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La questione morale ed il PD

L'altra sera guardavo il tg del buon Mentana. Ad un verto punto l'argomento è stato Penati, il PD e la questione morale. Il servizio che hanno fatto vedere non diceva nulla di più rispetto alle cose che già si sanno, mi ha colpito però una cosa.

Ad un certo punto inquadrano, dentro il consiglio regionale, Penati che si dirige verso la giornalista di La7 e rilascia una dichiarazione e dice di essere estraneo ai fatti che gli vengono imputati. Finito il discorsetto entra nell'aula del consiglio e dopo qualche secondo si avvia verso un librone aperto dove appone la sua firma.
 
La giornalista spiega che per non perdere la diaria giornaliera di 144 euro è necessario firmare il foglio presenze, dopodiché spiega anche che la presenza del tipo all'interno dell'aula è stata di qualche minuto.
Non sapevo nulla di questa cosa (diaria ed obbligo della firma) e la sottolineatura è della giornalista che ha intervistato l'ex vicepresidente del consiglio regionale.
 
Bersani sulla questione morale fa la faccia cattiva, dice che accetta le critiche ma non le aggressioni. Lo dice con piglio serio perché lo fa arrabbiare l'essere messo nel mazzo, con il suo partito, con tutti gli altri faccendieri che riempiono le pagine dei giornali.
 
Se uno scorre la cronaca di come gli "amministratori" riformisti si sono dilettati in questi anni a gestire la cosa pubblica ha, sicuramente, materia per fare qualche "sommessa" critica al buon Pierluigi. Prendo solo la mia regione (Piemonte) e rivado con la memoria alla Bresso ed alla sua giunta. Mi torna alla mente un'episodio che inquadra molto bene come questa gente abbia a cuore l'argomento.
 
Nel 2005 la Fiat vendette alla Regione un'area di circa 300.000 mq alla cifra di 70 milioni di euro perché quella era una delle condizioni per mantenere la produzione delle auto a Torino. In questo modo si liberava di un asset immobiliare inutilizzato (gli stabilimenti erano vuoti) e faceva cassa. Insomma il solito ricatto, fatto ad un'intera città con il solito metodo che in seguito è stato usato sugli operai, in tema di contratti, è che ha la sua filosofia nella massima che dice: prendere o lasciare.
 
Per l'occasione l'idea geniale dei nostri amministratori fu quella di creare una società a capitale misto (per lo più pubblico), la Tne, che avrebbe dovuto promuovere l'insediamento in quell'area di aziende facenti parte della filiera automobilistica. Fu fatto un bel consiglio d'amministrazione, furono inseriti "manager" dall'alto profilo e si dette inizio alle danze. Il risultato catastrofico è che da anni si pagano lauti emolumenti, agli uno ed agli altri, e di aziende che avrebbero dovuto insediarsi manco l'ombra. Significa che paghiamo compensi a gente che distrugge risorse pesando sul bilancio della collettività.
In compenso la Fiat ha incassato i quattrini e continua con la sua nota politica del convincimento su come è giusto fare business in questo paese.
 
C'è una questione morale in questo? Io penso di sì. C'è nel fatto che Penati neanche si preoccupa di un comportamento che in qualsiasi altro luogo di lavoro non sarebbe accettato, firmare per non dover rinunciare alla diaria e per un impegno di una qualche manciata di minuti.
C'è nel fatto di non denunciare all'opinione pubblica una schiera di gentleman in doppio petto che non si fanno scrupoli nel trattare gli affari mettendo sotto ricatto un'intera città. Anzi, creando una roba che è buona solo per piazzare qualche amico. Con dichiarazioni mirabolanti sul significato della "modernità", chiudendo gli occhi e la bocca di fronte ad atteggiamenti così evidentemente disinvolti da parte dei nostri "capitalisti".
 
