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La Sospettosità Siciliana: III puntata

“… La sola nozione che l’uomo siciliano ha del peccato si può considerare condensata in questo proverbio: Cu havi la cummidità e nun si nni servi, mancu lu confissuri ca l’assorvi; che è appunto l’ironico rovesciamento non solo del sacramento della confessione ma del principio fondamentale del cristianesimo: non sarà assolto dal confessore colui che non saprà profittare di ogni comodità ed occasione che gli si offre, della roba altrui e della donna altrui in particolare. Ed è da questo atteggiamento nei riguardi dell’altrui che sorge quel senso di precarietà ed insicurezza nei riguardi del proprio: quell’acuta e sospettosa vigilanza, quell’ansietà dolorosa, quella tragica apprensione di cui la donna e la roba sono circondate e che costituiscono una forma di religiosità se non di religione“. (Leonardo Sciascia, Morte dell’inquisitore)

2. Le Ipotesi Storiche.

In anni recenti alcuni autori hanno pensato di individuare le ragioni delle peculiarità politico-sociali meridionali e siciliane rispetto al resto d’Italia in alcuni precedenti storici, ritenuti fondanti. Ci si riferisce in particolare a Gambetta [1989] ed a Putnam [1993]. Il primo ha scritto del periodo di dominazione spagnola (1500-1600); il secondo del medioevo di Federico II di Svevia.

Il peso della tradizione è non solo genericamente importante, ma può anche essere analiticamente individuabile in specifiche istitutions sociali ed economiche. Si è già fatto cenno allo studio di Bagnasco; si possono aggiungere i lavori di Douglass North[1] [North 1990], ampiamente utilizzati e citati da Putnam[2].

Tuttavia, le eziologie storiche hanno un limite epistemologico fondamentale: è impossibile procedere a delle controprove. Diventa ragionevole, allora, limitarsi a formulare qualche ipotesi.

Per la Sicilia ed il mezzogiorno d’Italia possiamo osservare la continuità storica di alcuni caratteri fondamentali e le spiegazioni storiche di Gambetta e Putnam potrebbero benissimo integrarsi. Piuttosto, sarebbe opportuno chiedersi che cosa abbia causato questa stabilità durante l’arco dei secoli[3].

Una risposta convincente, i cui elementi sono già presenti negli interventi di Gambetta e di Putnam, è riassumibile in poche parole: l’impossibilità per quelle comunità locali di dotarsi di ceti dirigenti che avessero fondato la loro legittimazione sul rapporto reciproco e di responsabilità con i ceti sottoposti.[4]

Dato che i ceti dirigenti erano stati garantiti dall’esterno (le dominazioni straniere), sono stati assenti quei processi sociali e storici che portano a delle comunità integrate e co-responsabili. Il rapporto tra ceti dirigenti locali e ceti sottoposti è potuto quindi rimanere dominio irresponsabile. Per secoli e fino ai giorni nostri.

È ragionevole ipotizzare, quindi, che le risorse finanziarie che il governo nazionale ha destinato alla spesa pubblica nel mezzogiorno possano essere considerate strumento di legittimazione dall’esterno di un ceto (il cosiddetto ceto medio clientelare) che basa la sua esistenza quasi esclusivamente sull’acquisizione di quelle risorse e la loro successiva redistribuzione.

2.1. Le due Inchieste del 1875.

Caratteri locali (anche di antica data) e caratteristiche delle dominazioni straniere succedutesi nel tempo avevano concorso a creare (o a mantenere) un tessuto sociale fragile, un precario senso della comunità e della giustizia, rapporti socio-economici feudali. Tutti fattori poco adatti a favorire la nascita di società moderne come le conosciamo oggi. Questa era la situazione all’indomani dell’Unità d’Italia quando, sulla base del compromesso tra i ceti dirigenti di allora, si determinarono gli equilibri nazionali (politici, economici, sociali) rimasti validi nei decenni successivi.

Le condizioni disastrose dell’ordine pubblico in Sicilia (molto più preoccupanti rispetto ad analoghe situazioni di altre parti d’Italia) avevano portato a due famose indagini conoscitive, pressoché contemporanee (1875\76): 1) un’inchiesta parlamentare (conclusasi con una Relazione dell’on. Bonfadini) [Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia- 1969]; 2) un’inchiesta privata, di due giovani esponenti della destra liberale [Franchetti- Sonnino 1974]. Le due inchieste riportavano indicazioni concrete e risultati analitici pressoché identici, ma divergevano nelle soluzioni prospettate.

