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LGBT in Turchia: intervista all’attivista Buse Kılıçkaya

Il movimento LGBT turco è particolarmente coraggioso, considerando ad esempio che la Turchia è un paese nel quale i crimini d’odio, cioè le violenze basate su discriminazioni in base all’etnia, la religione, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e così via, sono molto frequenti

di Sofia Verza Unimondo

Al Divine Queer Film Festival di Torino abbiamo incontrato Buse Kılıçkaya, attivista per i diritti LGBT in Turchia. Il movimento LGBT turco è particolarmente coraggioso, considerando ad esempio che la Turchia è un paese nel quale i crimini d’odio, cioè le violenze basate su discriminazioni in base all’etnia, la religione, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e così via, sono molto frequenti. Tra le notizie più recenti in arrivo dal paese, giovedì 16 novembre ha avuto inizio il processo contro 24 attivisti arrestati durante la 15esima Pride Parade, lo scorso 15 giugno. Sono accusati di aver violato la Legge sulle Manifestazioni. Lo stesso giorno, le autorità di Ankara hanno impedito la realizzazione di un evento cinematografico a tematica LGBT organizzato in collaborazione con l’ambasciata tedesca. Due giorni dopo, è stata annunciata dalle autorità della capitale turca la sospensione a tempo indeterminato di tutti gli eventi LGBT, per proteggere la sensibilità e la morale dei cittadini e per ragioni di sicurezza ed ordine pubblico.

L’attivismo di Buse Kılıçkaya ha avuto inizio nel 1994 con la testata KAOS GL e poi con il partito DEHAP (Partito Democratico del Popolo), un partito filo curdo a cui ha deciso di aderire perché per la prima volta qualcuno nominava la questione di genere nel contesto della politica turca. Nel 2005, Kılıçkaya fonda Pembe Hayat, la prima organizzazione formata da e rivolta a transgender. “L’associazione è nata per reagire a una vera e propria attività di distruzione nei nostri confronti”, spiega. “Noi, prime fondatrici, eravamo tutte lavoratrici del sesso ad Ankara: sempre più spesso subivamo violenze fisiche, rapine, le nostre auto venivano bruciate, le bande criminali ci chiedevano di pagare il pizzo”. Con l’aiuto di Esra Özban, altro membro dell’associazione, ci districhiamo tra turco, inglese e un po’ di lubunca, lo slang queer turco che ha dato anche il nome alla rivista di Pembe Hayat (Lubunya).

Quali sono le attività di Pembe Hayat?

Le attività dell’associazione sono varie: realizziamo film e telefilm (come #direnayol, proiettato a Torino) e organizziamo un film festival, il Kuir Fest, con lo scopo di creare consapevolezza nella società su certe tematiche; prendiamo parte a manifestazioni, anche se oggigiorno è sempre più difficile in Turchia e nonostante la nostra associazione si occupi soprattutto di diritti LGBT cerchiamo sempre di aderire a una rete di solidarietà più ampia e di porre attenzione ai diritti di tutti: abbiamo capito di non essere le uniche a subire delle discriminazioni in Turchia. Nel tempo, prima alcune associazioni di donne e poi alcune associazioni per i diritti umani hanno iniziato a supportarci. Altre organizzazioni per i diritti civili hanno invece rifiutato di collaborare con noi. Ad ogni modo, lo ripetiamo da molto tempo: lo Stato ce l’ha con noi, ma al momento giusto se la prenderà con chiunque altro. Ed è proprio ciò che sta accadendo! Per questo dobbiamo unire le lotte.

Quali conquiste sentite di aver raggiunto?

Prima che l’associazione esistesse, sapevamo chi ci aggrediva, ma le denunce non servivano: ingrandendoci, invece, le bande criminali che ci perseguitavano hanno perso potere e c’è stato qualche arresto dopo le nostre denunce. Per fortuna non ci siamo arrese: finalmente, un giudice ha definito per la prima volta queste azioni come crimini d’odio. Si è trattato di un precedente giuridico importante. A proposito di approccio giuridico, tra le nostre attività ci sono anche la consulenza legale e l’assistenza in carcere per le persone trans, perché crediamo che nella maggior parte dei casi si trovino lì per motivi politici. Forse è proprio questo il settore in cui siamo particolarmente rodate.

Come è cambiata la situazione per la comunità LGBT turca nei 15 anni di governo AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, il partito al governo)? Come in altri ambiti, il partito ha dimostrato un’iniziale apertura nei vostri confronti?

Devo dire di si, c’è stato un miglioramento iniziale nella prima fase di governo AKP, dovuto al processo di allargamento dell’Unione Europea. Con il tempo, si è poi assistito a violazioni dei diritti umani sempre più ampie e comuni, in particolare dopo le proteste di Gezi Park nel 2013 e il tentato colpo di stato del 15 luglio 2016.

