La strategia italiana verso l’Asia centrale
Collocata al centro del Mar Mediterraneo, la penisola italiana fin dai tempi di Marco Polo ha rivestito il ruolo di cerniera tra Oriente e Occidente. Con la fine della Guerra Fredda, in particolare, è stato possibile avviare in maniera decisa un’attività di promozione dell’influenza del Bel Paese nelle neonate repubbliche post-sovietiche dell’Asia centrale.
In tale strategia, un ruolo chiave è stato rivestito dalle ottime relazioni che Roma ha saputo coltivare con le maggiori potenze regionali presenti nella regione centro-asiatica. Le politiche dell’Italia verso gli –stan vanno lette, dunque, alla luce di un ampio insieme di variabili.
La ricerca dello “Spazio Vitale”
L’Italia è uno Stato povero di materie prime. Nel corso degli ultimi due secoli ha sempre avuto come principale preoccupazione quella di assicurarsi adeguate forniture di materie prime e, segnatamente, di combustibili fossili. Questa necessità ha condotto Roma ad inserirsi, soprattutto nel secondo dopoguerra, in numerose regioni rilevanti sul piano estrattivo.
Considerando la tradizionale proiezione geoeconomica italiana come regionale, che vede nel cosiddetto Mediterraneo allargato la principale area d’influenza del Bel Paese, non sorprende il fatto che sul piano della geopolitica dell’energia Roma si sia spinta ben oltre la regione euro-mediterranea. Dovendo importare la quasi totalità dei combustibili fossili richiesti dalla propria economia, l’Italia nel corso dei decenni ha intessuto relazioni economiche con innumerevoli Stati presenti nelle principali regioni estrattive al di là della sua storica sfera d’influenza.
Negli ultimi decenni, inoltre, l’Italia ha dovuto far fronte all’ascesa economica della Cina e del sud-est asiatico. Lo sviluppo a cui sono andati incontro i Paesi dell’Estremo Oriente ha comportato per lo Stivale un riorientamento strategico sul piano commerciale, che lo ha portato a guardare con crescente interesse ai territori attraversati dal progetto geoeconomico cinese delle Vie della Seta.
La ricerca di nuove aree da cui importare combustibili fossili e la necessità di cercare un canale di sbocco per la manifattura italiana verso l’Estremo Oriente ha visto l’Asia centrale in una posizione di assoluto primo piano. Collocata a metà strada tra Europa e Cina, questa regione è diventata nel corso degli anni un tassello fondamentale nella visione geopolitica italiana.
Perché l’Asia centrale?
L’antico Heartland di Mackinder si estendeva dall’Artico russo fino alle sponde del Mar Caspio, all’Himalaya ed alle alture dell’Afghanistan. Si trattava di un territorio virtualmente inaccessibile dal mare, soprattutto nei secoli scorsi quando la navigazione nell’Artico era quasi del tutto assente e le maggiori potenze marittime faticavano ad addentrarsi in questa regione vasta ma, in alcuni punti, inospitale. L’Italia, potenza certamente marittima ma in parte anche terrestre, ha rappresentato un’eccezione a questa regola. Fin dal Medioevo, infatti, mercanti genovesi e veneziani hanno commerciato con le ricche città sorte lungo la Via della Seta. Celebre è stato, poi, il viaggio di Marco Polo che da Venezia ha attraversato tutta l’Asia centrale fino a giungere in Cina.
Questa regione stretta tra Cina, Turchia, Russia e Iran ha imparato, quindi, a conoscere gli italiani molto presto. Con la caduta dell’Unione Sovietica, Stato che già di per sé considerava il Bel Paese in maniera molto più morbida rispetto al resto dell’Occidente, si è aperta nella regione al di là del Caspio una prateria di occasioni per le imprese italiane. Perseguendo una politica di diversificazione degli approvvigionamenti energetici, Roma ha puntato con decisione verso questo territorio strategico anche per i risvolti politici che una cooperazione economica poteva facilitare.
I giacimenti di petrolio del Kazakistan hanno attirato fin da subito l’attenzione della principale azienda petrolifera italiana, l’ENI, che ha iniziato ad operare nel Paese già dal 1992, acquisendo la concessione in co-operazione con la Shell del giacimento di Karachaganak. Da questo giacimento l’ENI estrae ogni giorno 240 mila barili di petrolio e 280 milioni di metri cubi di gas. Altri giacimenti kazaki in cui è attiva l’ENI sono Isatay, Abay e Kashagan. Altro Stato rilevante sul piano energetico è il Turkmenistan, in cui l’Italia è entrata sempre grazie all’ENI nel 2008 con il giacimento di Burun, nella parte occidentale del Paese. Vengono estratti in questo caso circa 3 milioni di barili di petrolio all’anno. L’ultimo Stato rilevante dal punto di vista delle risorse di gas e petrolio di cui dispone è l’Uzbekistan, in cui l’Italia sta entrando a partire dal 2021 sempre tramite una controllata di ENI, la Versalis, che dovrebbe realizzare un complesso chimico a Karakul.
