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Maschio Padrone: riflessioni e cronaca nera in vista dell’8 marzo

di Erminia Borzì

Il 25 novembre scorso si è celebrato l’International Day for the Elimination of Violence Against Women. Questa giornata è stata istituita in memoria delle tre sorelle Mirabal, barbaramente uccise, nel 1960, a bastonate da agenti del Sim (Servizio Informazioni Militari) della Repubblica Domenicana, durante la dittatura trujillista.

L’8 marzo, si celebra, come ogni anno, la festa delle donne, ricorrenza che fu istituita per commemorare 129 operaie dell’industria tessile Cotton di New York, che trovarono la morte l’8 marzo 1908, quando il proprietario, Mr Johnson, sbarrò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie, dopo giorni di sciopero, di uscire dall’edificio. Non fu mai appurato se lo stabilimento prese fuoco involontariamente o fu un incendio doloso. Le operaie arsero vive insieme alla fabbrica di cotone e con loro la speranza di un salario più dignitoso.

Rosa Luxemburg, classe 1871, famosa teorica socialista e rivoluzionaria tedesca di origini ebraiche, propose che l’8 marzo fosse la giornata internazionale a favore delle donne, delle lavoratrici e di tutte coloro che si sacrificarono per un ideale.

Con l’affermarsi del consumismo, la festa della donna ha smesso la veste celebrativa dell’evento tragico della New York dei primi del secolo XX e si è trasformata in una festa commerciale come le commemorazioni dei defunti, dei santi e delle feste comandate.

Attraverso questa ricorrenza vorrei ricordare quelle donne che “amano troppo”, per citare la psicologa e scrittrice, Robin Norwood, che negli anni ’70, scrisse il famoso libro, pubblicato dalla Feltrinelli: "Donne che amano troppo". Donne che spesso amano troppo prima i propri padri, severi, freddi e violenti, e, in seguito, superato il complesso di Mirra, riversano le proprie attenzioni su uomini simili ai loro padri. Donne che trovano la morte per mano di questi uomini.

Lo scorso 4 marzo, per citare una notizia molto recente, a Brescia, Francesca Alleruzzo di 34 anni, ha trovato la morte, insieme alla figlia ventenne e ad un amico, per mano dell’ex marito, Mario Albanese, che l’attendeva armato all’interno dell’abitazione della donna.

La recente statistica ha evidenziato un dato allarmante: ogni tre giorni viene uccisa una donna e si tratta sempre di “amori criminali”, per usare un’espressione che ricorda la trasmissione RAI, condotta da Camilla Raznovich, Amore Criminale. Nel 2010, questa trasmissione denunciava l’assassinio di 127 donne, avvenuto per mano dei propri mariti, fidanzati o compagni. Il promo della trasmissione diceva: “In Italia, sempre più donne vengono uccise da un uomo, se subisci violenza, non ti vergognare, parlane. Se sei una donna che subisce violenza non chiuderti nel silenzio, non nascondere i tuoi lividi. Non avere paura di chiedere aiuto, la violenza si può fermare”.

Amore Criminale evidenziava che il 70% delle violenze alle donne avveniva dentro le mura domestiche. Nel 2012 la percentuale è aumentata in maniera allarmante e c’è da chiedersi se aumenterà ancora.

Sono del parere che non basterebbero i muri di un’intera metropoli per nominare le vittime di questa insensata violenza. Quindi non potrò citarle tutte in questo articolo. Raccontare alcune storie può rendere omaggio a tutte queste donne. La dinamica è sempre la stessa: sono i no delle donne a far scattare in alcuni uomini, di basso profilo culturale, l’istinto omicida.

Il ministero delle Pari Opportunità, il 23 febbraio 2009, aveva presentato un decreto legge (D.L. 11/2009), che contrastava le violenze sessuali o altre forme di violenze (anche psicologiche) perpetuate soprattutto sulle donne. Tale iniziativa è rimasta purtroppo in fase embrionale (disegno di legge sugli Atti persecutori) e non ha ancora raggiunto la fase definitiva. Lo stesso ministero aveva sentito la necessità di proporre questo decreto legislativo, dopo aver esaminato i dati Istat 2006/’07: “25mila donne tra i 16 e i 70 anni, il 18,8%, ha subito violenza fisica, psicologica, sessuale o atti persecutori da parte di un partner. Quasi il 50% delle donne ha subìto atti persecutori da parte del partner. Il 68,5% degli ex partner ha cercato insistentemente di avere un contatto telefonico con le vittime. Il 61,8% ha chiesto ripetutamente appuntamenti con le ex compagne. Il 57% degli stalker ha aspettato le vittime fuori dalle abitazioni, da scuola o dai posti di lavoro. Il 55, 45% degli ex partner ha inviato messaggi, telefonate, e-mail, lettere o regali indesiderati alle proprie vittime. Il 40,8 % le ha pedinate o spiate.

