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L’epicentrismo geografico del coronavirus

Il coronavirus ha una sorta di “intelligenza strategica”? Se lo chiede da tempo Mirko Mussetti, analista di “Limes” e saggista, che oggi ci parla del dilemma sulle sue origini, del tema della possibile origine umana e della rilevanza economica e geopolitica delle aree maggiormente colpite.

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A distanza di quattro mesi dalla presa di coscienza della diffusione del settimo coronavirus infettivo per l’uomo, iniziano a essere messe in discussione dalla comunità internazionale molte narrazioni sulla pericolosità del patogeno e sulla sua origine. 

La letalità non può più essere negata o minimizzata. L’origine, invece, può essere sempre e comunque mistificata. A partire dal nome stesso del virus: con il termine Covid-19, assegnato dall’Oms, si è inteso epurare qualsiasi riferimento geografico del patogeno insito nel nome Sars-CoV-2. Riguardi mai adottati per la Mers (Middle East respiratory syndrome) e tanto meno per Ebola, che prende il nome dall’omonimo villaggio sul fiume Congo. 

Ma comprendere l’origine e la tempistica di diffusione non è essenziale solo per tentare di debellare la minaccia sanitaria, ma anche per rimodulare i rapporti diplomatici e geoeconomici globali. 

Dopo mesi in cui i media mainstream hanno minimizzato il problema e denigrato le ipotesi più plausibili ma scomode, le indagini internazionali si stanno ora concentrando sulla possibilità che il virus sia nato in laboratorio. D’altronde basta un pizzico di epistemologia per smontare ogni convinzione sul naturale salto di specie. La sensazione è che i servizi segreti di mezzo mondo stiano cercando di frenare su una possibile escalation con esiti imprevedibili.

L’origine artificiale del virus nel laboratorio di biosicurezza di Wuhan è un segreto di Pulcinella. Ormai è solo questione di trovare la proverbiale pistola fumante, rimandando a poi la decisione se renderla pubblica. È per questo che si stanno muovendo tutte le intelligence più accorte.

  • La Russia ha inviato prontamente a Bergamo le truppe Cbrn (rifiutando altre destinazioni), ritenendo di poter isolare nella provincia lombarda il ceppo più vicino possibile a quello originario cinese. Non ne fanno mistero. D’altronde Pechino non ha consegnato i campioni a Mosca.
  • Gli Usa hanno arrestato il professore di biochimica di Harvard, Charles Lieber, per aver trafugato campioni a vantaggio dell’Università di Tecnologia di Wuhan nel quadro del programma cinese Mille Talenti.
  • La Francia indaga, preoccupata anche dal fatto che il laboratorio di Wuhan sia frutto della collaborazione franco-cinese (Chirac-Hu) e costruito sul modello del Bsl-4 di Lione. Per Parigi si tratta anche di una questione reputazionale. I transalpini cercano di reperire informazioni proprio dal personale formato in Francia.
  • L’Australia non ha creduto alla fatalità evoluzionistica del virus fin dall’inizio e ora sta torchiando gli infettivologi cinesi nella Land Down Under che abbiano avuto contatti col laboratorio di Wuhan.

Ma sotto sotto fu la stessa Cina ad ammettere la potenziale origine artificiale di Sars-CoV-2, quando accusarono gli Usa di aver intenzionalmente rilasciato il virus durante i giochi militari di ottobre a Wuhan. Ovviamente con gran lavata di capo dell’ufficiale che avventatamente smentì la versione protocollare di Pechino.

La sensazione è che le grandi potenze siano in grado di ricostruire una parziale verità, integrabile solamente mediante un proficuo scambio di informazioni. Ma il reciproco sospetto di inquinamento delle prove non potrà essere mai cancellato. Le informazioni sono un bene prezioso, ma gli amici non sono certi. 

