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Microtasse, maxi imponibili e compleanni amari

Un rapido sguardo al menù elettorale liberaldemocratico e repubblicano. Abbiamo letto di molto peggio ma restano ampi margini di miglioramento

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Presentato il cosiddetto “patto repubblicano”, cioè l’offerta elettorale di +Europa e Azione. Qui trovate il testo. Per parte mia, vorrei fare un rapido commento su alcuni punti, premettendo che questi programmi liofilizzati hanno soprattutto valore di posizionamento e segnaletico, e che quindi occorre leggerli col necessario disincanto.

In particolare, al capitolo fisco, e preceduto da una intervista di Carlo Calenda al Corriere, leggiamo:

Nessun taglio di tasse può essere fatto ricorrendo a deficit aggiuntivo. 

IL GIANO IRCOCERVO PARACULO

Che mi pare il minimo sindacale in un paese come l’Italia, oppresso dalla strana figura di un Giano ircocervo paraculo, il keynesian-lafferista. Che sarebbe? Si tratta del personaggio che, volto a sinistra, propugna poderosi aumenti di spesa pubblica in deficit, convinto che il moltiplicatore di tale spesa sarà così elevato da generare una crescita che, mediante imposte, più che ripagherà l’iniziale deficit.

Il nostro Giano-ircocervo-paraculo, però, quando si volge a destra invoca tagli delle tasse a deficit perché, come il buon Laffer, è convinto che la spinta terrificante alla crescita andrà a ripagare l’iniziale deficit da taglio delle imposte. E vissero tutti felici e contenti. Tranne le prossime generazioni, che quel deficit e debito dovranno ripagare.

Prosegue il paragrafo sul fisco:

Andrà data piena applicazione alla delega fiscale, e studiata la possibilità di spostare la tassazione dal lavoro e dalla produzione alle transazioni digitali, al fine di ridurre l’evasione e aiutare le famiglie e le imprese. Il gettito aggiuntivo derivante da questo spostamento del carico fiscale e dall’efficientamento della spesa, andrà utilizzato per un taglio di 2 punti di PIL su IRAP e Irpef sui redditi medio bassi, a partire dai giovani. 

LA CORNUCOPIA DELLE TRANSAZIONI DIGITALI

Questo è il punto preannunciato da Calenda nell’intervista al Corriere. Ma cosa sono, le “transazioni digitali”? Sui social regna l’incertezza. Alcuni pensano si tratti di una versione aggiuntiva della Tobin Tax, la disgraziata imposta che da noi raccoglie briciole. Altri pensano si tratti di una sorta di web tax, prima che vada in vigore la difficile riforma globale della tassazione delle multinazionali e delle loro articolazioni prive di stabile organizzazione nei paesi in cui operano.

Ora, “due punti di Pil” sono circa 36-37 miliardi di euro. Nell’intervista, Calenda parlava di una “microtassa” dello 0,1%. Curiosamente, questa è l’attuale aliquota della Tobin Tax. Se invece parliamo di transazioni digitali come e-commerce, dobbiamo decidere quale sarebbe la base imponibile.

Parliamo di B2B, cioè di transazioni tra imprese, o di B2C, cioè di consumatori che comprano online? Come che sia, se applichiamo lo 0,1% a una base imponibile X e puntiamo a raccogliere una quarantina di miliardi, con un complesso algoritmo arriviamo a inferire che tale base imponibile X è pari a 40 mila miliardi di euro. Mica male. Forse stiamo pensando di tassare il pianeta? Ci soccorre la salvaguardia di quella formula magica, “efficientamento della spesa”. Quindi non tutto è tassato, pardon, perduto.

Inoltre, a me non quadra moltissimo il concetto di “micro-tassa”. Che forse, negli intendimenti di comunicazione politica, dovrebbe intendersi come “quantità trascurabile” ma che invece rischia di produrre una sensazione di fastidio (anche col ph) amplificata, in un paese dove le micro-tasse abbondano e a intervalli regolari vengono accorpate in tasse uniche (di media taglia) per meglio occultarle, per amor di paradosso ma non troppo.

Mi sentirei di escludere che “transazioni digitali” sia da riferire ai pagamenti con moneta di plastica. Anche perché, se così fosse, rischierebbe di essere una sorta di incentivo all’uso del contante, a meno di andare a monte e tassare anche i prelievi bancomat. Paura, eh?

COMPLEANNI AMARI

In attesa che qualcuno ci illumini, proseguo con la proposta fiscale che interseca quella sul mercato del lavoro:

L’emigrazione di giovani è, tra le altre cose, un concreto rischio alla sostenibilità del welfare. Per questa ragione proponiamo un taglio delle tasse totale per i giovani fino a 25 anni e del 50% per chi è nella fascia di età tra i 26 e i 30. 

Si tratta di una detassazione su base anagrafica, quindi. E qui ho un problema: i redattori del programma hanno valutato gli impatti sulle aliquote marginali effettive per il phase-out (o décalage, se siete francofili) della misura? Spieghiamo: il nostro giovane amico non paga tasse (quindi Irpef; per i contributi nulla si dice, credo) fino ai 25 anni di età.

Il giorno del suo ventiseiesimo compleanno il nostro giovane amico si intristisce, perché riceve un regalo di dubbio gusto: la tassazione Irpef, sia pure per metà aliquota di quelli che hanno il suo stesso reddito ma non hanno la fortuna di essere così giovani. Sorvoliamo su problemi di equità orizzontale, che peraltro in questo paese sono diventati una sorta di ubbia per puristi.