Il quattordici agosto 2006, Hina Saleem, una ragazza pakistana di Sarezzo (Brescia), è stata sgozzata dal padre e sepolta nell’orto di casa da alcuni suoi familiari. Hina si era rifiutata di obbedire agli ordini del padre che voleva rimandarla Gujrat, in Pakistan, perché sposasse un suo cugino. Il no secco della ragazza ha scatenato la furia omicida del padre. Quando i carabinieri del Ris hanno disseppellito il corpo di Hina, la ragazza era coperta da un lenzuolo bianco e la sua testa era rivolta verso la Mecca.

12/08/2007, sul sito dell'Uaar si legge: “Caccia alle streghe: in India ancora vittime. Oltre 700 le donne uccise nel 2006”. Questo articolo denuncia una pratica che in Europa veniva attuata nel Medioevo e in seguito anche dal tribunale della Inquisizione, in tempi a noi molto più vicini. Le donne sospettate di stregoneria venivano condannate a morte. Questo fenomeno, ancora presente nel “Terzo Mondo”, è causato dalla scarsa istruzione, che alimenta la superstizione, dalla povertà, dai cattivi raccolti, dalla elevata mortalità infantile, dalle malattie croniche e dalla siccità. “La soluzione resta identica”, spiega la giornalista indiana Tara Ahluwalia: “individuare la strega responsabile e punirla. Etichettare una donna come strega è il modo più semplice per avere più terra, cancellare le dispute o vendicarsi se lei ha rifiutato una proposta sessuale”. Si tratta, quindi, di colpire un soggetto debole, privo di protezione, non appartenente a qualche clan che possa difenderla. Significa “conquistare la terra di nessuno”. Come nella Savana, la belva attacca l’animale più debole, colui il quale non può difendersi da solo.

16/06/2008, il giornale l’Unità titola: “Ti amo perciò ti uccido”, anticipazione del libroAmorosi Assassini. Storie di violenze sulle donnescritto da tredici autrici (Editore Laterza). Questo libro racconta, in ordine cronologico, 300 storie di violenze subìte da donne in Italia, nel 2006.

La Casa delle Donne di Bologna Onlus, l’8 marzo 2010, ha denunciato che, tra il 2006 e il 2009, le vittime sono state 439.

Anno 2006: 101 donne uccise

Anno 2007: 107 donne uccise

Anno 2008: 112 donne uccise

Anno 2009: 119 donne uccise

Il 3 ottobre 2011, cinque operaie di un “opificio clandestino” trovano la morte in un palazzo di tre piani nel centro storico di Barletta. Muore anche la figlia del proprietario della fabbrica, una ragazza di quattordici anni. I residenti della zona denunciarono che non era possibile parlare di fatalità perché tutto il palazzo era pericolante e pieno di lesioni.

Questi dati hanno evidenziato come negli ultimi tempi, forse anche a causa della crisi economica, l’aumentare dello stress psico-fisico e della difficoltà di instaurare rapporti di coppia sani e duraturi, le violenze sulle donne abbiano raggiunto un livello difficile da contenere. Bombardati come siamo da pubblicità e fiction prive di rispetto verso il prossimo e che istigano alla violenza, in molti purtroppo ritengono normale giustificarla come “i tempi che cambiano” e “l’importanza di esprimere le proprie ragioni e di farsi valere”. Le nuove generazioni, prive di una guida culturale e morale, sono condannate al nichilismo più totale; arraffano bulimicamente tutto quello che più gli aggrada. E’ il caso della violenza subìta dalla studentessa abbandonata, in fin di vita, nel parcheggio di una discoteca del capoluogo abruzzese.

Questa ragazza è l’ultima vittima della furia machista: giace, ora, in un letto in prognosi riservata, dopo aver subito un delicato intervento chirurgico, nel reparto di ginecologia dell’ospedale San Salvatore de l’Aquila.

Ora giudichiamo se questo è vivere, se questo è il futuro che vogliamo e se è tollerabile che la barbarie si impadronisca sempre di più della nostra esistenza.

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