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La Francia alla resa dei conti. Pubblici

Lo scorso anno, il fisco francese sostiene di aver recuperato 13,5 miliardi di euro di imposte non pagate, e di aver su di esse imposto sanzioni per 2,9 miliardi di euro. Si tratta di un aumento del 2,5 per cento rispetto all’anno precedente ottenuto, per circa due terzi degli importi recuperati, attraverso “controlli sul posto” a privati ed imprese, e per la restante parte attraverso attività investigativa del “bureau des agents du fisc”.

Non è tutto: il giro di vite fiscale si realizza sempre più attraverso un’azione sulle banche, che sono obbligate a segnalare i fondi trasferiti all’estero, su richiesta della Direzione generale delle Finanze pubbliche, che ha creato un archivio nel quale confluiscono le informazioni che “fanno presumere” (per usare le parole di Les Echos) la detenzione di conti bancari all’estero. Da ultimo, è stata creata la “polizia fiscale”, che è una sorta di joint venture tra le Finanze e la polizia (equivalente, immaginiamo, della nostra Guardia di Finanza).

Questi nuovi strumenti di “indagine” pare abbiano aumentato considerevolmente il tasso di compliance fiscale dei francesi, visto che lo scorso anno sono stati dichiarati circa 80.000 conti correnti detenuti all’estero da residenti francesi, un incremento del 50 per cento rispetto al 2009. Non ci è tuttavia chiaro se si tratti effettivamente di accresciuta compliance fiscale o se semplicemente il numero dei francesi che esportano capitali è in ascesa. L’aumento dei controlli sta determinando un aumento delle sanzioni penali, che lo scorso anno hanno colpito 15.000 contribuenti.

Come leggere una notizia di questo tipo? Che la tendenza all’aumento dei controlli fiscali non è esclusiva italiana, per cominciare. La cosa non stupisce, visto che la crisi ha causato un crollo del gettito fiscale un po’ ovunque, e tagliare la spesa è evidentemente molto difficile ovunque vi sia un parlamento (non tedesco). Di certo la Francia, con una incidenza della spesa pubblica sul Pil pari ad un mostruoso 56 per cento, rischia di doversi inventare evasione fiscale anche dove non esiste, se non riuscirà a tagliare la spesa.

Quella appena iniziata, poi, è una settimana cruciale per François Hollande. La Corte dei Conti francese ha comunicato ieri che il biennio 2012-2013 sarà molto difficile per il paese. La crescita è stata rivista al ribasso, a più 0,4 per cento quest’anno ed un ancora ottimistico più 1 per cento per l’anno prossimo. Quest’anno mancano all’appello da 6 a 10 miliardi di euro per centrare il mediocre obiettivo di un rapporto deficit-Pil del 4,5 per cento, mentre l’anno prossimo la correzione necessaria per raggiungere il fatidico 3 per cento dovrà ammontare a ben 33 miliardi di euro.

Tempi molto interessanti, per il paradigma-Hollande: aumentare le imposte sui ricchi, cercando di non farli fuggire di notte, utilizzando la potenza tecnologica del fisco per impedire loro di farlo. Ma se l’inquilino dell’Eliseo pensa di poter evitare di aggredire la spesa (soprattutto quella sociale, che conta per 620 dei 1.100 miliardi di euro di spesa pubblica complessiva francese) utilizzando solo la leva delle entrate, il risveglio sarà traumatico. E’ peraltro molto probabile che l’intervento sulla spesa possa avvenire in misura non marginale attraverso il blocco delle retribuzioni nominali del settore pubblico, che oggi pesano per il 13,6 per cento del Pil. Anche questo in Italia sta già avvenendo.

Ovviamente, se vi diciamo che un taglio di spesa pubblica in queste condizioni è recessivo, voi cominciate a tirare fuori il santino di Von Mises e lanciare invettive, giusto? Problema sempre vostro. Quello che vorremmo umilmente segnalarvi è che finora, parlando di compiti a casa, la Francia manco ha aperto il quaderno e impugnato la penna. Ma le dinamiche che la attendono produrranno lo stesso tipo di esito: un approfondimento della recessione, perché quel taglio di spesa non andrà in riduzione di imposte ma servirà a colmare buchi che l’austerità tende ad aprire “spontaneamente”. Auguri, Monsieur le Président.

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