La comparazione delle diverse soluzioni presenta molti punti di interesse.

Al modello di riforma agraria e sociale di Franchetti (che si richiamava al pensiero liberale anglosassone) si contrapponeva il rispetto degli equilibri socio-politici auspicato da Bonfadini. La Relazione Bonfadini, proprio perché a conclusione di un’indagine ufficiale, è un prezioso indicatore degli equilibri di potere socio-economici e politici e dei punti di mediazione che andavano profilandosi a livello nazionale. In sostanza, accettava l’autoregolazione locale, prefigurando la stabilizzazione di quanto già avvenuto: la legittimazione del ceto dirigente periferico, entrato nel circuito delle decisioni nazionali con le caratteristiche sue proprie.

Dopo le due inchieste, a riprova di una coesione interna molto forte del ceto dirigente siciliano, tutti i giornali locali si lanciarono in una difesa strenua dell’onore offeso della Sicilia, contro quelli che venivano indicati come denigratori e cultori della malafede. Il motivo era che, nonostante le differenze richiamate, le due Relazioni avevano rilevato una situazione molto preoccupante.

Preliminarmente daremo indicazione dei punti comuni più significativi:

1) Vi era la considerazione del peso rilevante dell’organizzazione chiamata mafia sull’intera vita isolana, compreso l’ordine pubblico. Di tale organizzazione facevano parte esponenti del ceto nobiliare e dirigente (anche risorgimentale), buona parte dei campieri (che avevano la funzione di polizia privata nelle campagne, a beneficio dei proprietari), buona parte dei militi a cavallo (le organizzazioni private che continuavano la tradizione borbonica delle compagnie d’armi ed a cui il governo italiano aveva rinnovato l’appalto dell’ordine pubblico)Il potere di controllo sociale della mafia era pressoché totale. Basti pensare che le condizioni dell’ordine pubblico, fino ad allora gravissime, ebbero un improvviso e netto miglioramento: uno dei testimoni, sentito dalla Commissione Parlamentare, rivelò che la mafia aveva dato indicazioni in questo senso, allo scopo di simulare un miglioramento effettivo dell’ordine pubblico per tutta la durata della visita della Commissione.

2) l’inesistenza di un solido ceto socio-economico mediano tra il popolo di contadini (poverissimo) ed i proprietari latifondisti ed assenteisti; l’unico ceto medio realmente legittimato nel proprio ruolo, legittimato socialmente e dotato di relativa autonomia, era costituito da campieri e militi a cavallo;

3) un atteggiamento popolare diverso, in Sicilia, rispetto ad altre zone d’Italia, nei confronti delle violenze diffuse: si faceva notare che mentre per es. in Romagna il popolo era insorto in armi contro il brigantaggio (e lì appunto, il problema era stato risolto abbastanza agevolmente) in Sicilia si veniva a costituire una incomprensibile ma evidente alleanza tra vittima e carnefice non appena si fosse posto in qualche maniera il problema di un intervento dall’esterno (per es. l’aggredito, soccorso dai carabinieri, si rifiutava di denunciare l’aggressore).

4) un ruolo molto ambiguo dei militi a cavallo, che non si sapeva se definire complici dei crimini o solo inefficienti.

Diamo indicazione ora dei principali punti di divergenza circa le soluzioni proposte. In linea generale si può dire che, mentre l’inchiesta privata (Franchetti-Sonnino) concludeva con una serie di proposte radicali, quella parlamentare lasciava trasparire un cauto ottimismo, consigliando soluzioni generiche.

a) l’inchiesta privata (Franchetti-Sonnino) auspicava la formazione di un solido ceto produttivo mediano tra il popolo di contadini ed i grandi proprietari terrieri allo scopo di evitare rivolte destabilizzanti (era molto viva e vicina la violenta esperienza della Comune di Parigi del 1870). Tale ceto mediano stabilizzatore avrebbe dovuto essere costituito, secondo la dottrina liberale di economia agraria, da mezzadri e fittavoli; e ad essi si voleva arrivare tramite una radicale riforma dei patti agrari. Al contrario, le conclusioni dell’inchiesta parlamentare insistevano su generici interventi strutturali (strade, vie di comunicazione, riforme parziali dell’esistente, ecc.).

