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L’impatto della pandemia sulla demografia italiana

La popolazione italiana è scesa di 384mila unità rispetto all’anno scorso, secondo l’Istat.

di Lorenzo Ruffino

La popolazione italiana al 1° gennaio 2021 conta 59.258.000 persone, circa 384mila in meno di quelle che si avevano un anno fa. Nel corso del 2020 c’è stato un record minimo di nascite, un alto numero di decessi, un basso saldo migratorio e l’età media si è ulteriormente alzata. Istat ha raccolto in un report pubblicato questa settimana i principali indicatori demografici del 2020.

Cala la popolazione

Nel 2020 per il settimo anno consecutivo la popolazione italiana è calata: si è passati da un record di 60,3 milioni di residenti nel 2014 ai 59,3 milioni di adesso. Nel corso del 2020 tutte le regioni hanno visto un calo della popolazione con l’eccezione del Trentino Alto Adige. Il calo ha colpito tutte le zone d’Italia, ma in particolar modo il Mezzogiorno (-0,7%) rispetto al Centro (-0,64%) e al Nord (-0,6%). Molise (-1,3%) e Basilicata (-1,0%) sono le regioni più colpite e tra quelle del Nord spiccano Piemonte (-0,9%), Valle d’Aosta (-0,9%) e soprattutto Liguria (-1%).

 

Persi 1,2 anni di speranza di vita

Il forte aumento della mortalità dovuto al coronavirus ha portato a un forte calo della sopravvivenza media. La speranza di vita alla nascita scende a 82 anni, 1,2 anni sotto il livello del 2019. Per osservare un valore analogo occorre risalire al 2012. Gli uomini sono più penalizzati: la loro speranza di vita alla nascita scende a 79,7 anni, ossia 1,4 anni in meno dell’anno precedente, mentre per le donne si attesta a 84,4 anni, cioè un anno di sopravvivenza in meno.

In calo della speranza di vita avviene in tutte le regioni passando da un minimo di 0,5 anni (6 mesi di vita media in meno) in Calabria a un massimo di 2,6 anni in Lombardia. Le regioni più colpite sono quelle del Nord essendo state le più colpite dal coronavirus. 

Su base provinciale, si ha che nella provincia di Bergamo per gli uomini la speranza di vita alla nascita è più bassa di 4,3 anni rispetto al 2019, mentre a Lodi e Cremona il calo è di 4,5 anni. In queste tre province sono ingenti anche le variazioni riscontrate tra le donne: -3,2 anni per Bergamo e -2,9 anni per Cremona e Lodi. È come se la speranza di vita fosse tornata indietro di 18 anni. 

 

 

Quasi 100.000 decessi più rispetto al dato atteso

Nel corso del 2020 l’incremento assoluto di decessi rispetto all’anno precedente è stato di 112mila unità, nonostante quelli attribuibili in via diretta al Covid-19 fossero 75.891. Usando i rischi di morte del 2019 sulla popolazione del 2020, ci si sarebbe atteso un incremento di soli 13mila decessi, quindi la mortalità indotta direttamente e indirettamente dal Covid-19 ammonta a 99mila decessi, un livello che può considerarsi come “limite minimo”. Tra gli uomini l’eccesso è di 53mila decessi, mentre tra le donne di 46mila.

I decessi in eccesso si concentrano tutti dopo i 50 anni e risultano maggiori all’avanzare dell’età. Fino a sotto i 50 anni, infatti, l’ipotesi di rischi di morte costanti nel 2020 sui livelli espressi nel 2019 determinerebbe più decessi di quelli effettivamente avuti. Questo “avvalora non solo la tesi che la letalità del virus sia di fatto irrilevante nelle classi di età più giovani, ma anche quella che senza la pandemia il 2020 avrebbe potuto essere un buon anno per le prospettive di sopravvivenza nel Paese”, scrive Istat.

Si registra un eccesso di mortalità nelle età più fragili, che per gli uomini interessa soprattutto le classi 80-84 e 85-89 anni (circa 22mila decessi in più) mentre per le donne, per via di una presenza più numerosa, l’eccesso prevale nella classe 90-94 anni (oltre 15mila decessi in più).

