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Libertà di migrare: la frontiera più avanzata dello sfruttamento umano

Chi, come me, vive in una regione del sud interessata da crisi economica, mancanza di lavoro e di prospettiva vede il fenomeno migratorio da entrambi i punti di vista, quello di coloro che vengono in Italia e quello di coloro che la lasciano. A fine ‘800 gli italiani che emigravano si recavano in Brasile, in Argentina o negli USA per fornire mano d’opera allo sviluppo di quei Paesi. Stessa cosa dicasi a partire dagli anni 50 del 900 quando migliaia di braccianti meridionali raggiungevano il Belgio, la Germania e la Francia. 

Quelle ondate migratorie sono state un fattore di crescita e di sviluppo per il sistema sociale ed economico dell’Italia di quegli anni. L’emigrazione italiana dei secoli scorsi ha fornito capitali aggiuntivi al nostro sistema economico ed è stata una valvola di sfogo per il surplus demografico e per la esportazione dei prodotti della nostra economia. Le rimesse in valuta pregiata degli emigranti, per decenni, hanno contribuito al pareggio della bilancia commerciale ed hanno costituito capitali, per i parenti rimasti in Italia, che investiti hanno contribuito alla crescita economica e sociale di molte aree arretrate. 

Gli italiani che emigravano erano consapevoli che l’accoglienza a loro riservata non sarebbe stata delle migliori. Gli italiani negli USA erano chiamati “dago” riferendosi, in modo dispregiativo, al modo con il quale facevano uso del coltello per risolvere le liti tra di loro. I tribunali degli Stati del Sud degli USA emanavano sentenze nelle quali si affermava esplicitamente l’inferiorità razziale degli italiani. L’emigrazione in Brasile a un certo punto venne bloccata dai governi italiani a cavallo del 900 a causa delle condizioni disumane alle quali i nostri connazionali venivano sottoposti. Condizioni di gran lunga peggiori di quella degli schiavi ormai emancipati.

Oggi la percezione che si ha del fenomeno migratorio è completamente cambiata, direi falsata dalla rappresentazione che ne fanno i media. Si parla di “fuga dei cervelli”, si pensa che ad emigrare siano solo le menti brillanti che spesso appaiono in qualche trasmissione televisiva o sui giornali. Così non è. Emigrano menti brillanti perché espulse dal nostro sistema universitario e della ricerca ma anche diplomati e laureati che potrebbero comunque contribuire alla crescita del nostro sistema sociale ed economico. Un tempo si emigrava con la valigia di cartone legata con lo spago, oggi con il tablet sotto braccio e il trolley a seguito. Questo aspetto per così dire estetico è cambiato. A differenza di quanto accadeva in passato la nostra emigrazione è esportazione di capitale umano e di capitale finanziario.

Esportiamo giovani qualificati con lauree e specializzazioni ai quali le famiglie forniscono risorse finanziarie per poter vivere nei Paesi di arrivo. Se l’emigrazione dei secoli passati ha prodotto effetti positivi sul sistema economico e sociale italiano, oggi non è più così. Il bilancio di tale movimento migratorio è negativo. Per molte aree del Mezzogiorno, già ampiamente penalizzate da politiche che hanno affidato al mercato la soluzione dei problemi, l’emigrazione di giovani segna il de profundis. Quando i meridionali emigravano a nord, negli anni 50 e 60 del secolo scorso, i Governi dell’epoca, attraverso le Partecipazioni Statali e la CASMEZ, intervenivano per creare le condizioni per lo sviluppo di quelle aree. 

Qualcuno potrebbe obiettare che quegli interventi sono stati fallimentari, hanno alimentato clientele locali e il sistema mafioso e camorrista. Non c’è dubbio che sono molti gli interventi incompiuti e/o falliti.

Un dato resta: quei provvedimenti servirono a rivitalizzare il Mezzogiorno, a frenare l’emigrazione, il depauperamento demografico, attivarono il cosiddetto “ascensore sociale” crearono un sistema di infrastrutture del quale il Mezzogiorno era sprovvisto, operarono nel senso della redistribuzione della ricchezza prodotta alla quale l’intero sistema Italia contribuiva. Se qualcuno ne avesse voglia, per una valutazione economica della spesa pubblica nel Mezzogiorno, può leggere l’interessante ricerca pubblicata dalla Rivista di Storia Economica ed. il Mulino n. 2 anno 2015 curata dal prof. Salvo Creaco.