b) Per i militi a cavallo la relazione Bonfadini proponeva una riforma morale, volendosi escludere qualsiasi ipotesi di riforma anche materiale che potesse metterne in discussione l’autonomia rispetto alle forze di polizia statale. Si sosteneva, infatti, che caratteristiche positive dei militi a cavallo erano la capacità di confondersi nell’ambiente, e di sapere tutto di tutti (mentre i carabinieri avrebbero faticato a raccogliere velocemente le stesse informazioni). Nello stesso rapporto parlamentare, tuttavia, si metteva in rilievo da un lato l’ambiguità di questo appalto dell’ordine pubblico, dall’altro la relativa esiguità dei costi economici che venivano fatti gravare sui militi a cavallo che non fossero riusciti a garantire l’ordine, e nel cui territorio fosse avvenuto un qualche danno o crimine (erano tenuti a pagare un indennizzo alla vittima molto inferiore ai danni effettivamente subiti dalla vittima stessa). I militi a cavallo avevano dato prova di qualche isolato caso di eroismo. Tuttavia, nel complesso, erano molto più preoccupanti le loro complicità, più o meno manifeste, che non il loro antagonismo. A ciò si deve aggiungere che erano competenti per territori limitati, e che quindi non avevano interesse ad inseguire un brigante che avesse sconfinato (fuggendo dal territorio dove aveva commesso il crimine). Anzi, andava a loro vantaggio, perché riconquistavano il controllo del territorio di competenza. Contro la proposta Bonfadini (mantenere inalterate le condizioni dei militi a cavallo) l’inchiesta privata insisteva invece per una riforma materiale, volta alla liquidazione delle peculiarità riscontrate (la loro autonomia, incontrollabilità, conflittualità permanente con le forze di polizia statali).

Bonfadini, Franchetti e Sonnino ci presentano un quadro della Sicilia molto diverso da quello europeo loro contemporaneoDalla metà del 1700 alla metà del 1800 in Europa vi erano state le due grandi rivoluzioni contro-feudali: quella industriale in Inghilterra e quella politica in Francia. Inoltre, proprio alla metà del 1800 si era già posta (in Inghilterra) o cominciava a porsi (in Francia e Germania) la questione sociale. Il problema cioè della stabilizzazione sociale ed economica delle grandi masse inurbate e proletarizzate.

In Italia le questioni si ponevano in termini differenti; ed in termini differenti lungo l’asse Nord/Sud. Negli anni immediatamente successivi all’Unità vi fu un peggioramento sostanziale delle condizioni materiali delle masse contadine come conseguenza di una legislazione di riforma apparentemente illuminata. Il governo italiano (a partire da Depretis, della sinistra storica: 1876-77) si caratterizzò per un’operazione di mediazione tra interessi del nord e del sud (molto diversi tra loro) fondata su una gestione sostanzialmente conservatrice degli equilibri sociali ed economici esistenti quale che fossero le loro caratteristiche: dov’erano dinamici rimanevano dinamici, dov’erano statici rimanevano statici.

Il ceto proprietario meridionale si caratterizzava per il suo assenteismo: non esprimeva forti istanze riformatrici e delegava ad altre figure la cura dei propri interessi economici. In Sicilia, come già detto, oltre che essere assenteista, era anche legato da un rapporto ambiguo con un ceto medio (campieri, briganti, militi a cavallo) che gli garantiva l’ordine pubblico nelle campagne.

Era una strumentazione di regolazione sociale estranea alla modernizzazione europea ed allo Stato di diritto perché si consolidava un ceto medio privato specializzato nel controllo sociale tramite l’uso legittimato della forza. Il suo compito era la conservazione dei rapporti economici e sociali esistenti, e la gestione di risorse economiche non proprie. Non si specializzava, né si legittimava nella ricerca della propria autonomia produttiva e nell’incremento della sua efficienza.

Per la Sicilia, quindi, la strutturazione dei rapporti tra i ceti sociali ha avuto schematicamente queste caratteristiche:

1) disincentivo violento al mutamento sociale ed economico dei rapporti di forza esistenti; 2) legittimazione nazionale del ceto dirigente isolano (i proprietari terrieri) con le sue proprie caratteristiche perché utile per gli equilibri politici nazionali (da essi stessi garantito a loro volta); 3) la legittimazione, a fini interni siciliani, dei vari campieri e militi a cavallo nella gestione dell’ordine pubblico, anche nei confronti di qualsiasi rivolta popolare; 4) il rafforzamento inevitabile dell’unica organizzazione autoctona ed interclassista del ceto dirigente (ceto dirigente vero e proprio e ceto medio alleato) che garantiva la tenuta dell’equilibrio sociale interno: la mafia.

