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Lo Stato Sociale: non sono 100 concerti a cambiare la precarietà

La band Lo Stato Sociale si racconta per #tivendibenetu, la campagna de L’Isola dei cassintegrati sulle reali condizioni di lavoro, e di vita, dei giovani in Italia. Li ringraziamo, perché è importante che una band come loro faccia passare un messaggio: la precarietà ormai riguarda tutti. Anche le band di successo. 

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(#tivendibenetu… non c’è budget per questo progetto, A ZAPPAR LA TERRA!)

 

Purtroppo nel nostro lavoro non esistono paracadute, e se un giorno ci dovesse capitare di scrivere una canzone più brutta del solito, talmente brutta da rovinarci definitivamente, dovremmo ripartire da zero. Senza alcuna indennità, e senza scampo.

Probabilmente dovremmo cambiare mestiere e non ci sarebbe alcun problema: ho portato pizze col motorino, ho lavorato nella grande distribuzione (cioè i supermercati), ho fatto lavori abbastanza ignobili. E non saranno certamente qualche centinaio di concerti davanti a migliaia di persone a farmi cambiare attitudine verso il mondo del lavoro.

Il problema, nel caso, sarebbe trovarlo un lavoro. E allora, perché non mettere da parte un po’ di soldi in questo momento di successo, così da assicurarsi un futuro stabile anche nei momenti di magra? Semplicemente perché quello che si guadagna a questi livelli non basta per farlo.

Nei mesi in cui stiamo chiusi in studio a registrare un disco nessuno ci paga per farlo, eppure noi lì stiamo lavorando. Nelle settimane di allestimento di un nuovo spettacolo passiamo le giornate tra cavi, amplificatori, luci e sudore nonostante in quel momento nessuno ci stia pagando per farlo.

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(da sinistra: Lodo Guenzi, Albe Cazzola, Bebo Guidetti)

 

Il momento di fare i conti con la bellezza e con il portafogli arriva, e funziona finché c’è fortuna e bravura. Sono i concerti le nostre ore di cartellino timbrato, solo da quello si riesce a fare di tutto questo universo di sbattimenti, gioie e dolori qualcosa di definibile come lavoro.

Senza fare concerti non potremmo permetterci di passare il nostro tempo a scrivere canzoni. È una scommessa continua, è una vita che abbiamo scelto, forse consapevolmente, forse no. Per chi ci riesce e per chi ne ha voglia, fare il musicista regala soddisfazioni ma difficilmente ti permette di uscire dalla condizione precaria. I contratti ci sono ma tutelano tutti quanti, tranne noi.

Perché quello che si pensa è che noi, in fondo, siamo artisti, e cosa vuoi che ci importi di tutele e stabilità. A cosa serve un indennità di disoccupazione a quelli che, come noi, lavorano praticamente sempre?

di Alberto Cazzola | Lo Stato Sociale

 

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Questo articolo è stato pubblicato qui

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