Ferma restando la questione energetica come quella prioritaria nel guidare l’approccio italiano all’Asia centrale, le relazioni cordiali che lo Stato è riuscito ad instaurare con le cinque repubbliche ex sovietiche hanno promosso iniziative anche in settori diversi rispetto all’oil&gas. Investimenti nelle rinnovabili in Kazakistan, nell’agricoltura e nella meccanica in Uzbekistan e nell’idroelettrico in Tagikistan rappresentano solo alcuni dei vettori attraverso i quali Roma proietta la sua influenza lungo la Via della Seta. In Tagikistan, in particolare, il colosso Webuild, ex Salini Impregilo, sta costruendo quella che sarà la più grande diga dell’Asia centrale: la diga del Rogun.
I governi italiani hanno avuto una particolare attenzione per gli Stati dell’Asia centrale, talvolta attirandosi anche le critiche della comunità internazionale, come nel caso Shalabayeva. Gli interessi economici che legano Roma a Nursultan, infatti, hanno portato l’allora governo Letta nel maggio 2013 a rispedire in Kazakistan la moglie del dissidente Mukhtar Ablyazov e sua figlia. Sulla vicenda i giudici di Perugia chiamati a giudicare i sette poliziotti coinvolti hanno deciso recentemente che si trattò di un “rapimento di Stato”.
Una regione presidiata da diversi attori
Il vantaggio maggiore di cui gode l’Italia nel suo approccio alla regione centro-asiatica è legato, tuttavia, alle relazioni particolarmente favorevoli che ha instaurato con le maggiori potenze attive nell’area. Russia, Cina e Turchia hanno, infatti, importanti interessi in Asia centrale.
La Russia, che ha dominato la regione per oltre due secoli, è attiva soprattutto per ciò che concerne le materie legate alla sicurezza e all’integrazione eurasiatica, con alcune organizzazioni che coinvolgono Mosca e gli Stati centro-asiatici. Il CSTO, il CIS e l’EEU sono i pilastri che sorreggono l’architettura che la Russia ha predisposto per legare a sé le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale.
La Cina, storico capolinea della Via della Seta, ha ridato vita proprio a tale progetto, corroborandolo con corposi investimenti. Gli –stan sono stati interessati in maniera significativa dal flusso di investimenti proveniente da Pechino, approfittandone per modernizzare le proprie infrastrutture ed aprire le proprie economie ad un mercato di quasi un miliardo e mezzo di persone. Sfruttando il meccanismo multilaterale della SCO, infine, la Cina si è gradualmente inserita nella regione anche sul piano della sicurezza.
La Turchia è lo Stato culturalmente più affine alle repubbliche centro-asiatiche, essendo queste di lingua turcofona e di cultura turco-mongola a nord e turco-persiana a sud. Meno presente sul piano della sicurezza, la Turchia si sta dimostrando molto attiva verso la regione al di là del Caspio attraverso il Consiglio Turco per promuovere l’idea del panturchismo. Corollario di quest’idea dovrà essere una cooperazione economica e politica rafforzata, che la Turchia sta perseguendo sia sul piano bilaterale sia attraverso un rinnovato interesse verso l’ECO.
Condizioni favorevoli per l’Italia
Lo storico rapporto privilegiato tra Roma e Mosca, unitamente alle relazioni positive che l’Italia ha saputo creare con la Turchia nelle principali aree in cui le due sfere d’influenza si sovrappongono, fino al dialogo positivo esistente con la Cina rende lo Stivale un partner ideale per gli –stan.
Stretti tra degli attori particolarmente assertivi nella difesa dei propri interessi, gli Stati dell’Asia centrale trovano nel Bel Paese un canale privilegiato per dialogare con l’Unione Europea. Roma rappresenta, infatti, il principale importatore di petrolio kazako e uno dei maggiori investitori europei nella regione. La cultura italiana, inoltre, è ampiamente apprezzata, mentre a livello nazionale si sta creando un interesse verso questi Paesi così strategici nel disegno geoeconomico di collegare l’Europa all’Asia tramite le Vie della Seta.
Il governo italiano nel 2019 ha istituito un tavolo di dialogo Italia – Asia centrale che serve a coordinare politiche e investimenti verso una regione che sta diventando sempre più un attrattore sotto quest’aspetto. In ciò è stato molto utile il processo di liberalizzazione dell’economia dell’Uzbekistan, secondo motore economico dell’area, che sta permettendo un inquadramento dell’Asia centrale da parte degli investitori internazionali come insieme di mercati complementari.
Nell’ottica di riorientamento strategico dell’Italia verso Oriente, nonostante alcune frenate da parte del nuovo presidente Draghi, il dialogo tra Roma e l’Asia centrale è di fondamentale importanza. Assicurare la presenza italiana lungo i nuovi canali commerciali verso la Cina attraverso una catena di Stati amici, ben oliati da investimenti e collaborazione politica, potrebbe rappresentare una scelta vincente. Il mondo guarda ad est e così fa anche l’Italia.
Foto di LoggaWiggler da Pixabay
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