Al di là delle speculazioni e delle propagande contrapposte, questo pasticcio globale offre l’occasione per analizzare i comportamenti pandemici e prendere appunti sulle guerre ibride del prossimo futuro. La “guerra senza limiti” preconizzata da Qiao Liang e Wang Xiangsui stravolgerà il sistema globale e, quindi, l’organizzazione militare delle nazioni. I paesi in grado di provvedere ad una efficiente rivoluzione degli affari militari (Ram) e di intelligence sono avvantaggiate.

Le moderne armi biochimiche non sono concepite per la distruzione di massa, bensì per l’approntamento di guerre economiche. Non si costruisce un’arma che non si può controllare appieno per il mero annientamento, bensì per paralizzare i mercati delle nazioni concorrenti/nemiche. Conviene dunque prendere qualche appunto su Covid-19, poiché questa pandemia, sia essa colposa o dolosa, potrebbe aver dato inizio ad una nuova stagione di conflitti mondiali non lineari come fu per le guerre finanziarie degli anni ‘90 e la guerra cibernetica che ha caratterizzato il decennio che si sta chiudendo. 

Questo virus “naturale” è curiosamente dotato di una sviluppata intelligenza strategica. La sua propagazione è altamente geometrica e cartografabile. La disposizione geografica e la valenza geopolitica dei primi epicentri non mente.

