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Macron contro il “separatismo islamista”: un progetto tra luci e ombre

Con uno storico discorso tenuto il 2 ottobre, il presidente francese Emmanuel Macron ha lanciato la sfida ai «separatismi». In realtà il suo bersaglio è il comunitarismo islamico. Il capo di stato ha invocato un «risveglio repubblicano» fondato su «cinque pilastri».

Il luogo dell’intervento non è casuale: la banlieue di Les Mureaux, a una trentina di chilometri da Parigi. Zona che nel 2005 vide le rivolte contro la durezza della polizia, quando il ministro dell’Interno era Nicolas Sarkozy. Tra i luoghi “dimenticati” della periferia, dove lievita il disagio sociale. La Francia marginale ritratta nel film L’odio di Mathieu Kassovitz, oscura profezia del 1995. Dove tanti residenti sono di religione o ascendenza musulmana. E rischiano di venire attratti dall’integralismo comunitarista, come forma di riscatto e disperata protesta verso un sistema che li tiene ai margini.

Macron mette un punto: «Il problema non è la laicità», presupposto per libertà di culto e di non credere, «cemento della Francia». Ma «il separatismo islamico», che sviscera mettendo in chiaro di non voler stigmatizzare i musulmani. «Un progetto consapevole, teorizzato, politico-religioso» che vuole «creare un ordine parallelo» e si diffonde con pratiche comunitarie. Così vengono messe in discussione le libertà di espressione, di coscienza e «il diritto alla blasfemia». Quest’ultimo riferimento di Macron non è ozioso: la Francia soffre ancora la ferita della strage islamista contro Charlie Hebdo e ora, nelle settimane del processo, è stata di nuovo colpita.

Non possiamo negare che l’islam integralista sia un problema nelle nostre società. Per Macron l’islam «oggi vive una crisi». Frange come «wahabismo, salafismo, Fratelli musulmani» si sono radicalizzate, portano avanti un progetto politico che nega principi basilari e usa ingenti finanziamenti per indottrinare. Il presidente fa mea culpa, a nome delle istituzioni, per non aver contrastato efficacemente la ghettizzazione. Proprio tra queste fratture si insinua infatti il verbo separatista.

Bisogna anche fare i conti, ammette, con il passato coloniale e «traumi» come la guerra d’Algeria. Molti cittadini originari di Maghreb e Africa subsahariana, che non hanno mai vissuto il colonialismo, «rivisitano la loro identità con un discorso post-coloniale o anti-coloniale». Anche in questa piega, avverte il presidente, si può insinuare il separatismo. Fresca è d’altronde la polemica tra sinistra laica e sinistra comunitarista accesa da una vignetta razzista contro la deputata nera Danièle Obono.

I “cinque pilastri” del presidente

Macron annuncia un progetto di legge teso a «rafforzare la laicità» per il 9 dicembre – non a caso a 115 anni dopo l’adozione definitiva della legge di separazione del 1905 – di cui anticipa cinque «assi».

Primo punto: ampi poteri ai prefetti per garantire «ordine pubblico» e «neutralità del servizio pubblico». Anche con la facoltà di cancellare atti di amministrazioni compiacenti, come è avvenuto con i menu “confessionali” nelle scuole o la segregazione tra uomini e donne in piscina. Le aziende che forniscono servizi pubblici si dovranno adeguare.

Il secondo punto riguarda regole più stringenti per le associazioni. Quelle di ispirazione islamista – una riedizione malata della sussidiarietà – erogano infatti svaghi, servizi o aiuti sociali che le altre o «la stessa Repubblica» non forniscono. Il Consiglio dei ministri potrà sciogliere con più facilità le associazioni non solo per terrorismo, razzismo o antisemitismo, ma anche se «attentano alla dignità della persona o fanno pressioni psicologiche o fisiche». E imporre la firma di una carta dei valori repubblicani e laici, con tanto di penali in caso di violazione.

Il terzo pilastro è la scuola. Oltre a difendere il divieto di ostentare simboli religiosi, Macron vuole frenare le intemperanze dei genitori conservatori. Costoro fanno togliere i figli da scuola e li dirottano sull’istruzione domiciliare, spesso somministrata da integralisti sfruttando quanto disposto dal CNED (Centre national d’enseignement à distance, diramazione del Ministero dell’Istruzione). Abbandono scolastico e homeschooling confessionalista impediscono a tanti giovani di avere un’istruzione inclusiva. Dal 2021 l’obbligo scolastico partirà dai tre anni e l’istruzione a casa sarà ammessa solo per motivi di salute. Andrà in soffitta l’ELCO (Enseignement Langue et Culture d’origine), previsto per coltivare i legami culturali delle famiglie non autoctone. Sarà sostituito da una rivisitazione dell’EILE (Enseignements Internationaux de Langues Étrangères), materia opzionale di lingua e cultura con docenti sempre contrattualizzati dall’estero ma sottoposta a maggiore controllo. La scuola, ricorda Macron, deve promuovere «i valori della Repubblica e non quelli di una religione, formare dei cittadini e non dei fedeli».

Il quarto fulcro – forse più controverso – è costruire «un islam dei Lumi». Ma, precisa Macron, non un «islam gallicano». Voluto riferimento al gallicanesimo, quel cattolicesimo dipendente dalla monarchia francese contro il centralismo papalino e in voga fino all’Ottocento. Però il presidente ci tiene a dire che bisogna «aiutare questa religione a strutturarsi nel nostro paese per essere un partner della Repubblica per quegli affari che abbiamo in comune». Questo ambiguo tira e molla può far storcere il naso ai laici: uno stato non confessionale si può mettere in combutta con le religioni per pilotarle?

