della mia vita. Mi ha fatto scoprire e conoscere molte cose che sentivo da piccolo. In questo paese, c’è una specie di illuminazione. Ho capito molto meglio che cosa significhi essere in connessione con la gente che sta sulla terra con quella che esiste in un’altra dimensione”.

 

Che progetti hai per il futuro?

“La scuola di teatro continua con i miei corsi che vanno molto bene, così come la mia passione per il mondo della fotografia. Quest’anno, metterò in scena la nuova opera di teatro di cui stiamo facendo le prove. Parla della condizione della donna in Francia negli anni settanta. Mi piace molto. L’ho scritta insieme all’autrice Elisa Ollier. Si chiama “Mona”. Un altro progetto è lo spettacolo in cui reciterò presto. Si chiama "Opéra Fantôme", firmato da Gilles Verdiani per il testo e Nils Thornander per la musica. Un anno fa, ho pubblicato un libro per bambini sulle famose favole di Jean de la Fontaine del XVII secolo. È un libro in cui racconto le favole con musiche. C’è, oltre al libro, il cd. È una cosa che ha avuto molto successo in Francia. Ero molto sorpreso. A ottobre, uscirà il nuovo libro. In questo, ci saranno i racconti di Perrault, Andersen e di altri autori per i piccoli. Ci sono tante cose messe insieme che spero, con la situazione attuale che stiamo vivendo, si possano realizzare”.

 

Credit Photo: Sophie Di Malta

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