  • I epicentroWUHAN (Cina) è un importante centro di ricerca militare, nonché crocevia delle principali direttrici nord-sud ed est-ovest della potenza asiatica. La produzione e la ricerca bellica fu spostata scientemente dalla costa all’entroterra, nel capoluogo dello Hubei, per volere del “quattro volte grande” Mao Zedong. Il logico scopo era quello di rendere il cuore della produzione militare della nazione non immediatamente attaccabile in caso di invasione nemica. La Cina avrebbe così retto al primo impatto di una grande guerra. Ma la centralità geografica ha come controindicazione la diffusione agevolata e a raggiera dei patogeni ad alta contagiosità dolosamente (es. bioterrorismo) o colposamente (es. errore umano) propagati nella metropoli. La presenza di un laboratorio di biosicurezza di livello 4 (Bsl-4) è una grave imprudenza. Non è un caso che le superpotenze più responsabili abbiano l’accortezza di posizionare i Bsl-4 votati alla ricerca bellica su isole o piattaforme offshore. 
  • II epicentroQOM (Iran) è il cuore del potere teocratico iraniano, di fatto la capitale dello sciismo. La propagazione di un agente patogeno nella città sacra implica la diffusione del contagio in tutto il paese attraverso le principali rotte di pellegrinaggio interno. Gli effetti sono persino più dirompenti rispetto a un intenzionale spargimento virale nella capitale Teheran, poiché ad essere sotto attacco è la fonte stessa del potere teocratico. Senza una solida legittimità religiosa/divina vengono minate le basi stesse del regime. Si sa: l’Iran è sostanzialmente non occupabile militarmente sia a causa degli enormi costi che ciò comporterebbe sia dalle insormontabili difficoltà logistiche. Ma le armi biochimiche offrono l’opportunità di colpire internamente i sistemi politici più emarginati favorendo un cambio di regime. 
  • III epicentro. La LOMBARDIA (Italia) è il centro industriale e finanziario dell’Italia, nonché la regione manifatturiera più attiva d’Europa. Ai tempi della Guerra Fredda la pianura padana era oggetto degli studi geostrategici sulla mutua distruzione assicurata. In caso di conflitto nucleare lo scoppio di una singola bomba atomica avrebbe messo in ginocchio l’intera penisola: il ricco Nord avrebbe subìto un primo danno dovuto alla deflagrazione dell’ordigno e una seconda devastazione conseguente all’onda di rimbalzo radioattivo sulla corona alpina. Spazzata via per ben due volte con un singolo colpo, la produttività industriale del Settentrione sarebbe stata (quasi) azzerata. Il Centro-Sud sarebbe stato in grande parte risparmiato dall’attacco grazie alla naturale ostruzione orografica della dorsale appenninica, ma l’assenza di una produzione manifatturiera di rilevanza strategica avrebbe reso innocuo ogni tentativo di riscossa nazionale. Per molti aspetti una sciente diffusione di un potente patogeno ne ricalcherebbe la concezione strategica: la parte più produttiva del Paese viene completamente paralizzata per un periodo più o meno lungo, mettendo in ginocchio l’economia nazionale e causando una parziale diffusione del contagio verso sud dovuta alla composizione demografica degli occupati. Superata la prima ondata epidemica, una seconda ondata virale nel Settentrione verrebbe ingenerata dal ritorno all’attività lavorativa della diaspora meridionale asintomatica. La capacità di frenare la propagazione virale verso il Meridione è decisiva anche per la salvezza (sanitaria ed economica) del Nord Italia.
  • IV epicentroMADRID (Spagna) non è solo la capitale e il cuore del potere monarchico spagnolo, ma anche il centro viario della penisola iberica. La diffusione di potenti agenti patogeni si diramerebbe con maggiore facilità. Madrid è la città maggiormente e precocemente colpita da Covid-19, nonostante si tenda ad imputare il contagio nel paese alla trasferta in Italia di tifosi valenzani. Curiosamente Valencia non è tra le città spagnole più colpite, nonostante l’addizionale elevato turismo italiano sulla costa catalana.
  • V epicentroLONDRA (Regno Unito) non è solo la capitale del Regno Unito, ma anche la sede politica del Commonwealth britannico. A differenza del passato mercantilista ascritto all’epoca coloniale, oggi la City inglese si avvale principalmente dell’attrazione di capitali esteri in un quadro di libero mercato. Colpire duramente il centro finanziario inglese potrebbe indurre gli investitori stranieri a dirottare altrove i propri denari, causando ben più del collasso del ricco settore immobiliare. La potenza economica inglese si basa su un solido sistema fiduciario imperniato attorno alla stabilità di una moneta fiat: la sterlina. Se viene meno quello, viene meno tutto. 
  • VI epicentroNEW YORK (Stati Uniti) è la città simbolo degli States, nonché il più importante centro finanziario mondiale. Colpire intenzionalmente la città simbolo della costa orientale avrebbe un elevato impatto emotivo e agevolerebbe una irrazionale diffusione del panico in tutto il Nord America, nonostante le grandi distanze geografiche che contraddistinguono il continente. Spesso la Grande Mela è oggetto di pellicole cinematografiche di successo, molte delle quali di genere catastrofista. Sorprendente che l’epicentro di Covid-19 in America sia proprio a New York, nonostante la presenza di numerose metropoli altrettanto ben collegate sia con la Cina sia con l’Europa. Il bizzarro comportamento di questo virus ha risparmiato proprio la costa occidentale, quella meglio collegata con la Repubblica Popolare e con il maggiore interscambio economico. Il sistema sanitario privato è in assoluto il più vulnerabile in questa situazione. In assenza di un pronto e mirato intervento statale, non solo vi sarebbero più morti, ma le compagnie assicuratrici rischierebbero il crack finanziario dovuto al numero eccessivo di polizze da indennizzare. Il collasso finanziario sarebbe più vasto.

Per ora tutte le nazioni hanno retto al primo impatto di Covid-19: i cinesi hanno sigillato la provincia colpita con metodi draconiani; gli iraniani hanno procrastinato il dilemma dell’assetto costituzionale; gli italiani si sono dimostrati più disciplinati di ogni stereotipo; gli iberici hanno congelato gli autonomismi; i britannici hanno adottato celeri misure monetarie; gli americani non hanno stoppato i mercati finanziari e sostengono il proprio sistema sanitario. Ma come reagirebbero le popolazioni impoverite ad una seconda più virulenta ondata pandemica?

Roma non deve in alcun modo sottovalutare l’aspetto bellico delle pandemie. Il dispositivo biochimico non è secondario. Urge una Ram per meglio affrontare e contenere le nuove minacce. Si vis pacem, para bellum.

Foto di scartmyart da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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