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La Nato e la crisi economica

Premessa

In un documento redatto dalla nato e che verrà approvato a novembre, si invitano i paesi membri a non diminuire le spese militari

poiché potrebbe venir meno la sicurezza internazionale; questo a fronte della grave crisi che sta attraversando il mondo.

Secondo il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Anders Fogh Rasmussen che, Lunedì, ha presentato con grande enfasi a Bruxelles il nuovo ’Concetto strategico’, il documento di orientamento

politico-strategico con cui periodicamente la Nato ridefinisce il suo ruolo e le sue funzioni alla luce dei cambiamenti occorsi nello scenario

internazionale, si sta assistendo ad un abbassamento delle spese militari nell’area del patto. Nella sua presentazione, Rasmussen, fa pressione sugli alleati a non abbassare la spesa perché "questo produce un profondo gap tra gli Stati Uniti e il resto della Nato, uno sbilanciamento che se perdura può minare la coesione dell’Alleanza’’. A preoccupare il segretario generale dell’alleanza, non è solo il pericolo della sicurezza, ma anche il divario tra la spesa Usa (4,7% del Pil) e quella europea (in media l’1,7% del Pil).

La Nato e la crisi economica

Riferendosi alla crisi economica in corso afferma che “sarebbe un errore diminuire la spesa, perché avrebbe ripercussioni anche sull’economia”. Il che è vero; l’Italia, che, tra guerre e armamenti, ha una spesa di 23 miliardi annui (1,5% del Pil), a in corso l’acquisto di 131 cacciabombardieri F-35 che, se disdetti, sarebbero un buon risparmio per l’Italia (13 miliardi di euro) - ma non per Alenia aeronautica che li costruisce. Nella stessa situazione si trova la Grecia. La Grecia spende il 3,2% del Pil; al riguardo, il ministro della difesa ha annunciato un modesto ridimensionamento (0,4) del budget militare. Però, in questo caso, a differenza dei plausi ricevuti per i tagli imposti al popolo, ha ricevuto critiche e proteste di Francia e Germania per acquisti in corso che potrebbero venir meno. La Francia pretende che la Grecia confermi l’acquisto di sei navi da guerra (costo 2,5 miliardi) e la Germania che la Grecia comperi altri sotto marini (costo 150 milioni).

Nato e politica economica

Dunque, per la Nato, la “difesa” dei confini è più importante del benessere dei popoli. A questo punto mi sorgono alcune domanda: a chi serve armare i popoli? Serve forse ai popoli spendere soldi per la difesa dei confini, diventare potenti, far parte di un impero se, a casa loro non hanno di che sfamare la famiglia? Chi crea le condizioni che portano alla guerra?

Considerando che i soldi spesi annualmente in Italia, e non solo, per le armi e le guerre, basterebbero, da soli, a salvaguardare il benessere generale che avrebbe come conseguenza il ritorno alla spesa dei cittadini e alla produzione, sarebbe più opportuno pensare a risparmiare proprio in settori come quello militare. Certo, nell’attuale assetto geopolitico, non si può negare il problema difesa. Va però ricordato che tale assetto è stato voluto dalle stesse potenze e che le reazioni degli stati “poveri” nei confronti dei ricchi, anche se non possono essere condivise, devono comunque essere viste nell’ottica della spartizione del territorio e affrontate con diplomazia e non con la forza e la Nato ne dovrebbe essere l’artefice.

Perciò, la richiesta di maggiori investimenti in armamenti, deve essere intesa come volontà di continuare sulla strada intrapresa con l’invasione dell’Iraq. Ciò significa che l’impoverimento delle popolazioni avviene non per ragioni intrinseche alle economie ma per ragioni che stanno al di sopra di esse. 

L’attuale crisi economica, come tutte le altre, parte da speculazioni finanziarie e non da saturazione di mercato (crisi cicliche) (anche le crisi di settore per l’ammodernamento delle strutture produttive, sotto certi aspetti, aderiscono a questa politica); questo implica una volontà esterna all’economia intesa come rapporti di scambio. Questa volontà, rappresentata da poteri occulti che si annidano ovunque ci siano soldi da manovrare, per sua natura, non è interessata al benessere dei popoli ma al loro dominio. Dominio che, però, per essere attuato, ha bisogno anche di forze capaci di gestire i conflitti che ne scaturiscono e queste forze non possono che essere militari.

È qui che entra in gioco la Nato, e non solo da oggi, anzi, si può dire sia stata fondata a questo scopo. Con la scusa di difendere i “confini” – prima dal comunismo, adesso dai terroristi islamici (e qui ci sarebbe da analizzare il comportamento degli americani in Afganistan nel periodo dell’occupazione russa e della guerra tra Iraq e Iran) domani … - ha sempre operato a favore di una politica di divisione dei popoli; divisione che porta in sé il germe del dominio e della guerra.

Conclusione

Considerando che i popoli vengono indirizzati costantemente a credere nella loro superiorità rispetto agli altri e verso un sentimento di paura verso qualsiasi cultura diversa dalla propria, è facile capire la facilità con cui certe spese, anche se fatte in periodi di crisi e sacrifici, vengano accettate un po’ da tutti, sia essi singoli individui, sia movimenti politici. Un esempio è l’Italia del governo Prodi, che rifiutò di ritirare le truppe dal fronte iracheno su richiesta fatta da alcune componenti del governo stesso. E non serve a nulla pensare che il disastro dell’ultimo conflitto mondiale possa essere di monito, sarebbe come credere che una dittatura come il nazismo non possa più ripresentarsi.

La Nato, nel suo insieme, rappresenta tutti, o quasi, i paesi dell’UE, questo contribuisce molto a creare una sorta di unità “nazionale” in campo difensivo, al punto di ritenere utile la guerra e le spese che comporta arrivando a destinare una percentuale fissa del Pil a costo di diminuire gli interventi a favore della popolazione.

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