 

 

Continuano a calare le nascite

Nel 2020 sono nati solo 404mila bambini, mentre nel 2019 furono 420mila e per l’anno scorso l’attesa era di 413mila bambini. L’ulteriore calo di 9mila bambini è quindi dovuto alla contrazione dei livelli riproduttivi espressi. Nel complesso, rispetto al massimo di 577mila nascite nel 2008, il calo di quest’anno è del 30%. 

L’impatto della pandemia non è ancora chiaro, in quanto gli effetti si sarebbero potuti vedere solo a dicembre 2020. Ma la variazione massima del 2020 sul 2019 per mese si è avuta proprio a dicembre con 3.500 nascite in meno. Secondo Istat si tratta di un dato “a sostegno dell’ipotesi secondo cui, in aggiunta al dato tendenziale, anche la pandemia abbia iniziato ad esercitare un effetto riduttivo sulla natalità”. I dati provvisori di gennaio 2021 indicano un calo di 5.000 nascite su gennaio 2020.

Inoltre, nel 2020 sono stati celebrati circa 97mila matrimoni, il 48% in meno dell’anno precedente. Il tasso di nuzialità è crollato dal 3,1 per mille all’1,6 per mille: “Questo fattore eserciterà una spinta negativa sulle nascite del 2021 e forse anche in seguito”, spiega Istat.

Su scala nazionale, quindi, il calo delle nascite è del 3,8%, ma queste si riducono dell’11,2% in Molise, del 7,8% in Valle d’Aosta, del 6,9% in Sardegna. Tra le province sono soltanto 11 quelle in cui si rileva un incremento delle nascite: Verbano-Cusio-Ossola, Imperia, Belluno, Gorizia, Trieste, Grosseto, Fermo, Caserta, Brindisi, Vibo Valentia e Sud Sardegna.

 

 

Le migrazioni sono state bloccate

Nel 2020 le migrazioni sono state limitate a causa dei blocchi dei confini nazionali e dei movimenti interni al Paese. In Italia le iscrizioni in anagrafe dall’estero per trasferimento di residenza si sono ridotte del 34% rispetto al 2019 (da 333mila a 221mila), le cancellazioni del 21% (da 180mila a 142mila). Anche per quanto riguarda la mobilità interna la riduzione è significativa, essendoci stati il 12% in meno di trasferimenti di residenza tra comuni.

Il saldo migratorio netto con l’estero si ferma a 1,3 per mille abitanti, esattamente la metà di quello rilevato nel 2019. La riduzione interessa tutte le aree del Paese, ma prevalentemente il Centro (da 3,6 a 1,9 per mille) e il Nord (da 3,2 a 1,6 per mille), più che il Mezzogiorno (da 1,1 a 0,6 per mille).

Gli stranieri residenti nel Paese sono 5.036.000, 4.000 in meno dell’anno prima. Secondo Istat, “l’elemento di novità degli ultimi anni è la tendenza alla stabilizzazione della popolazione straniera residente. Peraltro, in assenza di un evento straordinario come la pandemia, una riduzione della popolazione straniera si era già verificata nel biennio 2015-2016, cui aveva fatto seguito una ripresa nel periodo 2017-2019, tutto sommato modesta, se comparata allo sviluppo registrato nei primi 10 anni del 2000”. 

 

L’invecchiamento della popolazione prosegue

L’eccesso di mortalità nel 2020 non ha arrestato l’invecchiamento della popolazione, che prosegue portando l’età media da 45,7 anni a 46 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2021. 

 

 

La popolazione over 65 costituisce il 23,5% della popolazione totale contro il 23,2% dell’anno precedente. Anche il numero degli ultraottantenni, più colpiti dalla super-mortalità, registra un incremento (+61 mila) che li porta a 4 milioni 480mila, il 7,6% della popolazione totale. Viceversa, c’è un forte calo degli individui in età attiva e dei più giovani: i 15-64enni scendono dal 63,8% al 63,7% mentre i ragazzi fino a 14 anni passano dal 13% al 12,8% del totale.

Al Nord la popolazione ultrasessantacinquenne (che passa dal 24,1% al 24,2% del totale) ha registrato un incremento relativo più contenuto di quello del Centro (dal 24% al 24,3%) e soprattutto di quello rilevato nel Mezzogiorno, per quanto quest’ultimo resti mediamente più giovane per profilo di età (dal 21,7% al 22,1%).

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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