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Mafia: la tregua è finita

Non è un gregario. Indicato come capo mandamento di Borgetto nel palermitano, Nicolò Salto sopravvive all’agguato teso nella notte del 18 ottobre. È la prova dell’escalation nella guerra in atto per il controllo di Cosa nostra 

La guerra continua, non si era mai fermata. E riesplode a Borgetto, piccolo comune nella provincia di Palermo. Quattro colpi di pistola nella sera del 18 ottobre, due alla schiena e due alle gambe. Cade a terra, davanti al portone di casa in pieno centro, un uomo di 53 anni. È ferito, gravemente, ma poche ore dopo si apprenderà che nonostante tutto non è in immediato pericolo di vita. È un uomo che “pesa”, di quelli che quando li incontri per strada abbassi gli occhi. È uno dei laureati dal carcere, 11 anni trascorsi a imparare come diventare boss da gregario. Si chiama Nicolò Salto, probabile capo mandamento di Borgetto, e probabile garante del latitante Domenico Raccuglia, l’uomo che è il “papabile” erede, per ora, del potere dei corleonesi. Questo è l’ultimo episodio della guerra per il controllo di Cosa nostra nella Sicilia occidentale dopo gli arresti di “Binnu” Provenzano e dei Lo Piccolo, ed è il segno di una clamorosa escalation. Questa volta a terra non c’è finito qualche gregario o qualche emergente scomodo. Questa volta è toccata a un capo.

«Fa afa», si mormora in paese. È un modo di dire, tipicamente siciliano, per descrivere un clima pesante, di tensione. Perché il colpo è stato uno di quelli che lasciano il segno e certo Raccuglia, che molti segnalano presente proprio su questo territorio, non potrà far trascorrere troppo tempo prima di rispondere, prima di restituire l’offesa. Ma chi è stato? Chi l’esecutore? Chi il mandante? La persona che ha sparato a Nicolò Salto non era un esperto, su questo non ci sono praticamente dubbi. Forse si tratta di un giovane da “iniziare”. Il primo colpo, esploso affrettatamente, ha raggiunto Salto alla schiena facendolo cadere ma non è andato “a bersaglio” colpendolo in qualche parte vitale, e anche gli altri tre, sparati successivamente probabilmente dal killer già in fuga, non sono stati mortali. E il killer non ha avuto il coraggio di fare due passi in avanti e sparare il colpo di grazia. Troppa gente attorno, troppa insicurezza. Inesperienza. Salto è vivo per miracolo. Quando lo portano in ospedale è cosciente e i carabinieri di Partinico, che lo interrogano, non riescono a strappargli nulla di utile se non un «niente sacciu».



Le voci circolano, a Borgetto e a Partinico. Voci che parlano di un regolamento di conti, del fastidio dei Vitale, i Fardazza, per lo strapotere del latitante Raccuglia e del suo uomo di punta Nicolò Salto. Un clan, quello dei Fardazza, che dopo il pentimento di Giusi Vitale, sorella dei boss Vito e Leonardo considerati degli irriducibili dell’ala stragista di Cosa nostra, facente capo a Totò Riina e Leoluca Bagarella, sono stati decimati dagli arresti. A vigilare sul mandamento sono rimasti i “rampolli”, gli eredi dei boss. I giovani che oggi tengono in pugno Partinico e i suoi 30.000 abitanti. Dopo la decapitazione dei palermitani, con l’arresto di Salvatore Lo Piccolo e del figlio Sandro, è Raccuglia che tenta la scalata ai vertici della cupola. E lo fa affidandosi alla tradizione. Con armi, con intimidazioni, con attentati. Ma anche i Vitali sono uomini di “tradizione”, e i boss, nonostante siano in carcere sottoposti a 41 bis, sono stati in grado per anni, e lo hanno dimostrato le indagini, di riuscire a mandare all’esterno ordini e direttive, a tenere sotto controllo gli scalpitanti rampolli. E ora, dopo l’ennesimo atto di sangue, in questo pezzo irrisolto d’Italia si attende la risposta del boss che si nasconde nelle campagne. Nessun libeccio a spazzare via l’afa.

anteprima di left del 24 ottobre

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