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L’ultimo regalo. Tutti ce ne meriteremmo uno

Lasciarsi andare allo scrivere di sé, come una necessità suprema di riempire un vuoto, di rimediare a un'insoddisfazione, a una mancanza e... scrivere.

Scrivere, come se fosse un atto dovuto, come se fosse una carezza.

Scrivere come se si potesse fermare o variare il tempo e lo spazio.
Lasciar scivolare la penna sul foglio e come una danza delle dita lasciare che la distribuzione dell'inchiostro formi parole, quelle parole che compongono, talvolta, un regalo....l'ultimo.

Come un miracolo, come un sogno, come un saluto, come se non fosse ormai tardi. Scrivere. Per la seconda volta, per provare a riempire un vuoto immenso, scrivere.

Gianfranco Pecchinenda nel 2009 ha scritto "L'ombra più lunga, tre racconti sul padre", romanzo che parla della figura paterna nella vita di un figlio. 

Tre racconti per analizzare temi importanti per Pecchinenda sociologo, quali l'identità, le relazioni sociali, la morte. Tre racconti per trovare tra le righe un Pecchinenda figlio, il quale a un anno dalla morte di suo padre, lascia questo tributo, a colui che è stato l'ombra più lunga della sua vita.

Prima riuscitissima ed emozionante esperienza narrativa, l'ombra più lunga è diventata una risorsa personale, per riuscire ad elaborare un importantissimo lutto, un viaggio di scoperta all'interno delle proprie emozioni, ma anche un simbolo, uno spunto di riflessione, un riferimento per coloro che partendo dalla lettura di quelle pagine si sono interrogati su temi importanti quali la paternità, la figura genitoriale, il senso di colpa, la perdita, l'assenza, l'eutanasia, la morte.

Omaggio dunque, a una figura importante della propria vita, l'ombra più lunga. Un omaggio implicito che lascia solo ai lettori più attenti e profondi la scoperta della dimensione autobiografica.

Sono gli scossoni della vita questi. La perdita di persone a noi care è un evento che viene definito "di natura". Tutti i figli sanno che prima o poi dovranno fare i conti con la morte dei propri genitori ma nessuno potrà mai sentirsi pronto, consapevole di quello che si proverà quando questo tipo di evento si sarà verificato nella propria vita. E così, come lo stesso l'autore scrive:

«In fondo è come se tu avessi sempre saputo che dopo la morte di tuo padre, quello che stavi vivendo si sarebbe presto trasformato nel periodo “tra la morte di tuo padre e quella di tua madre”».

È arrivata, devastante, un'altra immensa perdita nella vita dello scrittore, che pare sentire quasi il dovere di scrivere quest'opera, superando se stesso, lasciandosi andare, allo scrivere di sè, lasciando alla scrittura un compito di fondamentale importanza.

In questo terzo romanzo, già dal titolo Pecchinenda ci dà una forte indicazione sull'intento della sua riflessione: "L'ultimo regalo". 



Il regalo più grande di uno scrittore, fra i pochi possibili per onorare il ricordo di una madre che smette d'essere, può sembrare banale dirlo, ma è proprio scrivere.

Sì, perché a volte la scrittura permette di compiere viaggi meravigliosi, nella memoria, nell'immaginazione, navigando gli immensi spazi dell'Assurdo e dell'Impossibile.

La scrittura può diventare lo strumento per poter pregare, per potersi autoanalizzare, per dirsi quelle parole mai pronunciate per mancanza di tempo, audacia, coraggio...per poter rendere un po' meno traumatico e dilaniante, un addio mai giusto, mai completamente possibile da accettare per un figlio.

Come di consueto, quando mi viene chiesto di collaborare alla pubblicazione di un libro fornendo l'immagine di copertina, ho richiesto di leggere in anteprima il testo, e devo dire che a lettura ultimata, l'emozione è stata tale da lasciare davvero in me un segno di meraviglia, tenerezza, malinconia e commozione.

Sulla scia di queste sensazioni ho selezionato una serie di fotografie, tra le quali ho proposto la prima: un paesino del sud ormai abbandonato, una donna anziana seduta sui gradini di quella che probabilmente fu in tempo la sua casa, visibili solo le sue gambe, con le mani poggiate sulle ginocchia, in quella classica posa che assumono le persone che stanno aspettando. Chissà quella donna cosa o chi aspettasse in quel paese fantasma. Chissà in quale ricordo era perduta, lì, immobile, mentre io discretamente immortalavo quella scena in una fotografia.

Era stata quasi promossa a copertina quell'immagine, poi dopo una riflessione con l'autore sull'emozione da essa evocata, sulla malinconia, l'inquietudine che ne derivava, abbiamo insieme convenuto che fosse perfetta, troppo perfetta per essere scelta. Perfetta da far male. La copertina, anche quella, doveva essere un dono, un regalo.

Fu così che allora insieme guardammo con questa nuova consapevolezza le altre foto che avevo proposto, e tra queste lo sguardo si fermò su uno scatto che ritraeva una bambina, intenta ad osservare il suo riflesso in una pozzanghera, dopo la tempesta lei era lì a guardarsi offrendo al nostro osservare una doppia se stessa.

Pecchinenda riguardo alla foto scelta ha affermato: "La copertina mi ha colpito subito... Una bambina che riflette in uno specchio d'acqua e vede (scorge) una vita che intanto è già stata vissuta. La sua. Le nostre esistenze, in fondo, è come se già fossero state vissute da qualcuno, prima. Sono già scritte. Le viviamo una sola volta, è vero, ma se vogliamo poi dopo possiamo intravederne un copione (più o meno originale, dipende de chi c'è la racconta)"

Dunque tutto ha trovato un senso. Il dono era pronto da consegnare. E così é stato. 

L'ultimo regalo è un viaggio che tutti ci meriteremmo di fare con le persone che amiamo, e della cui importanza ci accorgiamo spesso solo dopo. Quando è troppo tardi. Quando solo la scrittura, la musica, l'arte possono aprirci l'ultima porta, una piccola apertura nel flusso dei nostri giorni, per far sì che possiamo consegnare un ultimo pensiero, un doveroso saluto, un essenziale tributo a una vita che continuerà ad essere, ma solo finchè durerà la nostra memoria.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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