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Macron, il riflesso gollista della debolezza europea

La missione cinese di Macron produce l'ennesima reiterazione di un antico tic francese mostrando la fragilità della costruzione europea, minimo comune denominatore di interessi che restano nazionali

 

Ha suscitato vaste reazioni l’intervista che il presidente francese Emmanuel Macron ha concesso a un ristretto numero di giornalisti a bordo dell’aereo presidenziale che lo riportava in patria dopo la visita di stato in Cina.

Ad esempio, Politico ha scelto di enfatizzare gli aspetti della comunicazione di Macron più critici verso l'”iperpotenza” americana. In essi torna il riflesso condizionato gollista, prodotto tipico francese. Dobbiamo essere consapevoli di alcuni punti fermi. In primo luogo che il leader francese, chiunque esso sia, ha una altissima considerazione del proprio paese e del suo ruolo in politica internazionale ed europea. Che tale considerazione abbia basi fattuali, è altro discorso.

AUTONOMIA STRATEGICA EUROPEA A GUIDA FRANCESE

Il concetto chiave di Macron, che si ritrova anche nella stesura dell’intervista realizzata da Les Echos e che in sostanza ignora le critiche a Washington, è quello di autonomia strategica europea rispetto ai due poli dominanti, Stati Uniti e Cina. L’autonomia strategica declinata da Macron si sviluppa entro il piano che egli definisce di “economia di guerra”. Il che implica che la Ue deve puntare prioritariamente a una difesa integrata.

Molto facile vedere in questa posizione il desiderio francese di essere il nucleo centrale (il pivot) dell’industria della difesa europea, attorno al quale gli altri paesi dovrebbero disporsi e partecipare. Vecchio pallino francese, appunto. Come sappiamo da sempre, la Ue è un gioco cooperativo e competitivo tra un numero elevato di giocatori. Obiettivo francese, nell’ambito della razionalizzazione e messa a fattor comune della spesa per la difesa europea, è quello di essere il maggior fornitore del continente.

Che in Europa ci sia un problema di moltiplicazione nazionale di spesa per la Difesa, anche per raggiungere il fatidico 2% sul Pil, è ovvio a chiunque. Già Mario Draghi sosteneva la necessità di razionalizzare tale spesa. Il che implica puntare a consolidare una “divisione del lavoro” europea nel settore, a livello di fornitura di componenti nazionali.

In tale scenario va da sé che, se uno dei maggiori player europei decide di rifornirsi dagli Stati Uniti per qualsivoglia motivo (ad esempio, per tentare un accesso privilegiato ai mercati statunitensi in altri settori, secondo una tipica logica di do ut des), tutta la costruzione ne esce indebolita.

A dirla tutta, l’eterogeneità della Ue a livello di interessi nazionali è tale che qualsiasi potenza, globale o anche regionale, potrà tentare di inserire un cuneo nelle ambizioni o velleità unitarie europee, e aver successo. La stessa cosa ha, appunto, fatto Xi Jinping con Macron, arrivato in Cina con folto seguito di imprenditori, per la firma della fornitura ai cinesi di 150 aerei Airbus, che a sua volta ha annunciato l’apertura di un secondo importante impianto di assemblaggio sul suolo cinese.

Lo stesso viaggio (industriali inclusi) era stato fatto, mesi addietro, dal Cancelliere tedesco Olaf Scholz ma con profilo ben più basso e quasi scusandosi per l’evento. Tutto secondo caratteri nazionali, diremmo.

Secondo Macron, l’Europa non deve essere follower di nessuna delle due grandi potenze (di quella americana, è il non troppo sottinteso), nel senso che non deve farsi dettare l’agenda e le relative accelerazioni, prima di aver conseguito la mitologica autonomia strategica. Altrimenti, il rischio è quello di finire come semplici pedine di un gioco duopolistico. Aggiungerei pedine nazionali, molte delle quali felici di esserlo.

Questa è la condanna della Ue: entità che ambisce a essere standard setter ma senza armi. Purtroppo per noi, in un’era di confronto per blocchi e di “economia di guerra”, come definita dallo stesso Macron, questa rischia di rivelarsi una pura illusione: quella di un improbabile soft power.

IL VASO DI COCCIO EUROPEO È REALE

Il problema per gli europei è reale: gli americani sono impegnati a proteggere la propria economia e a confrontarsi con la Cina secondo canoni e retoriche di internazionalismo liberale a cui non crede ormai quasi più nessuno, e che le valgono ricorrenti accuse di ipocrisia. L’Europa, sotto il condizionamento decisivo dell’egemone riluttante tedesco, si è legata mani e piedi all’energia russa e ora, in catastrofica emergenza, è finita a legarsi al gas naturale liquefatto americano, oltre che a instabili fornitori nordafricani.

Per Macron questo passaggio da una dipendenza all’altra è una transizione necessaria. A patto di usarla per sviluppare l’autonomia strategica. Sulle rinnovabili, ad esempio. Ma anche (o forse soprattutto) sul nucleare, che sembrava Parigi stesse lentamente ma inesorabilmente abbandonando sino a prima della guerra, con un parco di centrali molto vecchio e con crescenti acciacchi dovuti all’età. Ora si riparte di slancio, o almeno così vorrebbe Macron, che ambisce anche a spingere in tutta Europa una ormai non più così evidente supremazia tecnologica francese nel settore. Nel frattempo, restano dubbi su tempi e costi dello sviluppo delle centrali nucleari, anche delle promesse come i piccoli reattori modulari.

