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La vittoria di Boris Johnson ai raggi X: cosa vogliono gli elettori del Regno Unito?

Le elezioni che hanno cambiato il volto del Regno Unito e potrebbero chiudere la vicenda della Brexit hanno riservato meno sorprese di quanto si creda…

di Salvatore Borghese

Se ne sono sentite tante sulle elezioni generali 2019 nel Regno Unito. Il voto che sembra aver chiuso una volta per tutte (?) la vicenda della Brexit, che si trascinava da anni con episodi a tratti grotteschi per gli standard della politica britannica, in Italia è stato analizzato in modo talvolta un po’ superficiale. Frasi come “gli elettori hanno confermato di volere la Brexit” e “non era vero che i giovani non volevano la Brexit” sono state pronunciate da più di un osservatore. Eppure, dietro queste elezioni vi sono fortissimi elementi di continuità con il passato, più o meno recente, della politica d’Oltremanica.

Del risultato “puro” in termini di seggi (e delle sue conseguenze sul piano della politica del Regno Unito) ha già scritto il nostro Giovanni Forti qui. Soffermiamoci adesso sull’analisi ai raggi X dell’elettorato: chi sono gli elettori che hanno scelto i Conservatori di Boris Johnson o i Laburisti di Jeremy Corbyn? E quali sono i fattori che hanno determinato la loro scelta?

Sono domande a cui possiamo rispondere grazie a due dettagliate inchieste, realizzate da Lord Ashcroft e dall’istituto di sondaggi YouGov. Si tratta di due sondaggi, realizzati nel giorno del voto o in quelli immediatamente successivi ed estremamente dettagliati: se normalmente un buon sondaggio per essere considerato rappresentativo necessita di circa un migliaio di casi, Lord Ashcroft ha realizzato ben 13.000 interviste, e YouGov addirittura oltre 40.000. Sono numeri piuttosto impressionanti, che consentono di guardare ai dati con una discreta fiducia. Con un campione così grande, anche i sotto-campioni possono arrivare ad avere la consistenza di alcune migliaia di casi, e avere quindi un margine d’errore molto ridotto.

Le variabili demografiche

Partiamo dalle variabili demografiche principali: sesso ed età, iniziando proprio da quest’ultima. Dal sondaggio YouGov emerge una nettissima frattura generazionale, in cui i più giovani votano in maggioranza per i Laburisti e il consenso ai Conservatori cresce in misura direttamente proporzionale all’età. Solo un elettore su 5 ha votato per il partito di Johnson tra gli under 25, mentre lo stesso è stato scelto dai due terzi abbondanti degli over 70.

Dai dati di YouGov non sembra emergere una differenza significativa tra il voto degli uomini (leggermente più pro-Conservatori) e quello delle donne (più orientate verso il Labour rispetto agli uomini, 35% contro 31%). Niente gender gap, quindi? Non proprio: disaggregando il voto dei due sessi per fasce d’età emergono distanze significative soprattutto in quella più giovane. Tra gli under 25, infatti, le donne sono molto più propense degli uomini a votare a sinistra, con quasi 2 su 3 che scelgono il Labour. Per contro, il 28% di under 25 maschi che ha votato per i Conservatori quasi si dimezza (15%) tra le donne.

Sia i dati di YouGov sul genere sia quelli sull’età trovano una sostanziale conferma nell’indagine di Lord Ashcroft. Anche in questo caso, infatti, si apprezza un notevole cleavage generazionale, con i Conservatori che non raggiungono il 20% nel voto dei più giovani e i Laburisti che fanno altrettanto (se non peggio) tra chi ha più di 65 anni.

Non è forse questo un elemento degno di nota? Certo che lo è, purché si tenga ben presente che non si tratta di una novità. Già due anni fa, alle elezioni generali 2017, si manifestò, identico, lo stesso cleavage generazionale (giovani più Laburisti, anziani più Conservatori) e un gender gap molto ridotto – o meglio, quasi assente.

Un altro dato demografico importante è quello che riguarda il livello di istruzione. Anche in questo caso, i dati di YouGov mostrano una tendenza evidente: il voto ai Conservatori è nettamente maggioritario tra gli elettori che hanno un livello di istruzione medio-basso (cioè tra chi ha ottenuto al massimo il diploma di scuola superiore, per capirci), mentre tra chi ha i titoli di studio più elevati vanno molto meglio Laburisti e Liberal-Democratici – che in questo segmento raggiungono, insieme, il 60% dei voti.

