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“Memory for the Future. 40 anni di Ikona Gallery a Venezia”

Presentato il catalogo della mostra alla Fondazione Levi

Un nuovo spazio aperto, ricavato nel piano terra di Palazzo Giustinian Lolin, sede della Fondazione Levi, viene utilizzato per la prima volta per ospitare la mostra “Memory for the Future. 40 anni di Ikona Gallery a Venezia”, in corso dal 17 novembre al 26 gennaio. A distanza di un mese dall’apertura, nel salone della Fondazione, dove hanno luogo conferenze e concerti, è stato presentato il ricco catalogo della mostra, edito dalla Fondazione stessa, con numerosi e interessanti saggi, scritti di introduzione ai cataloghi di alcune mostre promosse da Ikona dalla pittrice e gallerista fondatrice, Ziva Kraus, interviste a lei stessa, che ha curato il catalogo assieme al direttore della Levi Giorgio Busetto. Entrambi presenti, hanno parlato di Ikona assieme allo storico dell’arte Ernesto Francalanci.

Ma chi è Ziva Kraus? Ziva Kraus, nata a Zagabria il 4 ottobre 1945, è un’artista e gallerista croata trasferitasi in Italia in giovane età, che scelse di stabilirsi a Venezia nel 1973, ascoltando una voce interiore. A lungo assistente di Peggy Guggenheim, la celebre collezionista americana, che si era stabilita a Venezia a Palazzo Venier dei Leoni, trasformandolo nella sua casa-museo, nel 1979 la Kraus fondò la galleria Ikona nei pressi del ponte di San Moisè, dal 2003 nella sua attuale sede in Campo del Ghetto Nuovo. Dieci anni dopo avrebbe fondato anche Ikona Venezia, International School of Photography.

In un lato della piccola, ma confortevole sala che accoglie l’esposizione, si possono ammirare 28 manifesti in bianco e nero relativi alle mostre realizzate da Ikona durante il periodo iniziale della galleria (dal 1979 al 1983). C’è anche una installazione curata dai designer Simone Serlenga ed Elena Veronese, oltre ad una serie di foto significative. Se ne esce con la sensazione che la galleria Ikona, oltre ad affermare la fotografia a Venezia, ha segnato apertamente le tendenze del mondo dell’arte. Come si legge nell’intervento scritto per il catalogo da Andelko Mihanovic, “in questo senso questa mostra è una sorta di lavoro in corso e, in linea con la tradizione di Ikona, inaugura questo spazio espositivo e lo afferma in un modo nuovo. Allo stesso tempo, dimostra che Ikona guarda sempre al futuro, soprattutto in occasione del 40°anniversario della sua fondazione”.

Mi sembra utile, per scoprire la personalità di Ziva Kraus, riportare alcuni suoi pensieri e considerazioni, in evidenza tra le pagine del catalogo o tratti da interviste più o meno recenti (ad esempio quella concessa ad Ilaria Baratta lo scorso ottobre). “Sono venuta a Venezia come straniera e ho accettato di esserlo. So benissimo di essere come una comparsa sul palcoscenico, una che passa, magari sempre uguale. Io vorrei essere invisibile, ma per fortuna sono nel movimento. Anche la mia pittura è tutta nel pastello, nel pigmento fragile, mobile”.

“Ho scelto di creare una galleria di fotografia, perché non c’era nulla in città dedicato alla fotografia, per me era una sorta di imperativo categorico”.

“La galleria è uno spazio tipico per una città, una vetrina, un punto di raccordo interno/esterno, come avviene per la crescita di una persona che porta il suo sguardo all’esterno, per poi esistere nell’interno. Ma a Venezia questo fatto di vivere la città attraverso anche il dialogo con le persone non esiste”.

“Io da sempre anche oggi cosa faccio? Sono un messaggero fra l’opera e il pubblico”.

“Soprattutto credo che mi abbia aiutato la mia totale determinazione e convinzione della necessità di quello che volevo fare”.

Tra le foto, singolare quella di Gisele Freund, che ritrae ne1939 Andrè Gide sotto la maschera di Leopardi. Magica quella di Paolo Monti che riprende nel 1950 una gondola avvolta nella nebbia. Si va indietro nel tempo al1870 con la foto di due monaci giapponesi, scattata da Simone Beato. E ancora, la Parigi del 1950 di Robert Doisneau, il Central Park di New York di Bruce Davidson (1991), l’isola di San Michele, sede del cimitero di Venezia, dove tra gli altri riposa Stravinskij, in una stampa a colori di John Batho del 1994.

Come ha sottolineato Francalanci nel suo intervento, anche se ci sono fotografie che possono non piacere, non c’è nemmeno un’immagine sbagliata, ossia che possa solleticare una sorta di voyeurismo.

La mostra è visitabile tutti i giorni, lunedì escluso, ad ingresso libero, dalle 16 alle 20.

Foto di Wolfgang Moroder./Wikipedia

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