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Living

Confesso che non conoscendo il film di Akiro Kurosawa del 1952 di cui Living è un rifacimento (a sua volta ispirato a una novella di Lev Tolstoj), mi ha tratto in inganno il trailer: mi attraevano le immagini del protagonista anziano e gentile che in un'altalena di notte e con la neve si dondolava piano e sussurrava a sé stesso che capiva finalmente cosa significasse vivere, sentiva di aver ricominciato a farlo come mai prima. In extremis, dopo la scoperta di essere portatore di un tumore che gli lasciava pochi mesi di vita. Ma sono o non sono i film un'esperienza culturale personale? Mettevo la cosa in relazione a un fatto del tutto privato: una volta un signore a Venezia mi disse di avere 70 anni e che i medici gli davano 6 mesi di vita, pure lui per un tumore. E aggiunse: “Se avessi 40 anni come lei me ne andrei in giro in mutande!”. Presi la sua “rivelazione” come una spinta a vivere appieno le emozioni della vita, a esprimermi liberamente (anche col pericolo di dire cortesemente o educatamente cose sconvenienti), a non far parte di congreghe di cui osservare le regole, a imparare dai bambini e dalle persone più giovani che sorridono alla vita, a cogliere gli aspetti più gustosi del Living, così come nel film vuole essere descritto. Ma il suo ritorno alla vita è poca cosa nel prosieguo: la frequentazione di una collega più giovane ed aperta, sempre disposta al sorriso, qualche bevuta e frequentazione in locali giusto per cantare un'antica canzone scozzese che gli ricorda la moglie defunta, la danza con spogliarello di una donna, neanche tanto hot.

 

Così è accaduto al protagonista Mr. Williams nella Londra degli anni 50. Compassato e con bombetta come tanti executives di allora, “ingessati” e impettiti nei loro abiti “gessati”, di scarse parole e di stentati colloqui che non andavano oltre le forme di distante cortesia (la privacy inglese tra persone), pure nei treni che li portavano a Londra a occuparsi di istanze dei cittadini in uffici comunali polverosi e pieni di stanze dove ogni settore dava corso, o avrebbe dovuto, ai desiderata della cittadinanza. Ma le pratiche restavano a lungo impilate sui loro tavoli, più erano alte le pile e maggiore era la considerazione e la alacrità presunta di ogni impiegato, sarebbe sembrato altrimenti che non avessero molto da fare. Così i fascicoli rimanevano inevasi, la cosa non avrebbe nuociuto granché (a loro). Stanno seriamente lavorando! (da Edoardo Bennato), il danno derivava ai cittadini peregrinanti che non vedevano soddisfatte le loro esigenze.

 

L'inganno del trailer deriva dunque dalla presentazione di un signore che riscopriva la voglia e i piaceri della vita, ma si trattava infine di storie di ordinaria burocrazia, egli stesso ne aveva vissuto. Quell'altalena dove si dondolava era in un piccolo parco giochi che egli stesso, forse guardando i bambini e venendo mosso dal desiderio di alcune madri, era riuscito a far realizzare, questuando a sua volta in uffici “competenti” come il suo.

 

In fondo il film verte su questo per molta parte e … come non pensare all'italietta di oggi? Ecco: le competenze, gli uffici pubblici che osservano scrupolosi i loro metodi e non splafonano di un minuto il loro orario di servizio. I commenti degli spettatori di questo film, più o meno gradevole e un po' fuorviante, si sono incentrati sulle difficoltà dei privati nell'avvicinarsi a sportelli pubblici, presi a loro volta da regolamenti, da lassismo (...qualche volta). Noi italiani non siamo più nella Londra degli anni 50, che nel frattempo si è molto sveltita e progredita, ma chissà cosa penseranno vedendo questo film i nostri 3 milioni di impiegati pubblici e soprattutto i loro dirigenti, o i politici di alto o basso rango che determinano le loro procedure? Includendo questi ultimi e i dipendenti di società para-pubbliche o partecipate, assommeranno probabilmente al 5-6% della popolazione italiana (1,5% in Gran Bretagna).

 

Ed infine, altra riflessione personale: Venezia Milano Torino Roma Palermo e tante altre nostre belle città, quanto a efficienza nelle procedure pubbliche anche al servizio dei cittadini, sono più vicine a Vienna a Londra Parigi Berlino Zurigo oppure invece a Tehran, Kabul, Il Cairo, Istanbul o Islamabad? Ai posteri, e ai loro padri ancora viventi, l'ardua sentenza! “Poi uno si chiede perché questo Paese sia al crepuscolo!” (scripsit Andrea Scanzi del Fatto Quotidiano recentemente riguardo a una politicante di basso rango).

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