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La limpida voce laica dei cittadini

Quella di domenica è stata una gran bella giornata laica. Il referendum svizzero sui matrimoni omosessuali (che comprendeva anche il diritto all’adozione) è stato approvato con il 64% dei consensi, conquistando la maggioranza in tutti i cantoni. Quello sammarinese sull’aborto ha avuto un esito ancora più brillante, raccogliendo il 77% delle scelte e andando oltre le più rosee aspettative.

Eppure, non è la prima volta che osserviamo risultati del genere. In anni recenti l’Irlanda laica ha messo a segno addirittura una tripletta: nozze gay (2015), legalizzazione dell’aborto e cancellazione del reato di blasfemia (2018). Ma anche l’Italia laica vanta ottime credenziali, benché più lontane: vittoria su divorzio (1974), sull’aborto (1981) e se vogliamo anche sulla fecondazione assistita (2005) – perché, se è vero che non fu raggiunto il quorum necessario per l’abolizione, vide comunque nove votanti su dieci esprimersi a favore. C’è persino un precedente comunale, il referendum bolognese del 2013 (soltanto consultivo, purtroppo), in cui il 59% dei votanti disse «no» all’erogazione di contributi pubblici alle scuole private dell’infanzia. E stiamo parlando di Irlanda e Italia, due paesi in cui l’appartenenza cattolica, per quanto stia evidentemente calando, non è ancora radicalmente crollata. Se ne può quindi trarre la conclusione che una vittoria laica in un referendum non è l’eccezione: è la regola.

In fondo, però, nemmeno di questo dovremmo sorprenderci. Sui temi laici, i sondaggi mostrano quasi sempre e quasi ovunque una maggioranza laica, qualunque sia l’argomento. Perché (quantomeno in occidente, ma non solo) viviamo in società in cui la maggioranza della popolazione chiede una legislazione secolare. La chiede la stessa maggioranza dei credenti.

C’è un unico problema, e di non poco conto: la politica sembra accorgersene molto, decisamente molto di rado. Ma sarebbe ingiusto dare la colpa per intero alla tradizionale attitudine clericale di troppi partiti. Anche i cittadini hanno le loro responsabilità: apprezzano la laicità, ma non fino al punto di subordinare la scelta della lista da votare alla presenza nei programmi di istanze laiche. Forse dobbiamo fare anche noi un (laico) mea culpa: non è che siamo troppo schizzinosi, e che siamo disponibili a scegliere soltanto compagini costruite a nostra immagine e somiglianza, e dunque immaginarie?

Tuttavia, una via d’uscita forse esiste. Dovremmo agire al contrario, cercando di rendere ogni elettore perfettamente consapevole di quali sono le formazioni politiche drammaticamente antilaiche, e dunque anche quali sono i passi indietro che rischiamo, qualora vincano. Non è un impegno così difficile. Sarebbe un piccolo passo per noi, ma un grande passo per l’umanità.

Raffaele Carcano

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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