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L’immigrazione, fattore di crescita del sistema italiano

La recente indagine del CNEL dedicato al “profilo nazionale degli immigrati imprenditori in Italia” ha permesso di “scattare la fotografia “ di questa categoria fino ad oggi dimenticata.

Dall’indagine emerge che l’imprenditore immigrato ha 40 anni e in media più figli rispetto al collega italiano, una discreta formazione scolastica (oltre 12 anni di studio nel paese d'origine), vive in Italia da 18 anni, dove è arrivato a causa delle cattive condizioni economiche nel paese di origine e soprattutto che ha maggiore propensione ad assumere personale italiano (il 22,2% degli intervistati ha dichiarato di propendere per personale autoctono) e considera il rapporto con gli italiani più importante rispetto alle relazioni con i connazionali e la madrepatria. 

Inoltre, dato non secondario, in questo periodo di lentezza dell’economia il 77% degli imprenditori stranieri ha costruito la propria azienda da zero, il 21% l'ha rilevata da altri e il 2% l'ha ereditata. Questi dati mostrano un'immigrazione dal volto nuovo e che non può essere nascosta. Inoltre, questi imprenditori contribuiscono anche alle esportazioni e alla promozione del “made in italy” essendo essi stessi dei naturali “ponti” tra l’Italia e il loro paese di provenienza.

Tutti questi dati, dovrebbero far comprendere come troppo spesso e in modo errato l’immigrazione (ancora considerata come “fenomeno”) sia solamente una questione di ordine pubblico e che, anche a coloro che maggiormente osteggiano la sola idea della presenza di stranieri o comunitari nelle nostra società non solo risulti un idea superata ma che deve essere accettata. Dobbiamo sempre di più comprendere che la nostra società è cambiata, che mutate ne sono la composizione e la provenienza delle persone e che ogni tentativo di chiudere la società in se stessa condanna l’intero corpo sociale a morte certa.

Ovviamente per far progredire la società aprendola il più possibile anche a coloro che oggi sono considerati stranieri occorre fare uno sforzo collettivo per non far sentire nessuno estraneo nel luogo dove vive, dove lavora e dove manda a educare i propri figli. Un primo passo, semplice e pratico, potrebbe essere la vera applicazione di norme già esistenti, norme che spesso, troppo spesso, rimangono “lettera morta” salvo il lodevole comportamento di enti o associazioni.

Nel caso della cittadinanza, argomento troppo spesso discusso senza una vero approfondimento, basterebbe , per cominciare che ogni Comune d’Italia, sull’esempio dell’Amministrazione Comunale di Milano, ricordasse agli stranieri nati in Italia e che abbiano risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età che è possibile ottenere la cittadinanza entro un anno dalla precedente data.

Piccoli gesti come questi, oppure come il ricordare il voto amministrativo per i cittadini comunitari e la loro piena equiparazione (sempre sancita da norme già in vigore) in tutto e per tutto ai cittadini italiani, farebbero in modo che anche la percezione dell’immigrato e dell’immigrazione possa risplendere di luce nuova e rendere possibili le parole di quel grande filosofo che auspicava che “tutti gli uomini possano presto sentirsi tutti fratelli”

 

(di Marco Baratto)

 

 

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