Scrive l’economista Maria Luisa Stazio in un articolo dal titolo di per se significativo (”Aiutiamoli a casa loro … i nostri cervelli in fuga”) pubblicato sulla rivista di economica on line “Economiaepolitica”: << E' dal 2010 che la nostra dinamica demografica ha iniziato a farsi preoccupante perché il saldo migratorio positivo non compensa quello naturale negativo. Le presenze straniere in Italia, che al 1° gennaio 2017 ammontavano a 5.029.000, a stento vanno a compensare la diminuzione dei residenti. Abbiamo, inoltre, un problema di degiovanimento della popolazione (Rapporti ISTAT 2016 e 2017). I residenti di età compresa tra i 18 e i 34 anni sono diminuiti di circa 1,1 milioni e, come la piramide demografica ISTAT 2016 mostra chiaramente, sono costituiti anche da “stranieri” in età giovane produttiva.>>

Il fenomeno è ormai una vera e propria emergenza, come evidenzia sempre la Stazio: << In primo luogo perché una delle caratteristiche che differenzia questa nuova mobilità dalla “vecchia” emigrazione è che non espatriano più masse di uomini semianalfabeti. Nel 2015, quando le opportunità formative sono enormemente aumentate e la disparità di genere si è praticamente azzerata nella mobilità così come nella formazione, mentre in Italia si laureavano circa 300.000 studenti, sono andati via 23.000 laureati: donne e uomini che hanno portato altrove gli investimenti fatti dalle famiglie e dallo Stato per la loro educazione e formazione.>>

Quindi, dicevo, non solo esportiamo capitale umano ma anche finanziario. Provate a calcolare quanto costa far studiare un giovane in Italia? Dall’inizio degli studi alla laurea 150.000,00 €. A questa esportazione di capitale iniziale si sommano le risorse finanziarie che ogni anno le famiglie italiane inviano ai figli per consentire loro di vivere all’estero in attesa di trovare un lavoro e in molti casi anche dopo. Secondo alcuni calcoli del Censis, nel solo 2014 le famiglie italiane hanno trasferito ai loro figli 4,8 miliardi di €. (cit. M. Stazio).

A queste somme si aggiungono quelle dei piccoli capitali, rappresentati da risparmi, che ciascun giovane emigrante si porta all’estero per far fronte alle inevitabili criticità iniziali. Non sono questi gli unici costi che ci troviamo a dover sostenere. A questi dobbiamo aggiungere quelli che ci troveremmo a dover sopportare in prospettiva.

La società meridionale, dato il crollo demografico, nel giro di qualche tempo si troverà a vivere una vera e propria emergenza sociale. La spesa pubblica per il mantenimento di servizi sociali minimi finirà con l’essere spalmata su tessuto sociale fatto di anziani con pensioni tagliate dalle riforme che si sono succedute in questi anni. La stessa ricchezza accumulata in questi anni e i risparmi non potranno far fronte alla spesa per il mantenimento dei servizi sociali minimi, all’abbandono del territorio al degrado dovuto allo spopolamento. Il patrimonio immobiliare, solo per fare un esempio, perderà il valore stimato oggi.

In una parola stiamo assistendo all’impoverimento progressivo di milioni di italiani che dopo aver fatto studiare le giovani generazioni le hanno esportate per mancanza di lavoro insieme alle risorse finanziarie utili a farle integrare nei paesi che le hanno accolte. 

La vulgata giornalistica, funzionale agli interessi del mercato e del pensiero unico neoliberista, descrive questo processo in modo positivo e invece non ha proprio nulla di positivo. Se il 10% dei giovani laureati italiani, nel solo 2015 è emigrata all’estero non può essere sostituita da immigrati provenienti dal continente Africano. Coloro che sostengono una tale ipotesi sono solo degli ipocriti funzionali al sistema dominante che fa dei movimenti migratori la frontiera più avanzata dello sfruttamento umano.

I due fenomeni migratori sono processi speculari che vedono in un caso e nell’altro l’espulsione, forse è più corretto dire la deportazione, di una di masse di essere umani per finalità che non attengono a processi di uguaglianza e di giustizia sociale ma solo di sfruttamento e di realizzazione di profitti. E’ il concetto di finanziarizzazione dell’economia applicata alle persone. Il dramma è che grazie alla costruzione mediatica del fenomeno migratorio sono gli stessi italiani, meridionali, che non hanno contezza di ciò che sta loro accadendo. 

Non c’è nulla di esaltante nell’immaginare che una propria figlia o un figlio dopo aver studiato è costretto ad emigrare. Non c’è nulla di esaltante nell’impegnare i risparmi di una vita, vendere un immobile frutto di un’eredità per sostenere il proprio famigliare costretto ad emigrare, non c’è nulla di esaltante nell’assecondare un sistema di relazioni personali destrutturate e all’insegna della precarietà. Non c’è nulla di esaltante in una libertà che è sradicamento violento dalla propria comunità in funzione delle esigenze del mercato e del profitto.

 

 

Bibliografia

Rivista di Storia economica il Mulino n. 2 anno 2015

 Rivista Il Mulino n. 1 anno 2016 che fine farà il Sud?

F. Fauri Storia economica delle migrazioni italiane ed il Mulino

R. Rauty Il sogno infranto Ed.Clessidre

G. stella l’Orda. Quando gli albanesi eravamo noi. Ed. Rizzoli

J. Mangione B. Morreale La Storia. Cinque secoli di esperienza italo-americana Ed. S.E.I.

T. Todorov La paura dei barbari Ed. Garzanti

 

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