Per inciso al Penati qualche domanda è stata fatta ma non si capiscono le risposte. È stato chiesto se ha avuto senso un'operazione con la quale la provincia di Milano ha pagato l'acquisto delle azioni di Gavio, per una roba della quale già deteneva la maggioranza, permettendogli una plusvalenza di 150 milioni di euro, cosa che gli ha permesso il tentativo di scalata della BNL in cordata con la UNIPOL
 
Gli "amici" del PD sono famosi per la difesa degli indifendibili, a suo tempo lo fecero con i palazzinari simpaticamente ribattezzati la banda del quartierino e con la s-vendita della Telecom a "personaggi" senza soldi.
Oggi difendono la TAV a dispetto dei santi, si distinguono per accorate interviste in cui un loro illustre rappresentate (Chiamparino) definisce chi si oppone a quell'opera come un "reazionario".
Per aiutarli nella riflessione e senza aggredirli su questa ultima questione, sommessamente, gli propongo le riflessioni sintetiche della corte dei conti del 2008. Magari si ravvedono. Qui il documento intero.
 
1) L'opera è caratterizzata da carenze metodologiche del processo decisionale che ha condotto all'adozione della complessa operazione: nessuno studio di fattibilità attendibile aveva quantificato la vantaggiosità di tale operazione rispetto al sistema creditizio tradizionale per realizzare gli investimenti. 

2) Emergono elementi di forte rischio dai rapporti negoziali attivi e soprattutto passivi ereditati dallo stato: complesse clausole finanziarie penalizzano spesso la parte pubblica

3) È impossibile acquisire, dagli atti a corredo del bilancio e dai provvedimenti di spesa ad essi sottesi, alcun riferimento utile a calcolare nel tempo la distribuzione dei costi e dei benefici tra le generazioni di utenti e contribuenti interessati

4) L'opera pregiudica l'equità intergenerazionale, caricando in modo sproporzionato su generazioni future (si arriva in alcuni casi al 2060) ipotetici vantaggi goduti da quelle attuali. vengono scaricate sulle generazioni future oneri relativi ad investimenti, la cui eventuale utilità è beneficiata soltanto da chi li pone in essere, accrescendo il debito pubblico, in contrasto con i canoni comunitari.

5) I contratti attuativi si basavano su stime di flussi e di ritorni economici dell'opera non solo aleatori, ma anche irrealistici e sostanzialmente inesistenti.

6) Manca un'azione costante di verifica sull'operato dei manager pubblici, dai quali si ereditano gli effetti delle decisioni, con il risultato che gravi errori da questi commessi non vengono valutati sotto il profilo di una ipotetica responsabilità sociale.

7) È completamente inattendibile fin dall'origine la quantificazione dei flussi di entrata presi a riferimento dall'ipotesi di finanza di progetto, così come sono nettamente sottostimati i costi dell'opera.

8) Sono assolutamente rilevanti gli oneri caricati sullo stato, la gravosita' delle operazioni di prestito e delle procedure ad esse collegate, la scarsa trasparenza amministrativa e contabile della gestione del debito.

9) L'unico progetto finanziario disponibile è quello iniziale: esso si basava su stime molto ottimistiche di flusso passeggeri e di utilizzazione della rete, sia in termini di treni passeggeri che di treni merci. la scissione tra questa previsione, l'andamento dei lavori e le stime della utilizzazione della rete ferroviaria da parte dei soggetti interessati, nonché la stessa individuazione generica di questi ultimi senza riscontri di carattere programmatico e contrattuale, hanno reso l'ipotesi dell'autofinanziamento meramente virtuale, inducendo il graduale abbandono del progetto iniziale, con contestuale accollo del debito correlato al patrimonio separato a carico dell'erario.

10) È evidente la forzatura iniziale che, attraverso un progetto finanziario troppo ottimistico, ipotizzava un autofinanziamento mediante project finance: in realtà si trattava ab origine di linee ferroviarie finanziate con debito pubblico futuro, neppure acquisito alle migliori condizioni di mercato.

11) Un progetto delle dimensioni dell'alta velocità non può ritenersi accettabile solo in relazione all'indubbia strategicità dei fini in esso contenuti, ma deve essere accompagnato da una realistica analisi dinamica della copertura economica. diversamente opinandosi, non poteva che verificarsi un inere rilevantissimo per la finanza pubblica, come avvenuto nel caso di specie.

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