La morte non rende credenti
Pensare alla morte rende solo i religiosi più devoti, non gli atei.
Uno dei cavalli di battaglia degli integralisti, nei confronti dei non credenti che rivendicano la loro condizione, è che prima o poi anche loro crederanno. Magari, come nella peggiore apologetica antiilluminista, si pentiranno proprio in punto di morte. In realtà alcune ricerche confermano che non è proprio così.
Tra le ultime, consideriamo quella diretta dallo psicologo Kenneth Vail III dell’Università del Missouri, pubblicata sul Personality and Social Psychology Bulletin. A 26 cristiani, 28 atei, 40 islamici e 28 agnostici, tutti studenti di college (tranne i musulmani) è stato chiesto di scrivere un testo su come si sentirebbero e cosa penserebbero se stessero per morire. Poi, di compilare dei questionari riguardanti anche il loro rapporto con figure religiose come Dio, Gesù, Buddha o Allah.
Da questa ricerca è emerso che in certe situazioni, pensando alla morte, i credenti tendono ad irrigidirsi sulle proprie credenze personali, rigettando le altre. Mentre per gli atei non si registrano “conversioni”. Per gli agnostici, invece, c’è la tendenza a credere di più in una qualche figura divina, ma in maniera indifferente: che sia Allah, Buddha o il Dio cristiano, è uguale. Interessante notare, a smentire stereotipi tuttora molto diffusi, come i non credenti possano gestire certe situazioni dolorose e angoscianti anche senza ricorrere alla ’stampella’ della religione, certamente utile per chi ci crede.
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