Per capire il significato e l’importanza da noi attribuita a tale ricostruzione, ricorderemo un episodio della storia parlamentare e sociale inglese (accaduto nel 1829 e quindi forse noto allo stesso Franchetti). Al Parlamento britannico era stato posto un quesito che riguardava le modalità di garanzia e controllo dell’ordine pubblico: affidarlo a forze di polizia di legittimazione statale (o comunale) e quindi terze o a forze di polizia pagate direttamente dai proprietari (delle terre, delle industrie)? Gli schieramenti si caratterizzarono in base alla estrazione socio-economica: i proprietari terrieri propendevano per la soluzione privata, quelli delle industrie per la soluzione pubblica. Alla fine vinse la soluzione proposta dagli industriali (su questo episodio cfr. [Pizzorno 1987], in un numero speciale della Rivista Polis interamente dedicato al problema della mafia). Noi riteniamo che alla luce di questo dibattito è possibile vedere il diverso peso che hanno alcuni basilari valori di riferimento in ceti che esprimono interessi e culture diverse; e che tale differenza ci possa far capire quale sia stato il peculiare sviluppo economico, sociale, culturale siciliano.

Questo problema era chiaro nel 1800 e trovava conferma nelle analisi successive riguardanti i primi decenni del XX secolo. Enea Cavalieri, nella sua Introduzione all’edizione del 1924 del lavoro di Franchetti e Sonnino, denunciava con grande lucidità la miopia storica del ceto dirigente post-unitario, riprendendo tutte le motivazioni ed i giudizi a suo tempo addotti dai due autori. Il suo intervento era particolarmente significativo. Amico e contemporaneo dei due liberali, Cavalieri non era stato co-autore dell’Inchiesta per motivi contingenti ma aveva seguito le varie fasi dello studio, il dibattito successivo nonché gli sviluppi della questione meridionale e siciliana fin dopo la I Guerra Mondiale.

Si può aggiungere che la letteratura sulla modernizzazione europea ha sottolineato l’importanza dei ceti medi, vero e proprio baricentro politico ed economico. La loro consistenza e qualità ha fortemente influenzato i differenti modelli di sviluppo. O, che è lo stesso ai nostri fini, i diversi modelli di sviluppo hanno favorito l’affermarsi di differenti ceti medi.

Bibliografia.

Bagnasco A. 1994, Regioni, tradizione civica, modernizzazione italiana: un commento alla ricerca di Putnam, Stato e Mercato n.40.

Boudon R. 1984, La place du dèsordre, Paris, PUF

Cella G. P. 1994, I sentieri istituzionali, Stato e Mercato n. 2.

Cohn S. K. Jr. 1994, La Storia secondo Robert Putnam, Polis n.2

Elster J. 1989, Nuts and bolts for the Social Sciences, Cambridge, Mass., Cambridge University Press.

Franchetti L. – Sonnino S., 1974, Inchiesta in Sicilia, (con nota storica di Z. Ciuffoletti ed Introduzione di E. Cavalieri), Torino, Vallecchi

Friedberg E. 1993, Le pouvoir et la Règle, Paris, Sueil.

Gambetta D. (a cura di) 1989, Le strategie della fiducia, Indagini sulla razionalità della cooperazione, Torino, Einaudi

Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-1876) 1969, Archivio Centrale dello Stato, a cura di S. Carbone e R. Grispo, con Introduzione di L. Sandri, Bologna

North D. C. 1990, Institutions, Institutional Change and Economic Performance, New York, Cambridge University Press.

Pizzorno A. 1987, I mafiosi come classe media violenta, Polis, I, 1, Aprile

Putnam R. D. 1993, (con R. Leonardi e R. Nanetti). Making democracy work: civic tradition in modern Italy. Princeton University Press (Ed. It.: La tradizione civica nelle Regioni italiane, Milano, Arnoldo Mondadori).

Santagata W. 1994, Le istituzioni contano, Stato e Mercato n. 2.

Tocqueville, A. de 1835-40, De la démocratie en Amérique, London: Saunders and Otley

Tocqueville, A. de 1864-67, Voyage en Sicile, Vol. 6 in Oeuvres Completes, Paris: G. De Beaumont 

Note


[1] Douglass North, storico di formazione, è stato insignito del premio Nobel per l’Economia nel 1993. Per una panoramica sul suo pensiero (e la sua evoluzione nel tempo) cfr. gli interventi di Cella [1994] e Santagata [1994].

