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La "crisi" ai tempi dell’Iphone5

Mala tempora currunt. Espressione latina che esprime in maniera molto netta e chiara i tempi in cui viviamo. Attenzione però: questa frase non determina nulla che abbia a che fare con la crisi economia. No. E’ esattamente legata all’andamento – negativo – delle cose rispetto all’epoca in cui si vive.

Ma in che epoca appunto stiamo vivendo?

In Italia si sproloquia di crisi economica da tempo. Chiediamoci: cosa dovrebbe essere nella realtà dei fatti una grande “crisi economica nazionale”?

Ai più, ad una analisi superficiale, verrà in mente la penuria di denaro. L’indisponibilità finanziaria su larga scala. La carenza effettiva di liquidi.

Ebbene, non è così. Non è questo.

Innanzitutto, è bene soffermarsi sulla percezione della crisi. Percezione sapientemente inoculata da chi muove i fili dei giochi internazionali. Da un lato infatti, assistiamo allo scialacquare di enormi risorse economiche pubbliche che sembrano non trovare mai fine. Dall’altro, si assiste ai colpi tremendi assestati contro ogni tipo di agevolazione sociale nei confronti dei cittadini. Si chiama “allargare la forbice”. Aumentare cioè la disparità fra due mondi: quello della gente comune che “deve” trovare mille difficoltà per sostenere se stessa, e quello di coloro – strettissima cerchia – che attraverso l’imposizione della condanna a tirare a campare ai danni della maggioranza (unica vera maggioranza è il popolo) che di conseguenza vive nella costanza della criticità. Sia essa economica, politica o sociale.

Per far ciò, si adottano vari mezzi. Si alimenta la disoccupazione sostenendo al massimo le imprese nei loro giochi di potere (e di fuoriuscita dalla nazione). Si impongono “sacrifici” anche se non ce ne sarebbe alcun bisogno. Si tagliano risorse ai comparti fondamentali…

Giorno dopo giorno, tutti ci sentiamo – ovviamente – vittime di una crisi senza pari. Senza mai dirci però, onestamente, che non di crisi economica si tratta ma sistemica. A tutto tondo. E comprende sia il popolo dei pochi che dei più.

Per un attimo, guardiamo ai fatti e non ai dati statistici o alle sessioni televisive politiche che – ve ne eravate accorti? – non contengono null’altro che la presenza scenica dei protagonisti.

I fatti ci dicono senz’altro che, “grazie” alla percezione della crisi, la gente ha chiuso ben stretti i cordoni delle borse. Borse spesso piene di beni, sapientemente occultati. Non parlo qui dei grandi e riconosciuti ricchi d’Italia. Parlo di coloro che col solito sudore della fronte hanno messo insieme negli anni gruzzoli non da poco.

Costoro possiedono. Ma non rivelano di possedere. Fino a che gli è possibile. Lo Stato, i governi, lo sanno e lasciano fare. Hanno sempre il polso reale della situazione economica di massa. Ovvio. Se non ce l’avessero dovremmo chiederci in che mondo viviamo.

Vivono campicchiando. Sostengono la popolazione dei nuovi italiani: i giovani. Occultano beni e libretti postali o – spesso – cospicue somme di denaro in contanti nascoste magari sotto la famosa mattonella.

Poi, d’improvviso, la rivelazione: lo stesso popolo di indignati “causa” crisi economica che li rende (…) poveri che più poveri non si può, ha un guizzo di passione e ricchezza, apre i cordoni della solita borsa e genera enormi file con tanto di attesa notturna nei sacchi a pelo, per consentire al popolo dei giovani in crisi - quelli “senza lavoro a 15 o 25 anni” (…) – di far parte di coloro che ce l’hanno.

Cosa?

Ma l’Iphone ovviamente!
800 euro di pura follia sotto forma di scocca e microchip. Che sia il 5 o i futuri 6..7… Poco importa. Il popolo poco prima “vittima” di vessazioni, richieste di lacrime e sangue, povertà avvilente, incondizionato odio verso coloro che li porta alla generazione del conflitto fra società civile ed istituzioni, si presenza – puntualissimo - all’appuntamento.

Insomma: un vero caso di schizofrenia collettiva. In fila di fronte al punto vendita agognato, trovi le stesse facce che il giorno prima agognavano uno stipendio. Gli stessi che – intervistati – piangono per una crisi sconvolgente che non li mette in grado d i formare famiglie o comprare prime case che – forse – costerebbero sostanzialmente meno, in percentuale, dell’agognato oggetto del desiderio.

Pensare che le Istituzioni non studino e non conoscano questi fenomeni è follia pura.

Scatenare l’inferno per stare in fila all’alba per essere fra i proprietari di un oggetto del tutto inutile al costo di una piccola fortuna, non può che far sì che poi – dati alla mano – la prossima stangata sia peggiore. Il prossimo sostegno alle imprese contro ipotetici “lavoratori” sia più forte, e così via.

Nessuno infatti produce questi dati. Quelli di tutti coloro che in effetti – magia! – trovano risorse per sostenere il mercato che poi (è un vero cane che si morde la coda) viene costantemente preso di mira dagli stessi acquirenti degli oggetti che il mercato propone.

Immaginiamo, servizio del TG1 “Statisticamente, un Italiano su tre possiede l’ultimo modello di Iphone. 1 su 2 l’ultimo modello di Ipad. 1 su 3 fra i giovani, l’ultimo modello di mini car”… No, impossibile. Non si percepirebbe più alcun sintomo di crisi.

Meglio far finta di nulla. Alimentare le file fuori dai nuovi venditori di puro fumo. Contare ogni singolo soggetto che vi entri per aggiudicarsi il totem del momento. Mettere in sicurezza questi dati e su di essi, generare nuove spremiture di oboli. Perché sono questi i dati salienti, quelli che più interessano le istituzioni. Cosa compri. Come. Quando. Quanti soldi spendi.

Lo conferma il fatto che è in atto una nuova rivoluzione fiscale: dovremo ora dichiarare ogni più piccola spesa. Qualsiasi tipo di spesa. Quanto spendiamo per vestirci, sfamarci, sposarci, divertirci, fare regali… E se i conti sforano del 20% rispetto a quanto si dichiara di (non ) avere, ecco cadere la mannaia.

A chi lamenta metodi da regime sento di dire: ci si poteva pensare prima.

Due più due, fa sempre quattro. Persino in Italia.
 
ANSA: "Iphone5: attesa finita, ora anche in Italia".
 
Foto via
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