La politica francese si ritrova a dover gestire l’integrazione del colosso islamico nell’Esagono. La legge del 1905, pensata per tagliare i ponti con la Chiesa cattolica, si mostra inattuale a gestire la sfida. Scartato «l’approccio concordatario» per le polemiche dei fondi statali, il governo ha scelto altre soluzioni. «Non è affare dello stato strutturare l’islam», assicura Macron. Ma vuole «liberare l’islam in Francia dalle influenze straniere»: stop quindi al flusso di finanziamenti poco trasparenti e all’ingresso di imam stranieri – così da formarli direttamente in patria.

La collaborazione tra governo e Conseil français du culte musulman, che rappresenta il mondo islamico francese, si è fatta più fitta. Macron parla di «strutturare il pellegrinaggio dell’hajj», di milioni di euro per iniziative della Foundation pour l’islam de France tese a valorizzare la cultura arabo-musulmana, della creazione di un Institut scientifique d’islamologie. Misure per non «lasciare il dibattito intellettuale ad altri» che, anche a livello accademico, possano ideologizzarlo. Il governo francese vuole spingersi a «insegnare di più la lingua araba a scuola o in ambito extrascolastico», sempre per non appaltarne l’insegnamento agli integralisti. D’altronde «l’islam è una religione che in Francia esiste», è innegabile. Ma per il presidente non bisogna solo conviverci: lo stato deve favorire l’emergere di intellettuali e imam che «difendano un islam pienamente compatibile con i valori della Repubblica». Il salto confessionale dall’accettazione al dirigismo è breve.

Il quinto e ultimo pilastro della politica anti-separatista è introdotto in tono lirico: «abbiamo in fondo un dovere di sperare». Ovvero, dare ai giovani un avvenire dentro la Repubblica, con investimenti su scuola, formazione, sicurezza, politiche abitative che facciano sentire la presenza amorevole dello stato.

Le reazioni

Lo strutturato progetto di Macron, prevedibilmente, non va a genio ai paesi musulmani, che hanno tutto l’interesse a inviare predicatori e denaro occulto in Francia. La Turchia, nuovo punto di riferimento del mondo islamico conservatore, ha già bacchettato la Francia. L’imam dell’università sunnita di Al-Azhar, Ahmed Al-Tayeb, con uno slancio vittimista ha accusato Macron di «comportamento scostumato contro le religioni che crea una cultura dell’odio e del razzismo e fomenta il terrorismo». Da che minbar, verrebbe da dire.

Nello scacchiere francese le reazioni sono contrastanti. Macron è tra due fuochi. La destra sembra aver apprezzato di più l’iniziativa ma l’ha giudicata troppo elusiva rispetto a nodi come l’immigrazione. La sinistra si è mostrata più critica, lamentando l’eccessiva intrusione governativa, misure slogan quando leggi utili sarebbero già in vigore e una sorta di “ossessione” di Macron nei confronti dell’islam.

Non mancano perplessità da parte cattolica, perché la prevista legge potrebbe limitare ulteriormente le manifestazioni pubbliche di tutti i culti. Certo, la schiettezza di Macron nel rivendicare laicità e blasfemia può sembrare rivoluzionaria ai poveri italiani laici, intristiti dalla pavidità clericale dei politici del Belpaese. Ma oltre a galvanizzare gli amanti dello spirito illuminista, l’iniziativa del presidente presta il fianco a dubbi anche tra “laicisti” e libertari. Il tono a volte pomposo e imperativo di Macron fa pensare a uno slancio troppo assimilazionista. Su servizi e associazionismo viene introdotta una marcata discrezionalità del governo che, se si inserisce nella tradizione centralista della République, stimola contrarietà non solo da parte musulmana – l’impianto va ben studiato per non cadere sotto i colpi dei ricorsi e non sacrificare libertà. Anche la pretesa di voler «costruire un islam dei Lumi» rischia di venir giudicata una forma di imperialismo – o quanto meno di ingegneria – culturale. Se è sensato mettere un freno all’invadenza confessionalista, alla crescita dell’estremismo e ricordare che la legge terrena è al di sopra di ogni legge “divina”, per chi è laico è complicato accettare questa paradossale ingerenza dello stato sulle religioni. O l’intimità che Macron sembra avere con i rappresentanti confessionali. Come avveniva ai tempi di Enrico IV o Luigi XIV. Ma anche, in una stravagante continuità, durante la Rivoluzione francese con la Costituzione civile del clero.

D’altronde Parigi val bene una messa. Anzi una Mecca. Ma al di là dei dubbi su singoli punti del progetto di Macron, va riconosciuto che almeno la Francia ha preso coscienza di un problema concreto (quello del comunitarismo islamista) e sta mettendo in campo delle misure. E gli altri paesi? Invece di puntare sempre il dito contro la Francia “razzista” o “islamofoba”, come è abituata ad esempio a fare l’opinione pubblica anglosassone, potrebbero prendere spunto. Perché il comunitarismo tanto di moda, arrendevole e segregazionista, ha fallito.

Valentino Salvatore

Foto: Wikimedia

Questo articolo è stato pubblicato qui

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