[2]. Bagnasco [1994] ha espresso molte perplessità sul lavoro di Putnam [1993]. L’autore italiano ha rilevato l’impossibilità, tramite l’impostazione proposta dall’autore statunitense, di modificare l’esistente. Nel suo intervento Bagnasco cita come esempio positivo alcuni autori [Boudon 1984] [Elster 1989] [Friedberg 1993] che sottolineano l’impossibilità di programmare ed attuare interventi secondo una visione deterministica della politica e dell’economia. Inoltre, la ricostruzione storica di Putnam è stata messa in discussione da Cohn [1994]. A nostro avviso il lavoro di Putnam è prezioso perché opera una comparazione tra modelli di sviluppo economico-sociali locali (regionali) italiani. Tuttavia il modello economico-sociale di riferimento di Putnam è quello anglo-americano individuato da Tocqueville negli anni ’20 del 1800. A queste condizioni, se lo scopo che ci si propone è quello di modificare il presente, ha ragione Bagnasco quando esprime la sua perplessità sull’utilità della comparazione: si programmerebbe un percorso economico-sociale ispirandosi a vicende lontane geograficamente e storicamente, difficilmente replicabili in altri contesti. Sul piano analitico, tuttavia, Putnam utilizza un indicatore sociale prezioso (la tendenza ad associarsi per conseguire scopi comuni) che, se ben utilizzato, può essere esplicativo e sufficientemente predittivo.

[3]. Curiosamente, Gambetta [1989] ci ricorda che già Tucidide osservava lo scarso senso civico dei Siciliani, poco propensi a far funzionare la Cosa Pubblica.

[4] Gambetta cita anche uno scritto di Tocqueville [1864-67], che era stato in Italia poco prima del suo importantissimo viaggio nel continente nord-americano e che, come d’uso in quell’epoca per i giovani dei ceti dirigenti, ebbe modo si mettere nero su bianco le sue impressioni. La lettura del diario di viaggio di Tocqueville è molto interessante. Per l’Italia meridionale immaginò un dialogo: due figure nobiliari (una siciliana e l’altra napoletana) discettavano con fare sdegnoso e quasi annoiato sul futuro della loro terra. Auspicavano l’arrivo di truppe straniere e l’occupazione da parte della Francia o dell’Inghilterra. Non accennavano nemmeno ad una qualche loro iniziativa per implementare politiche di cambiamento e di riforma, né tantomeno alla possibilità di difendersi da un’invasione. Si confermava la loro vocazione alla passività ed alla delega. Il feudalesimo in sé, come formazione economico-sociale, non poteva spiegare questo atteggiamento. Lo stesso Tocqueville avrebbe scritto più tardi a proposito del feudo francese: il signore aveva a cuore le sorti dei contadini che, legati alla terra, ne erano anche una risorsa, da utilizzare e non da sfruttare fino alla consunzione, come avveniva in gran parte della Sicilia e in altre parti del mezzogiorno: queste valutazioni si trovano in “Democrazia in America” [Tocqueville 1835-1840] nella parte in cui valuta la differenza tra la condizione dei salariati nord-americani, privi di una qualche protezione, ed i contadini dei feudi francesi. Ancora: in Inghilterra, dopo la guerra delle Due Rose (durata dal 1455 al 1485) la proprietà terriera feudale, stremata dalla lotta intestina, prese il sentiero dello sviluppo capitalistico.

[5]In foto: Chiesa di San Giovanni Evangelista patrono di numerose società segrete tenuto in alta considerazione dalla massoneria.

Indice

I Puntata (Premessa; Introduzione: a) La sospettosità siciliana come convenzione sociale; b) Gli Imprenditori; Bibliografia; Note).

II Puntata (Capitolo 1. Regolazione Locale e Regolazione Economica; Bibliografia; Note).

III Puntata (Capitolo 2. Le Ipotesi Storiche; 2.1. Le Due Inchieste Del 1875; Bibliografia; Note).

IV Puntata (Capitolo 3. L’importanza Dei Ceti Medi.; 3.1. La Mafia; 3.2. Il Ceto Medio Clientelare; 3.3. I Valori di Riferimento;Bibliografia; Note).

V Puntata (Capitolo 4. La Fiducia Come Strumento di Analisi; Bibliografia; Note).

VI Puntata (Capitolo 5. Teoria Dei Giochi ed Analisi Sociologica: Il Caso Siciliano; Bibliografia; Note).

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