Ma il peggio arriva al compimento del trentesimo compleanno: l’Irpef raddoppia! Il nostro giovane amico non si metterà a citare la famosa frase di Francesco Totti (speravo de morì prima), ma di certo sarà contrariato. E, a trent’anni, potrebbe valutare di fare la valigia e fare ciao ciao con le mani, con i piedi e con altre parti anatomiche.

SALARIO MINIMO, QUALE E DOVE?

Ancora sul lavoro, ecco ulteriori spunti:

Occorre da subito mettere in atto una lotta senza quartiere alla povertà lavorativa facendo una legge sulla rappresentanza per cancellare i contratti pirata, stabilendo un salario minimo legale, nel solco della direttiva europea che sta per essere approvata, per proteggere chi non è coperto dalla contrattazione collettiva e chiudendo le cooperative nate solo per sottopagare i lavoratori.

Il riferimento alla “direttiva europea” è una forzatura, o forse una licenza poetica. Obiettivo di quella direttiva è incentivare la contrattazione collettiva sino al target dell’80% della forza lavoro. L’Italia è già in questa situazione. Certo, si può fare di meglio e togliere di mezzo i famosi “contratti pirata”, ma in quel caso non si passa dalla fissazione di un salario minimo ma dall’estensione erga omnes delle tabelle retributive dei contratti maggiormente rappresentativi.

Che forse è quello che gli estensori del documento si prefiggono oppure no, visto che subito dopo parlano invece esplicitamente di salario minimo:

L’ammontare del salario minimo verrà definito non dalla politica (il che darebbe vita ad una pericolosa corsa al rialzo), ma da una commissione indipendente.

Quindi, vediamo: fuori legge i “contratti pirata” a vantaggio di quelli più rappresentativi, a patto di vincere le resistenze sindacali (e datoriali) sulla determinazione di criteri oggettivi di misurazione della rappresentanza, ma viene chiesto anche di stabilire un salario minimo, quindi niente minimi tabellari dei contratti rappresentativi. Un potenziale mischione, mi pare.

A meno che la commissione indipendente (come da esperienze estere) non suggerisca valori di salario minimo ampiamente inferiori alle soglie tabellari minime dei singoli comparti. Ci vedo il potenziale per confusione e conflitti vari ma posso sbagliarmi. Nessun riferimento alle diseguaglianze territoriali del potere d’acquisto, però. Un problema che prima o poi andrà tolto da sotto il tappeto, prima che ci rovini addosso.

Ribadisco la mia opinione: il salario minimo va legato alla contrattazione decentrata, direi a livello territoriale se non vogliamo essere così brutali da portarla a livello aziendale. Altrimenti, o resta una pura misura “declamatoria” oppure interferisce pesantemente con la contrattazione collettiva, sino al punto di affondarla. Ma tutte queste sono problematiche che conosciamo da sempre. E comunque, e non vale solo per gli amici di +Europa e Azione, bisognerebbe fare uno sforzo per comprendere perché, in un ecosistema economico, esistono “contratti pirata”. Che forse sono la reazione adattiva all’onerosità di sistema. Messa fuorilegge questa forma di snorkeling, ci resta l’apnea: cioè il sommerso puro.

DELOCALIZZARE IL BARETTO

Interessante, e mutuata direttamente da una proposta del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, questa:

Per compensare gli effetti dell’inflazione nel ’22 e nel ’23 verrà consentito ai datori di lavoro di recuperare il 50% (credito d’imposta) di una mensilità in più, interamente detassata e decontribuita, che verrà erogata al lavoratore. 

Scholz ipotizza la decontribuzione piena ma noi abbiamo meno soldi dei tedeschi, notoriamente. Saldato nello stesso paragrafo, troviamo anche questo:

Lo smart working è un’opportunità per i lavoratori e le imprese. E tuttavia gli effetti sul tessuto urbano e sul settore immobiliare sono potenzialmente dirompenti. Andrà istituita una commissione per comprenderne a fondo le conseguenze e predisporre adeguate politiche di riconversione degli spazi urbani.

Che mi pare una strizzata d’occhio alle tesi delle organizzazioni dei pubblici esercizi. Che sarebbe la “riconversione degli spazi urbani”? Una cosa tipo “delocalizzazione” in periferia dei bar, rigorosamente sussidiata? E se non ci fossero i soldi, questa “commissione” (formata da chi?) arriverebbe a caldeggiare di vietare lo smart working? Ah, saperlo.

Direi che può bastare, tutto il resto potete leggerlo da soli e farci su una riflessione. Non ho toccato il tema della riforma del reddito di cittadinanza perché mi pare tratteggiata in modo abbastanza sbrigativo. Temo poi che la “militarizzazione” come risposta alle sindromi Nimby su infrastrutture strategiche sia molto problematica, non solo in Italia. Sul demenziale Superbonus 110% e altri sussidi edili, bene la prova dei mezzi e contributi necessariamente ridimensionati. Ma non serve grande sapienza elaborativa: basta non credere all’esistenza del moto perpetuo.

Questa non è necessariamente una stroncatura del programma-manifesto ma la constatazione di quanto sia difficile organizzare un’offerta politica e gestire la domanda di intrattenimento e avanspettacolo che l’elettorato insiste a esprimere.

Foto di Darkmoon_Art da Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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