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La legge economica dello squalo

La legge economica dello squalo

Se è vero, come è vero, che uno che non se ne intende affatto di economia può fare il ministro dell’Economia, allora è accettabile che uno chef possa interessarsi di economia dal punto di vista di uno che è abituato a fare i conti della spesa con i propri fornitori, con gli incassi di fine giornata e con le prospettive del proprio futuro, stando attento a quello che succede intorno.

Siamo in crisi, e su questo siamo d’accordo quasi tutti, cioè tutti meno quelli che avrebbero il dovere di intervenire con urgenza e decisione per far fronte alla crisi. Dopo la bolla finanziaria americana ci aspettavamo una ricaduta sull’economia reale dei diversi paesi, come è effettivamente avvenuto. Sapevamo anche che da questa crisi saremmo cambiati tutti, non solo come individui e famiglie, ma anche come società civile e produttiva: se abbiamo dovuto rivedere tante nostre brutte abitudini - dalla lampadina lasciata inutilmente accesa alla chicca gastronomica superflua - ci aspettavamo sacrifici duri anche nelle fabbriche, negli uffici, nelle botteghe, che sono puntualmente arrivati.

Non è arrivato, invece, il colpo di reni dalla direzione politica del paese; quando usciremo dalla crisi sarà solo merito delle famiglie e delle imprese, non certo dei nostri ministri e primi ministri impegnati a risolvere i loro problemi personali di intercettazioni, di "pecore nere" nei partiti, di salvagenti da indagini e processi in corso.

Quello che da uomini di strada non avevamo previsto era che un Paese dopo l’altro sarebbe stato oggetto di attenzioni particolari da parte del "mercato". Prima la Grecia, poi la Spagna, quindi l’Ungheria, ma anche l’Italia e l’Inghilterra: sono tutti nel mirino laser dei cosiddetti mercati, compresi adesso anche la Francia e perfino la Germania. Pensavamo che (oltre a noi) potessero avere i conti in disordine solo le new entry nell’Unione Europea, ma mai il paese della Merkel.

Allora i casi sono due: o i "mercati" hanno un concetto dei conti pubblici molto particolare, che prevede un avanzo di bilancio di svariati miliardi di euro che forse neppure il paese dell’’Eden possiede; o dietro il termine di "mercato" si cela qualcos’altro.

Sappiamo che il mercato siamo tutti noi (cioè voi, perché io non rientro nella categoria) che affidiamo i nostri risparmi alle banche (= il mercato) che li investono per ottenere dei profitti; questi investitori vanno a pescare dove c’è pesce da mangiare, e finché ce n’è; quando non ce ne sarà più, perché avranno messo in ginocchio l’intero pianeta, cosa faranno?

Questo è il bello della globalizzazione, cara signora Maria. Con la libera circolazione dei capitali ognuno va dove lo porta il portafoglio, e non c’è economia reale che tenga. Un paese può avere i conti in regola, la miglior struttura produttiva, faccia ricerca ed innovazione, ma quando il "mercato" deciderà di farti affondare, non ci sono santi che tengano. Hanno poco da raccontarci, ma questa appare la realtà, ed inventeranno una nuova "legge" economica con cui giustificarsi.

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