Alla fine, stringendo, la Francia chiede al resto d’Europa di non subire le agende altrui, in particolare quella cinese e quella americana, e prendere tempo per organizzarsi almeno su Difesa ed energia, ovviamente sotto la guida transalpina, realtà o miraggio che sia.

Se l’idea di fondo del gollismo eterno è comprensibile, con la Francia che si immagina alla guida d’Europa sino al momento del ruvido risveglio, il tentativo di prendere tempo appare piuttosto frutto di una rêverie, per dirla alla francese. Ricordate il crollo del Muro di Berlino e le posizioni dei leader europei che temevano che, con esso, la Germania unificata avrebbe assunto un peso politico intollerabile sul continente? Ricordate gli stralunati desideri di impedire l’unificazione? Ricordate l’assurda presa di posizione di Giulio Andreotti, quando disse “amo talmente la Germania che vorrei averne due”? Ecco: “prendere tempo” spesso è semplicemente impossibile, per i capi di stato e di governo, a fronte di determinate dinamiche.

A questo si somma, come detto, la fragilità strutturale europea, quella della numerosità dei giocatori concorrenti e cooperativi, che facilita l’inserimento di cunei dall’esterno. Esistono ineliminabili interessi nazionali che, per lungimiranza o miopia, finiscono in rotta di collisione con qualche disegno di grandezza unitaria. E di tale disegno viene subito smascherata l’ambizione di singoli paesi a mettersi alla guida della costruzione, ritenendo di avere un vantaggio competitivo e un primato da far valere. Salvo mettersi di traverso e frenare, appena le cose vanno in modo differente e si profilano altri leader e aspiranti architetti della costruzione unitaria. Questa dinamica è parte della storia europea e risulta ineliminabile.

Tutto ciò detto, come valutare la missione di Macron in Cina? Nei termini qui illustrati: gollismo pavloviano. Anche la “concessione” di aver invitato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che ha seguito percorsi differenti (anche nel viaggio) e subito un protocollo cinese umiliante, è stato molto macroniano: l’abituale condiscendenza francese verso le sovrastrutture europee, gli “involucri”, ma ribadendo che è Parigi a recitare un -immaginario- ruolo guida. Il risultato non poteva che essere un enorme assist a Xi Jinping, che ha potuto usare il protocollo per mostrare il differente peso che i cinesi assegnano ad uno stato nazionale e a un “sovrastato” artificiale.

È stato e continuerà ad essere così, e non solo per i cinesi. E peraltro, Xi Jinping non ha alcuna intenzione di essere strattonato per la giacchetta da chicchessia, né sulla guerra in Ucraina né, men che mai, su Taiwan. E infatti, le “esercitazioni” di accerchiamento di Taiwan, in risposta all’incontro in terra americana tra la sua presidente e lo speaker repubblicano della Camera, sono state puntuali ma solo al termine della visita di Macron.

IPERPOTENZA AMERICANA E PRIVILEGIO ESORBITANTE

Il pezzo di Politico enfatizza gli aspetti di sfida francese alla “iperpotenza” americana, incluso il riferimento alla frase di Macron sulla “extraterritorialità” del dollaro a cui l’Europa deve sottrarsi, nel senso che gli americani possono costringere chiunque ad abbandonare business con stati sgraditi semplicemente minacciando sanzioni secondarie alle aziende che con tali stati trattano.

Come forse avrete notato, il concetto di difesa dalla “extraterritorialità” del dollaro s’inscrive nella tradizione gollista del concetto di “privilegio esorbitante“ col quale negli anni Sessanta, l’allora ministro delle Finanze francese, Valéry Giscard d’Estaing (con De Gaulle all’Eliseo) definì il ruolo del dollaro nel sistema dei pagamenti internazionali. Un vero peccato che questa frase di Macron, pronunciata proprio oggi, vada a riecheggiare le posizioni cinese, russa e di molti paesi del Sud del mondo, riuniti nell’inesistente area Brics, a favore dell’uso crescente del renminbi come mezzo di pagamento internazionale. Che farà Macron, quando i cinesi chiederanno alla Francia di regolare in renminbi una quota crescente del commercio bilaterale, richiamando la stessa improvvida dichiarazione del presidente francese?

E mentre la Francia appare la grande sconfitta in Africa, sostituita da russi e turchi, il suo presidente spinge per sottrarsi a un declino nazionale che assume tratti sempre più italiani. Dopo lo schiaffo dell’anglosfera all’ambizione francese di essere un grande protagonista della difesa globale (il caso AUKUS), queste prese di posizione di Macron sono la “necessaria” e probabilmente vacua reazione a tale declino. Nell’era dell’istupidimento da social, resta un surreale video con effetti stroboscopici, che dovrebbe avere l’obbligatorio warning anti epilessia, in cui l’Eliseo enfatizza il vigoroso “dinamismo” del suo assertivo inquilino, che non a caso usa termini cari al suo interlocutore, e per questo motivo assai caratterizzati, come “stabilità” e “prosperità”.

 

 

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