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Le macerie dell’economia italiana

Siamo abituati a sentir parlare di economia in termini tecnici, incomprensibili, astrusi. Basta ricordare le surreali esternazioni di Tremonti che non si capiva nemmeno da solo, perdeva il filo, passava ad altro argomento, senza arrivare ad una qualsiasi conclusione.

Eppure negli ultimi 20 anni si sono manifestati fenomeni davanti agli occhi di tutti che hanno riscritto l’assetto economico del mondo, decretando vincitori e vinti.

Non misteriosi complotti di una Spectre internazionale che governa il mondo, ma il risultato di quella globalizzazione voluta da tutti (destra e sinistra, capitalismo e comunismo), indicata come panacea universale, capace di portare benessere ovunque attraverso il diffondersi del “libero mercato”.

Ne vediamo gli effetti prodotti qui in Italia:

- Con la “libera circolazione” del denaro, decine di migliaia di imprese hanno delocalizzato in altri paesi dove la manodopera costa di meno, dove ci sono meno regole per proteggere la salute dei lavoratori, dove si pagano meno tasse, dove c’è meno burocrazia. Questo è uno dei grandi fattori di recessione economica, di disoccupazione e di declino.

- Le grandi multinazionali, europee e americane, hanno comprato quasi tutti i pezzi pregiati della nostra economia (Stok-84, Cinzano, Campari, Algida, Knorr, Parlamat, BNL, Bertolli, Biancosarti, Aperol, Lagostina, Simmental, Gelati Motta, Lievito Bertolini, parte della FIAT, etc.etc,) e si accingono a comprare colossi come Finmeccanica ed ENI. Ciò è avvenuto perché i singoli capitalisti italiani hanno venduto e non per una strategia voluta né dalla Confindustria, né dalla politica.

Ciò ha dimostrato che la politica lascia fare al capitalismo e alla globalizzazione e non conta nulla nelle dinamiche economiche, e dunque quando parla di ripresa millanta un potere di intervento che non ha.

- Interi settori produttivi (specialmente tessile, cantieri navali) stanno chiudendo in Italia per la concorrenza di paesi emergenti quali la Cina e la Corea del Sud, e quando perdi un segmento di mercato è quasi impossibile riconquistarlo.

- La nostra economia è penalizzata e in declino anche per colpa di una politica governativa ottusa e poco lungimirante che ha tagliato i fondi per la ricerca scientifica e l’innovazione, che fa fuggire all’estero i nostri migliori cervelli che vanno a lavorare per i vincitori della globalizzazione, mentre miliardi di euro si trovano sempre per missioni militari all’estero condotte per gli interessi geo-strategici dei nostri “alleati”.

- Sulla economia italiana pesa come un macigno il debito pubblico, ormai arrivato a quasi 2.000 miliardi di euro, che ci costa 100 miliardi di euro l’anno di interessi, e ci condanna ad un evidente declino, costretti a svendere il patrimonio pubblico ai paesi forti che ci tengono ricattati e sottoposti in ogni momento a disegni speculativi.

- Le banche, anche se rifinanziate dalla BCE, imbottite ancora di titoli tossici tipo i derivati, invece di prestare denaro a chi vuole fare impresa o comprare una casa, comprano buoni del Tesoro e speculano sulla crisi.

Non occorre essere dei cervelloni per capire che la nostra crisi è nella somma di questi fattori elencati, che sono fattori strutturali e non ciclici, e quindi esigono risposte e strategie antagoniste.

I vincitori della globalizzazione, cioè gli Stati che possiedono una struttura bancaria internazionale, possiedono le materie prime, hanno le più grandi multinazionali, hanno centinaia di milioni di operai a basso costo, fanno operazioni militari per controllare il flusso mondiale del petrolio, sono pronti a beneficiare della crisi di paesi deboli come il nostro, comprando tutto ciò che c’è da comprare dalle infrastrutture ai porti, alle compagnie elettriche, ai servizi pubblici, in un nuovo ciclo neo-colonialista.

Chi è a favore della globalizzazione deve accettare queste logiche e il nostro declino.

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