Il fattore Brexit

Giovani, altamente istruiti e residenti nei centri urbani da un lato; anziani, meno scolarizzati e residenti nelle zone meno urbanizzate dall’altro. Cosa vi ricorda? Esatto: sono le stesse linee di frattura emerse in occasione del referendum del 2016 sulla Brexit (ancora lui). Sembra evidente, a leggere questi dati, che i Conservatori abbiano “ereditato” l’elettorato che tre anni fa votò per il ‘Leave’, mentre Laburisti e Lib-Dem siano stati scelti in misura maggiore da chi invece preferì il ‘Remain’. Ma è proprio così?

I dati di YouGov sembrano confermare questa idea. L’analisi dei flussi, ottenuta incrociando le risposte degli intervistati sul voto al referendum del 2016 e quelle sulle elezioni di giovedì scorso, ci dice che ai Conservatori sono andati i voti di ben 3 elettori su 4 che avevano votato ‘Leave’. Certo, una parte di Leavers – presumibilmente, quella più di sinistra – ha comunque votato per i Laburisti, ma è stata più che compensata da una quota almeno altrettanto consistente di Remainers che invece hanno votato per i Conservatori. Nel 2016 i due fronti erano quasi delle stesse dimensioni (finì 52 a 48 per il ‘Leave’): ma gli elettori che allora votarono ‘Remain’ oggi si sono “dispersi” molto più dei loro avversari, scegliendo Lib-Dem, SNP e Green in misura molto maggiore rispetto ai Leavers. Anche questo spiega l’enorme distacco accumulato dai Laburisti nei confronti dei Conservatori.

Anche in questo caso, i dati di Lord Ashcroft confermano in pieno questa dinamica. Meno della metà degli elettori del ‘Remain’ nel 2016 oggi ha votato per i Laburisti (47% secondo Lord Ashcroft, 49% per YouGov), mentre il fronte del ‘Leave’ ha avuto un suo campione “unico”, e molto più convincente, in Boris Johnson.

In questo caso, si apprezza un’evoluzione rispetto a due anni fa: infatti, nel 2017 la situazione era molto più equilibrata, con il 60% dei Leavers che scelsero i Conservatori (allora guidati da Theresa May, molto più “tiepida” sul tema Brexit rispetto a Johnson) e il 51% dei Remainers che optarono per il Labour di Corbyn.

I dati di Lord Ashcroft sulle elezioni 2017, citati in un nostro precedente articolo

Sempre grazie ai dati di Lord Ashcroft, possiamo apprezzare quanto la “fedeltà” al proprio orientamento sul tema Brexit non sia stata altrettanto forte in tutti gli elettorati. Lo dimostrerebbero gli incroci sul voto espresso nel 2016 (referendum) e nel 2017 (elezioni) mostrati in questo grafico:

Non stupisce che il 92% degli elettori che nel 2016 votarono ‘Leave’ e nel 2017 i Conservatori abbiano confermato il loro voto oggi; né che lo stesso abbia fatto l’84% di chi votò ‘Remain’ e poi, un anno dopo, i Laburisti. Colpisce invece che oggi abbia votato per Johnson ben il 66% (due su tre) degli elettori Conservatori che votarono prima per il ‘Remain’ e poi, un anno dopo, per il partito guidato da Theresa May. Ma, mentre solo l’8% dei Remainers conservatori stavolta si sono orientati sul Labour, ben il 25% dei Leavers che due anni fa scelsero i Laburisti oggi hanno invece optato per i Conservatori. La forza di Johnson sembra quindi esser stata duplice: da un lato ha mantenuto ed attratto con forza i Leavers, a prescindere dal partito che questi avevano votato soltanto due anni fa; dall’altro, ha limitato con successo le perdite verso i Laburisti o i Liberal-Democratici (scelti solo dal 21% dei Remainers che nel 2017 votarono per i Conservatori).

E che dire dei famosi elettori “pentiti”? Di certo una parte degli elettori – sia del ‘Leave’ che del ‘Remain’ – ha cambiato idea rispetto a tre anni fa. Come si sono orientati questi elettori? Anche qui, gli incroci di Lord Ashcroft descrivono quello che è stato un pregio della campagna dei Conservatori: sono riusciti a ottenere quasi un plebiscito (80%) tra i Leavers tuttora entusiasti della Brexit e una netta maggioranza anche tra gli ex Remainers ormai “rassegnati” all’idea che il Regno Unito esca dalla UE; dall’altro lato, gli anti-Brexit hanno disperso, anche in questo caso, le loro forze: sia quelli che avevano votato ‘Leave’ e si sono pentiti (regretful) sia i Remainers “duri e puri”, dove il Labour è riuscito a ottenere “solo” il 56%.

