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Ma come funziona la giustizia in Italia?

Processi smontati dopo anni, garantismo a corrente alternata, trattative perverse. In Italia non è quasi mai possibile giungere alla verità, specialmente in certi casi. Alla stessa si frappone, quando conviene, una massa di distinguo che lasciano senza fiato per la “sapienza” infinita della giurisprudenza.

Si prenda il caso di Marcello Dell’Utri e si rimanga senza fiato per le parole del sostituto procuratore generale della Corte di cassazione Francesco Iacoviello: quest’ultimo ha ribaltato completamente il lavoro di procuratori, avvocati e giudici con un’aria di superiorità incredibile e non si sa quanto tollerabile. Addirittura si minaccia, per alcuni degli accusatori, una punizione più o meno esemplare.

Come funzioni la giustizia da noi è un mistero pari al funzionamento della politica. Siamo al caos, reale per il numero infinito di leggi, per la carenza di personale, e forzato per interventi esterni, per burocraticismi interni, per culto della personalità, per eccesso di potere. Questioni berlusconiane a parte - una vera e propria odissea, scritta da un Omero improvvisato e poco saldo sulle gambe, con l’aiuto del gatto e della volpe, entrambi spelacchiati -, è evidente che la giustizia abbia bisogno di una rinfrescata. Ad esempio, un maggiore rispetto per le persone, specie quelle deboli (con un habeas corpus effettivo), eviterebbe il sovraffollamento carcerario (vedi il dossier di LucidaMente). Invece sembra che i processi si facciano a “talento” o, meglio, “a capriccio” o, ancora meglio, “a caso”.

Quanti sono i detenuti in attesa di giudizio per un crimine minore? Non è sequestro di persona? Perché i media non si interessano a questi problemi? Possibile che la farfalla di Belen conti di più? Che contino di più Ruby, la Minetti, Emilio Fede, Lele Mora (poverino, soffre in carcere!). Cadono le braccia a sapere che esponenti ufficiali del governo italiano si siano, a suo tempo, messi in contatto con la mafia per convincerla a sospendere le stragi (Falcone, Borsellino, ecc.) in cambio di un trattamento carcerario mite dei boss mafiosi: un accordo con dei farabutti? Può lo Stato scendere a tanto? Naturalmente i giornali ne parlano già meno, in attesa di smentite. Evidentemente “laggiù” stanno cercando di mettere insieme delle smentite che stiano un po’ in piedi, salvo, magari, trovare un capro espiatorio: "Era un poveretto fuori di sé e non aveva alcun titolo per trattare a nome delle istituzioni!"

Ci si può davvero aspettare qualcosa di buono da uno Stato del genere? Da un mondo al cui interno è consentito muoversi con una certa mentalità? Si può pretendere con questa mentalità latente (sperando non sia la punta dell’iceberg) che lo Stato mandi i carabinieri alla Fiat per far entrare gli operai iscritti alla Fiom? Ancora silenzio dei media sulla grave decisione - incostituzionale - di Sergio Marchionne: fuori gli amici di Landini dalla “mia” fabbrica! Tutte cose su cui meditare seriamente, su cui insistere, affinché si trovi una soluzione decente e decorosa, nel nome di un Paese civile e non “così così” o, peggio, “barbaro”. Che l’indifferenza sparisca. E miracolosamente, per favore!

Dario Lodi

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