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 Home page > Attualità > Economia > La crisi finanziaria del 2008 un disastro evitabile

La crisi finanziaria del 2008 un disastro evitabile

La crisi finanziaria del 2008 era un disastro “evitabile”. Le conclusioni della commissione d’inchiesta istituita per chiarire i fatti del 2008 non lasciano adito a dubbi. E fanno ricadere le colpe di quanto accaduto, oltre che su Wall Street, sui due partiti, sulla Fed e sulle altre autorità di regolamentazione che hanno consentito la crisi subprime.

“La tragedia più grande sarebbe quella di accettare il ritornello per il quale nessuno ha visto quanto stava per accadere e nulla poteva essere fatto. Se accetteremo questo allora si potrà verificare” un nuovo episodio, ha affermato la Financial Crisis Inquiry Commission nelle conclusioni, anticipate dal New York Times, nelle quali diverse istituzioni finanziarie sono accusate di avidità e inettitudine e neanche il governo si salva. Le conclusioni, contenute in 576 pagine, saranno pubblicate giovedì e sono basate sulle testimonianze di 700 persone e su materiale grezzo raccolto ed esaminato. Dei 10 membri della commissione solo i 6 nominati dai democratici hanno appoggiato le conclusioni.

“La crisi è stata il risultato dell’azione e della non azione umana, non di madre natura e di modelli per il computer. I capitani della finanza e i guardiani del nostro sistema finanziario hanno ignorato gli allarmi e non hanno capito i rischi per il benessere degli americani. Da parte loro è stata una grande mancanza, non un passo falso”. Il rapporto fa ricadere le colpe della crisi finanziaria sui due presidenti della Fed: Alan Greenspan, scettico della regolamentazione che ha guidato la banca centrale mentre la bolla immobiliare si gonfiava, e il suo successore Ben Bernanke, che non ha saputo prevedere la crisi ma che poi ha giocato un ruolo centrale nel gestirla. Le critiche sono rivolte soprattutto a Greenspan che ha promosso la deregolamentazione finanziaria e che con la sua leadership è stato il primo esempio di negligenza del governo “avendo fallito nel contenere il flusso di mutui tossici”.

L’amministrazione Bush ha dato alla crisi “una risposta incoerente”, lasciando fallire Lehman Brothers dopo aver salvato Bearn Stearns, “aggiungendo incertezza e panico sui mercati finanziari”. Come Bernanke, l’ex segretario al Tesoro Henry Paulson aveva previsto che la crisi subprime poteva essere contenuta, una previsione che si è poi rivelata sbagliata. La commissione non risparmia i democratici: la decisione del 2000 di non regolare i derivati over-the-counter, presa durante l’ultimo anno della presidenza Clinton, è stata “decisiva nella marcia verso la crisi finanziaria”. Nel mirino della commissione anche il segretario al Tesoro Timothy Geithner che, nel suo ruolo di presidente della Fed di New York, avrebbe potuto agire con più forza nel contenere la crisi. Al di là delle responsabilità specifiche che pure ci sono e che giustamente la commissione ha evidenziato, esiste, a mio avviso, una responsabilità ancora maggiore, che può essere definita di natura “teorica”. Infatti le responsabilità sono anche di coloro che hanno sostenuto teorie economiche, peraltro non nuove, secondo le quali non occorre intervenire più di tanto, da parte delle autorità pubbliche, sia nel sistema economico ma anche nel sistema finanziario, perché, comunque, i mercati avrebbero raggiunto un equilibrio se non ottimale, quanto meno più che accettabile.

Queste teorie non interventiste che poi furono, anche in occasione della grande crisi degli anni ’30, in parte responsabili di quanto avvenuto, negli anni più recenti sono tornate ad essere considerate quasi il “vangelo” per gli economisti e coloro i quali sostenevano tesi diverse venivano additati come pericolosi “sovversivi”. Quindi la recente crisi finanziaria dovrebbe “mettere in crisi”, definitivamente, anche quelle teorie.

 

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