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La secolarizzazione avanza anche in Italia (e preoccupa i cattolici)

I credenti in Italia sono sempre meno. A certificarlo, alla luce di una ricerca commissionata a Euromedia Research, è il mensile «di fede e ragione» Il Timone. Il 37% degli italiani si dichiara, dice la rivista, «non credente», e tra gli altri sono ben pochi i praticanti.

Chi si occupa di religione e società ha spesso difficoltà nel realizzare sondaggi di questo tipo, nei quali il modo in cui è formulata la domanda influenza non poco la risposta (che cosa si dovrebbe intendere per “credere in dio”? di quale dio si parla e con quali connotazioni?), ma ancor di più poiché il dichiararsi religioso o meno spesso ha a che fare con solo una delle tre “B” che (in inglese) definiscono tre modalità possibili: believe (credere), behave (comportarsi) e belong (appartenere). In molte società moderne, compresa la nostra, si parla di religiosità soprattutto in rapporto all’ultimo di questi aspetti, quello dell’appartenenza: e spesso questa ha ben poco a che spartire con le cose che si dovrebbero credere e ancor meno con i comportamenti attesi (secondo la religione presa in considerazione, naturalmente).

Venendo ai dati presentati da Il Timone, apprendiamo che solo il 58,4% degli italiani si dichiara cattolico (appartenenza, appunto). Ma se si approfondisce e si guarda a ciò che i “credenti e praticanti” (dove per “praticante” qui si intende chi va a messa almeno una volta mese) credono, si scopre che solo poco più del 30% (circa il 7% del totale degli intervistati) sa dare definizioni corrette di eucarestia e di resurrezione e che solo il 60% di chi si reca a messa almeno una volta l’anno (poco più della metà della popolazione) crede nell’esistenza dell’inferno, il che significa che meno di un italiano su tre si preoccupa della “dannazione eterna”.

Ma è sul punto dei comportamenti e delle opinioni che si notano le discrepanze maggiori tra quanto “richiesto” dalla chiesa cattolica e quanto ritenuto valido in concreto: solo il 33,4% dei cattolici praticanti si confessa almeno una volta l’anno; il 71,6% non ritiene la contraccezione un peccato, il 43,8% ritiene l’aborto un diritto. Anche il ruolo della chiesa cattolica nella società è messo seriamente in discussione dai risultati del sondaggio: solo il 43,8% della popolazione italiana la considera importante o con un ruolo imprescindibile e ben il 27,20% pensa che faccia più male che bene o sia dannosa.

La rivista, di orientamento cattolico, presenta questi dati con grande preoccupazione, ma noi non possiamo che essere soddisfatti dell’avanzare della secolarizzazione e di una visione della società meno ancorata a dogmi e presunte forze soprannaturali (già i sondaggi commissionati dall’Uaar nel 2014 e nel 2019 avevano presentato un numero di non credenti rilevante e in crescita). Il rapporto degli italiani con la fede cambia, ma non altrettanto si può dire per la classe politica che li rappresenta. Impegnarsi affinché la smetta di fare leva su sentimenti di appartenenza religiosa per raccattare voti e consenso resta quindi necessario, e i dati sulla secolarizzazione che continua ad avanzare non possono che essere d’aiuto.

Loris Tissino

 

Immagine: “Crèpa in chiesa” di Mariateresa Toledo (CC BY-NC-ND 2.0).

 

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