Ma cosa sarebbe successo invece se la Brexit non fosse esistita? Come avrebbero votato gli elettori se l’uscita dalla UE non fosse stato un argomento in questa campagna elettorale? Le risposte a questa domanda consentono di stimare quanti degli elettori che hanno votato per ciascun partito sono stati “guidati” dal tema Brexit. Nel grafico di Lord Ashcroft scopriamo senza troppe sorprese che l’87% degli elettori dello SNP (partito nazionale scozzese) avrebbero votato nello stesso modo: il tema identitario di quel partito è l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, più che quella di quest’ultimo dall’Unione Europea; al contrario, ben il 28% degli elettori Lib-Dem hanno scelto quel partito proprio per la sua posizione (fortemente anti-Brext) su quel tema, e ancora maggiore (56%) è la quota di elettori del Brexit Party che avrebbe votato diversamente se la questione non fosse stata sul tavolo.

Le ragioni del voto: perché hanno vinto i Conservatori?

Mettiamo ora da parte l’argomento Brexit, e concentriamoci più in generale sulle motivazioni degli elettori. Perché, a distanza di soli due anni – e con di mezzo una legislatura breve ma piuttosto movimentata – i Conservatori sono riusciti a sbloccare lo stallo e ad ottenere una netta maggioranza (impresa che non gli era riuscita nel 2017)?

Torniamo all’analisi dei flussi di YouGov, questa volta prendendo come punto di partenza le elezioni del 2017. Da questa analisi si evince molto chiaramente come i Conservatori siano riusciti a mantenere ben l’85% dei loro elettori 2017, perdendone solo il 7% verso i Lib-Dem e il 4% verso il Labour. Al contrario, l’11% degli ex elettori laburisti stavolta ha scelto il partito di Johnson, e un altro 9% ha votato per i liberal-democratici.

Ma cosa può aver determinato questo cambiamento tra la performance dei Conservatori e quella dei Laburisti rispetto al 2017? Il principale indiziato è la leadership dei due partitim, che è rimasta la stessa (Jeremy Corbyn) per il Labour, mentre è cambiata per i Conservatives, con Boris Johnson al posto di Theresa May. L’inchiesta di Lord Ashcroft sugli elettori ha confermato una tendenza che era già emersa nei sondaggi della vigilia, e cioè che Johnson veniva generalmente ritenuto un miglior primo ministro rispetto a Corbyn.

L’importanza del fattore leadership per chi ha scelto i Conservatori trova conferma nella domanda sulle ragioni della propria scelta di voto dichiarate dagli elettori. Per gli elettori del partito di Johnson al terzo posto in questa classifica si trova infatti la convinzione di aver scelto il partito il cui leader era visto come il miglior primo ministro. Si tratta di una scelta in qualche modo “eccentrica” rispetto agli elettori degli altri partiti (e dell’elettorato nel suo complesso, in grigio), dal momento che le prime 3 risposte date dagli elettori dei Conservatori sono diverse da quelle di tutti gli altri elettorati.

Più nello specifico, tra i temi di campagna elettorale ritorna centrale la questione della Brexit, il cui completamento è indicato come uno dei 3 elementi più importanti per la propria scelta di voto dal 36% degli elettori (percentuale che raddoppia tra chi ha votato i Conservatori). Un ulteriore 21% (che sale al 28% tra gli elettori del Labour e al 65% tra quelli Lib-Dem) l’ha invece indicata ma nell’ottica opposta, e cioè ha dichiarato di aver votato per fermarla. In totale, l’uscita dalla UE, in un modo o nell’altro, è stato uno dei temi più importanti su cui si è basato il voto del 57% degli elettori. La Brexit ha inciso persino più di un tema interno e molto “caldo” come la riforma del sistema sanitario nazionale (NHS), citata dal 55% degli intervistati.

Questa volta, quindi, non ci sono state grandi sorprese: ha vinto Boris Johnson, proprio come indicavano i sondaggi, e i Conservatori hanno ottenuto la maggioranza dei seggi, come suggerivano i modelli di proiezione della vigilia (tra cui proprio quello di YouGov). Eppure, negli ultimi giorni tutti gli analisti non escludevano la possibilità di un finale a sorpresa, persino paventando il rischio di un nuovo hung parliament (cioè senza maggioranza). Le indagini di Lord Ashcroft confermano come quest’impressione non fosse completamente priva di fondamento: tra gli elettori che hanno deciso cosa votare all’ultimo momento (nell’ultima settimana, negli ultimissimi giorni o persino il giorno stesso del voto) la maggioranza relativa si è effettivamente orientata sui Laburisti di Corbyn, protagonista di un finale di campagna elettorale particolarmente vivace.

Anche questa non è una sorpresa: già nel 2017 Corbyn si era reso protagonista di uno sprint finale che lo portò quasi al pareggio (40% contro 42%) nella sfida con i Conservatori, causando di fatto la “vittoria azzoppata” di Theresa May e i suoi successivi due anni di calvario. Stavolta il Labour ha in qualche modo rivissuto quella dinamica, ma in modo meno intenso e, ad ogni modo, insufficiente.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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