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La Puntata di Report di domenica 22 maggio. Investimenti e imprese a impatto sociale
Due servizi di Report che ci portano fuori dall'Italia mettendoci di fronte a nuovi modelli di sviluppo: nel primo servizio di Michele Buono un nuovo modello industriale dove finanza pubblica e privata si fondono per realizzare investimenti ad impatto sociale. Nel secondo, la trasformazione del territorio e l'emigrazione di massa in Cina a seguito della costruzione di nuovi insediamenti, raccontati da Giuliano Marrucci: che conseguenze ha avuto nella Cina moderna?
“La popolazione mondiale non sta crescendo in modo esponenziale. Si campa di più, quattro miliardi di persone nel mondo se la passano bene ma lo sviluppo è fermo. Tre miliardi sono fuori mercato e hanno bisogno di tutto. Non si regala soldi, la nuova impresa si chiama investimento a impatto sociale”.
Non si parla di sanità privata o di project financing all'italiana, ma di “una nuova categoria d’impresa che si prende una remunerazione dalla Stato, ma solo dopo aver risolto i problemi”.
Possibile?
L'anteprima su Reportime:
Il modello è l'efficienza dell'impresa, e ad Harvard viene spiegato così: il governo dice alle aziende private “vi pagheremo per ogni senza tetto alloggiato, per ogni bambino inserito a scuola, per ogni persona sottratta al carcere”.
L'azienda privata si prende il rischio e il governo i soldi. Ma solo se arrivano questi risultati, dove alla fine vincono tutti.
L'azienda privata si prende il rischio e il governo i soldi. Ma solo se arrivano questi risultati, dove alla fine vincono tutti.
Succede non solo a Boston in America, ma anche a Milano al centro medico Santagostino, dove cercano di fornire gli stessi servizi del pubblico con gli stessi costi. Senza prendere un euro dalla regione.
La task force del G8 sugli investimenti sociali, ha calcolato che mancherebbero 150 miliardi per la spesa pubblica: se fossero le imprese miliardi ad investire si creerebbe un nuovo mercato che vale 250 miliardi di euro, che vale svariati milioni di posti di lavoro.
A New York così hanno reato 220mila posti di lavoro negli ultimi due anni:all'agenzia per lo sviluppoeconomico di New York fanno questo ragionamento: la città è l'infrastruttura economica più importante, se noi lavoriamo per renderla più efficiente, i privati mettono i soldi di tasca propria e le idee, rischiano di loro, ma alla fine tutti ci guadagnano.
Il modello è lo scambio imprese con le principali aziende nel mondo: crescere ed assumere persone a New York.
Anche a Milano si sta lavorando su questo settore: si creano startup e lanciarle, affinché crescano e creino occupazione. Inizialmente anche il pubblico ci mette soldi a patto che poi le imprese crescano con le loro gambe. È uno strumento di rigenerazione urbana, dicono: un qualcosa che somiglia molto ai vecchi investimenti pubblici dove non ci sono amici o politici trombati da piazzare e dove il rischio di imprese è condiviso.
La scheda del servizio: "Solution revolution" di Michele Buono
Sta cambiando il mondo. Solo pochi anni fa si pensava che il bene pubblico fosse una faccenda esclusiva dello Stato e che le imprese private dovessero pensare solo a fare profitti. Che le due cose potessero stare insieme non esisteva proprio. Certo, c’erano e ci sono privati che si occupano di salute, formazione, benessere sociale, ma con i fondi pubblici, non rischiando nulla.
Se poi il modello d’impresa è inefficiente, si bruciano risorse e ci perdono lo Stato e i cittadini. Intanto i bisogni della popolazione crescono, aumenta la domanda sociale mentre le spalle degli stati si fanno più strette. I bisogni però restano, e se rimangono insoddisfatti non conviene a nessuno, nemmeno ai ricchi. Allora da dove si possono prendere le risorse? La risposta c’è, ed è in un cambio radicale di mentalità. Molti imprenditori e finanzieri in tutto il mondo hanno cominciato a chiedersi: se l’impresa può creare risorse e generare impatto sociale, e la finanza è un moltiplicatore di ricchezza, quale sarebbe l’effetto di usare questi strumenti per il benessere sociale e senza fregare nessuno?
Come è avvenuta la migrazione di massa in Cina.
In venti anni, in Cina si sono creati città da milioni di abitanti laddove prima c'era campagna: quartieri all'Europea, un Mall tra i più grandi al mondo. 500 milioni di persone (20 milioni ogni anno) che si sono spostate verso questi nuovi sobborghi, per cercare di migliorare la propria condizione sociale. Città costruiti assieme ad una vasta rete di metropolitane e servizi, dove lo spazio abitativo per ogni nucleo è più ampio di quello a disposizione nelle città nei primi anni '80.
Una scommessa, visto l'enorme investimento fatto, che non sempre è stata vinta.
L'anteprima del servizio su Reportime:
È il più grande spostamento di persone mai avvenuto nella storia dell’umanità, e accade ogni giorno proprio sotto i nostri occhi. Sono le oltre 20 milioni di persone che ogni anno in Cina abbandonano la campagna per tentare la fortuna in città. E non si parla di agglomerati urbani qualunque, visto che la Cina ha raggiunto il traguardo delle 100 città con una popolazione che ha superato la soglia del milione di abitanti e vanta il record di avere 5 megalopoli che si sono guadagnate un posto nella classifica delle 10 città più popolate al mondo.Nel solo biennio che va dal 2011 al 2013 la Cina ha consumato una volta e mezza il cemento impiegato negli Stati Uniti durante tutto il ventesimo secolo. In questo modo però è stato possibile permettere di passare dai 4 metri quadrati di edificato che ogni residente urbano aveva a sua disposizione negli anni ‘80, ai 28 metri quadrati attuali. Ma lo ha fatto anche per creare una rete di infrastrutture senza precedenti. A partire dalle metropolitane, che entro il 2020 saranno attive in ben 40 città, per un totale di 7000 chilometri di linee, 5 volte in più degli Stati Uniti.Per gestire questo processo gigantesco senza essere sepolti dalle bidonville i cinesi hanno giocato d’anticipo, costruendo anche laddove apparentemente non c’era domanda. Il più delle volte è andata bene. Altre, il risultato è stato quello di ritrovarsi con delle vere e proprie città fantasma. Come quelle tirate su da zero nei sobborghi di Shanghai a partire da metà anni 2000, ognuna ispirata a un paese europeo, ma tutte rimaste completamente disabitate. Le autorità minimizzano: le previsioni ufficiali parlano di altri 200 milioni di persone che si sposteranno dalla campagna alla città entro il 2025. Più che sufficienti per rimandare ancora di parecchi anni la tanto paventata bolla immobiliare.
La scheda del servizio: "La sindrome del cemento" di Giuliano Marrucci
Shenzhen. Dove trenta anni fa non c'erano altro che minuscoli villaggi rurali oggi sorge una megalopoli internazionale da quindici milioni di abitanti, il cuore pulsante della Cina del ventunesimo secolo.È solo la punta dell'iceberg del fenomeno che più di ogni altro ha segnato la storia dell'uomo a cavallo dei due secoli: venti milioni di persone che ogni anno si sono trasferite dalla campagna alla città, portando a compimento in poco più di un ventennio un processo che in occidente ha impiegato secoli. Senza che spuntassero ovunque bidonville e microcriminalità.Questo articolo è stato pubblicato qui
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