Parallelamente, ci sono stati problemi anche all’interno del movimento LGBT: ha avuto luogo un processo di non- identificazione. Come avviene in altri luoghi nel mondo, gay e lesbiche rivendicano una posizione predominante all’interno del movimento, a scapito di trans e lavoratrici del sesso. Queste ultime, però, sono anche gli individui più vulnerabili.

Quali problemi e quali minacce preoccupano le persone trans in Turchia?

Per quanto riguarda le donne, siamo spesso lavoratrici del sesso, poiché non riusciamo a trovare lavoro e spesso nessuno vuole nemmeno affittarci una casa. Per questo siamo più esposte a subire violenze, oltre che rapine e minacce. Inoltre abbiamo quasi automaticamente problemi con il sistema legale. Gli uomini, invece, affrontano disagi soprattutto all’interno del sistema sanitario ed educativo.

Come funziona per gli uomini trans il servizio militare, obbligatorio in Turchia?

Ovviamente i transessuali non sono tenuti a farlo, anzi, vengono rifiutati. Alcuni di loro, però, lottano per poterlo fare: è il caso dei membri di AKLGBT, sostenitori del partito al governo AKP.

Qual è stato invece il ruolo del filo-curdo HDP (Partito Democratico dei Popoli) per la comunità LGBT?

L’HDP ha svolto e svolge un ruolo importantissimo. Ad esempio, Selahattin Demirtaş, leader del partito che si trova in carcere da più di un anno, ha parlato dei diritti LGBT nei suoi discorsi prima delle elezioni parlamentari del 2015: i candidati HDP furono gli unici a non fare una campagna per i voti, ma per i diritti. In generale, i membri di questo partito hanno una certa esperienza in materia di protezione dei diritti umani e civili: per questo, anche a livello di comuni e municipalità si sono fatti molti progressi, sebbene i cambiamenti avvengano lentamente per via degli ostacoli burocratici. Inoltre, i politici dell’HDP hanno supportato in vari modi il lavoro di Pembe Hayat e della comunità LGBT.

Oggi, per via delle purghe effettuate fuori e dentro al partito, quale ruolo è ancora in grado di svolgere l’HDP?

Per questo sono preoccupata… così come lo sono per la situazione in Turchia e nel mondo in generale. Fino a tre anni fa, non avrei mai immaginato che saremmo arrivati a questo punto. Comunque, credo che il problema sia globale e legato al capitalismo: credo che la coscienza politica delle persone sia aumentata, ma che il potere si riorganizzi sulla base di questo. Oggi i potenti hanno creato un “nuovo software” di controllo.

Cosa pensi dell’esperienza di resistenza in corso nel Rojava curdo, in cui la donna assume un ruolo fondamentale e più in generale cosa pensi della jineologia* come linea di pensiero? La lotta per i diritti delle donne e quella per i diritti LGBT si intrecciano e supportano a vicenda o viaggiano parallele? 

Certamente si intrecciano e si supportano a vicenda. La differenza rispetto al mio personale modo di pensare con riferimento alla jineologia e a certe forme di femminismo è sistèmica: io non vedo il mondo in maniera binaria, diviso tra maschi e femmine. Per me ogni essere umano vale come un’impronta digitale: è unico, diverso da chiunque altro. Nessuno è portatore di una sola istanza e deve cercare di essere solidale con le istanze degli altri.

La lotta in Rojava non è un simbolo solo relativamente al ruolo della donna: qualche tempo fa, ad esempio, alcuni gruppi di combattenti LGBT sono arrivati in Rojava. In quell’occasione, mi sono personalmente preoccupata, ma più in quanto pacifista, contraria alla lotta militare.

L’omicidio, un anno fa, dell’attivista Hande Kader ha avuto una risonanza tale per cui una fetta più ampia della società turca è venuta a conoscenza delle difficili condizioni di vita per le persone trans?

Innanzitutto è necessario specificare che quello di Hande Kader non è l’unico omicidio recente di una persona transgender, per non contare il grande numero di suicidi. In seguito all’assassinio di Hande Kader, così come dopo le proteste di Gezi Park, l’attivismo turco sta acquisendo visibilità. Ma non nasce ora: la resistenza in Turchia è parte di un processo che ha coinvolto per decenni le ONG, le municipalità, le associazioni. La nostra lotta fa parte di una struttura lunga e articolata.

*La jineologia è una linea di pensiero elaborata da Abdullah Öcalan, leader del Partito Curdo dei Lavoratori (PKK), che auspica la liberazione della donna nella società in modo trasversale.

 

Sofia Verza

Questo articolo è stato pubblicato qui

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