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L’articolo 68 invocato per troncare il processo Ruby

Com'è regolarmente accaduto in occasione degli scandali politico-giudiziari che coinvolgono il presidente del consiglio, anche di fronte al caso Ruby e alle intercettazioni dell'inchiesta Tarantini-Lavitola è stato diffuso l'ordine di scuderia di riesumare una "legge bavaglio" che impedisca alla magistratura di servirsi di tale mezzo d'indagine e ai giornali di pubblicarne le trascrizioni.

Per troncare sul nascere il processo che lo vede coinvolto per concussione e prostituzione minorile, Berlusconi sta ora tentando la mossa di far dichiarare dalla Camera inutilizzabili tutte le intercettazioni effettuate dalla procura di Milano. Il presidente del consiglio e i suoi avvocati ritengono infatti che si tratti di una violazione dell'articolo 68 della Costituzione, il quale impone che per intercettare un parlamentare la magistratura ottenga l'autorizzazione della sua camera d'appartenenza.

Nell'inchiesta sulle "notti di Arcore" ad essere state messe sotto controllo non sono le utenze telefoniche dell'onorevole ospitante, ma quelle di chi - secondo l'accusa - gli procacciava ragazze a pagamento, nonché quelle delle ragazze stesse che al telefono raccontavano di speranze e delusioni nell'ingraziarsi il potente padrone di casa.

Secondo Berlusconi, però, lo scopo reale degli ascolti era quello di arrivare a lui per via indiretta: si tratterebbe dunque di un caso che ricade comunque sotto l'articolo 68 prima citato. Dunque quelle intercettazioni vanno distrutte e non possono essere prodotte come prove nel corso del processo. Si tratta di una linea di difesa "d'emergenza" nel caso in cui la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in ottobre sul conflitto d'attribuzione sollevato dalla Camera, dovesse dar torto a Berlusconi e via libera al processo nel capoluogo lombardo.

Al di là di come andrà a finire (ma da una maggioranza che ha finto di credere che Berlusconi pensasse che Ruby fosse la nipote di Mubarak ci si può attendere di tutto), è davvero squallido che la corte berlusconiana dei dichiaratori alla stampa faccia riferimento ad "alti princìpi costituzionali" e a "indispensabili tutele garantite ai parlamentari" nel commentare l'ennesimo tentativo di cancellare un procedimento giudiziario.

La Costituzione - molte altre volte insultata e vilipesa dai membri dell'attuale maggioranza - viene lodata alla bisogna e citata in modo incompleto e distorto. L'articolo 68 non fu certo scritto perché i parlamentari, al di fuori delle loro funzioni, potessero liberamente organizzare giri di squillo o chiamare nel cuore della notte le questure per far rilasciare i loro protetti.

Occorre sempre ricordare che quando fu scritta la Costituzione, nel '46-'48, si usciva da una dittatura che aveva eliminato le libertà politiche e che utilizzava polizia, servizi segreti e magistratura per spiare, perseguire, confinare ed eliminare dalla scena elementi scomodi per il regime. Erano questi i ricordi vivissimi che spingevano i costitutenti a introdurre nella carta fondamentale della Repubblica tutele e garanzie d'autonomia per i parlamentari: si intendeva evitare che i poteri esecutivo o giudiziario limitassero in qualche modo la libertà di espressione e di azione politica del legislativo.

In una tragicomica eterogenesi dei fini, quell'articolo potrebbe oggi permettere al presidente del consiglio di mettere un macigno su un processo in cui è coinvolto al di fuori di qualsiasi sua funzione di parlamentare, per una storia da basso impero in cui compaiono giri di prostituzione, ricatti, pressioni, faccendieri e bancarottieri e le relative, esplosive intercettazioni che la raccontano. Chissà cosa avrebbero pensato gli estensori dell'articolo 68, se avessero saputo che un giorno sarebbe stato invocato in una vicenda simile.

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