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La visita di Trump incendia l’India

Chiamano “Jai Shri Ram” la mobilitazione anti islamica e vanno a bruciare la moschea ad Ashok Nagar, area nord di New Delhi. Strada facendo pestano i musulmani che trovano o gli si fanno contro per via.

 Non sono le pur attive squadre della morte che il Bharatiya Janata Party ha ereditato dal precedente Rashtriya Swayamsevak Sangh di Damodar Savarkar. Sono le decine di migliaia di cittadini hindu che il premier Modi ha trasformato in fanatici mazzieri e potenziali assassini, per attuare quel piano di potere basato sullo sfrenato fondamentalismo di alcuni cattivi maestri d’un secolo fa (Savarkar per l’appunto) con le cui teorie sta governando la nazione-continente. Uno scellerato disegno che esalta l’essere hindu a discapito delle altre componenti etniche e religiose presenti da secoli su quel territorio. Un mix di fanatismo e razzismo per esaltare la maggioranza hindu, un miliardo di cittadini, ricchi classi medie e poverissmi, contro i restanti trecento milioni d’indiani. Ma soprattutto contro i duecento milioni di musulmani. Verso i quali vengono organizzati attacchi come quello di ieri che - è già accaduto in altre occasioni - mira ad azzerare culto, tradizioni e la stessa presenza islamica. Insomma si vuole un’India solo per gli hindu.

Del resto gli ultimi passi istituzionali, quello della scorsa estate che abolendo un articolo della Costituzione aboliva l’autonomia amministrativa del Kashmir e il successivo Citizeship Amendment Act, che impedisce ai soli fedeli musulmani provenienti da Paesi limitrofi l’accoglienza in India, puntano a infiammare una situazione sociale tesissima. Nell’India dell’apartheid promossa da Modi succede che i ministri dell’Istruzione e della Cultura adottino misure atte a cancellare la presenza islamica, che pure ha segnato un pezzo di storia del Paese. Poi accade che la polizia, ieri è stato così, anziché disperdere i facinorosi guardi altrove e non impedisca violenze fisiche e materiali, rivolgendo invece la repressione sulle proteste degli islamici. Solo ieri si sono registrate venti vittime. Così non solo scompare il principio pluralistico e pluriconfessionale che caratterizzava l’India moderna voluta da Ghandi e Nehru, ma si getta benzina su un incendio che non cenna a placarsi. Le manifestazioni contro il cosiddetto CAA erano in corso da domenica quando si concludeva la visita lampo del presidente statunitense Trump. Che si è tenuto ben lontano da trattare questioni come quella dei diritti delle minoranze su cui Washington fa pressione altrove.

Anzi il presidente statunitense ha detto di apprezzare Modi e il suo operato. Mentiva, almeno sul piano commerciale. La concreta motivazione del breve viaggio riguardava questioni di mercato. Le virate protezioniste del governo di Nuova Delhi hanno infastidito l’amministrazione americana che ha perso 25 miliardi di dollari di affari col gigante orientale. Attualmente il commercio bilaterale fra le due nazioni vale 142 miliardi di dollari. Trump s’è dichiarato fiducioso per una ricucitura mercantile con l’India e ha lasciato intendere che il mercato delle armi, piatto forte dell’offerta commerciale americana, può essere d’aiuto alla gestione politica di Modi con un’ampia scelta di merci: droni, elicotteri da combattimento, sistema missilistico. I due leader hanno anche preparato un ricambio di visite. Modi è atteso a settembre a Houston, come ospite di Trump, o più precisamente della sua campagna presidenziale per il voto americano del prossimo novembre. L’India che brucia non è certo in cima ai pensieri del capo della Casa Bianca, di cui analisti politici non solamente indiani hanno ricordato lo spiccato spirito anti islamico. E la visita s’è potuta chiudere con una vigorosa stretta di mano e d’intenti futuri. 

Enrico Campofreda

 

 

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