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La Cop 29 in Azerbaigian, dove il “clima” per i diritti umani è pessimo

Quest’anno, la Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop29) si terrà a Baku, capitale dell’Azerbaigian, dal 6 al 18 novembre.

Così come nel 2022 in Egitto e nel 2023 negli Emirati Arabi Uniti, la Cop29 si svolgerà in un contesto estremamente negativo dal punto di vista dei diritti umani, lo stesso che aveva caratterizzato altri due eventi internazionali ospitati dall’Azerbaigian: Eurovision nel 2012 e i Giochi europei del 2015.

Ma la cosa, oggi come ieri e l’altro ieri, non sembra preoccupare sebbene proprio dopo l’approvazione della candidatura, nel dicembre 2023, le autorità azere abbiano intensificato la repressione, chiudendo organizzazioni della società civile, procedendo ad arresti e condanne per motivi politici o costringendo dissidenti all’esilio.

La stessa sorte potrebbe riguardare le poche voci libere all’interno del paese, durante e dopo la Cop29, qualora osassero prendere la parola sui suoi temi o sulle modalità di organizzazione e di svolgimento.

Secondo le organizzazioni locali per i diritti umani, 300 persone sono attualmente in carcere a seguito di processi irregolari per accuse politicamente motivate: tra loro ci sono difensori dei diritti umani, giornalisti, manifestanti pacifici, avvocati e attivisti politici. Sono detenuti in condizioni non all’altezza degli standard internazionali, i contatti con familiari – spesso vittime di campagne diffamatorie e di provvedimenti punitivi, come il congelamento dei conti bancari – e avvocati sono scarsi e le cure mediche risultano inadeguate, fatto tanto più grave perché molti di loro sono in cattive condizioni di salute.

Alcuni casi: Anar Mammadli, fondatore dell’Iniziativa per la giustizia climatica; Gubad Ibadoghlu, accademico e attivista anti-corruzione; Ilhamiz Guliyev, difensore dei diritti umani; e Tofig Yagublu, leader dell’opposizione politica.

La situazione è talmente grave che, a gennaio, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha deciso di non ratificare le credenziali della delegazione dell’Azerbaigian.

Almeno dieci giornaliste e giornaliste sono in carcere per condanne a seguito di accuse pretestuose. Alcuni organi d’informazione, come Ansaz Media, Kanal 13 e Toplum Tv sono stati costretti a chiudere.

Nelle carceri la tortura è assai diffusa e non esistono meccanismi indipendenti di denuncia né rimedi giudiziari per le vittime. Un mese fa il Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura ha preso la decisione, particolarmente insolita, di denunciare pubblicamente “il rifiuto [da parte dell’Azerbaigian] di migliorare la situazione a seguito delle raccomandazioni del Consiglio” e “la persistente assenza di cooperazione delle autorità con il Comitato”.

Mentre la vita delle organizzazioni non governativa è resa sempre più difficile da accuse pretestuose ma sempre più frequenti di appropriazione indebita di fondi, evasione fiscale o impresa illegale, nonché dall’applicazione delle nuove leggi entrate in vigore nel 2023 e 2024, che consentono di negare il riconoscimento e prevedono meccanismi di rendicontazione particolarmente onerosi, in Azerbaigian cresce sempre più il numero delle Gongo (l’acronimo inglese sta per organizzazioni non governative organizzate dal governo), finanziate dallo stato per prendere via via il posto dei gruppi che rappresentano genuinamente la società civile e dare al mondo l’idea che questa sia coinvolta nelle decisioni politiche.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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